La ducea inglese ai piedi dell'Etna (1799 - 1981)

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Borgo Caracciolo, una breve felice, strana parentesi

Azienda Agricola Maniace, 1941/1943

di Mario Carastro

La Ducea inglese ai piedi dell'Etna

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La speranza di un futuro migliore

Bisognava subito migliorare le sorti dei “malnutriti e grami” lavoratori della terra, mal compensati del loro faticoso lavoro e rifugiati in meschine abitazioni che “nulla hanno di umano”.

I grandi affittuari, nel mentre corrispondevano al Duca generalmente un canone di 2 tumoli di frumento per ogni tumolo di terra seminato a grano(3), trattenendo per se ben dieci tumoli, traevano grandi guadagni suddividendo in lotti la terra a loro assegnata “o concedendo i migliori lotti a terzeria od a quarteria, o dando le altre terre meno produttive a subaffittuari, i quali taglieggiavano a loro volta, e nei modi più esosi, i partitanti, cioè il contadino che, sovente non raggiungeva neppure il 30% del prodotto, già scarso per deficienza di mezzi, per assenza di tecnica agronomica e per povertà di opere e di fertilizzanti”.(17)

Mons. Galati riporta(3), a titolo di esempio della miseria e dello sfruttamento, un calcolo riferito ad una semina di 5 tumoli di fru­men­to (85Kg) che producono 60 tumoli di grano (1.020 Kg). Ebbene al povero contadino, al netto dell’anticipo del seme e del relativo interesse, al netto del canone di terraggio e della sua quota parte delle spese per strumenti di lavoro, rimangono, e sempre che non debba pagare con gli interessi il grano ricevuto in anticipo per la sussistenza della sua famiglia, solo 159 Kg di grano, cioè il 15% del­l’intero raccolto. Una quantità affatto sufficiente per sé e per la propria famiglia: quindi una vita di stenti e di cruda miseria.

Il progetto originario di colonizzazione prevedeva a Maniace, per una superficie di circa 4.500 Ha, un 1° Lotto di 100 nuove case coloniche, che si dovevano aggiungere alle 23 iniziate nel 1939, 28 Km di strade interpoderali e 50 abbeveratoi, oltre naturalmente al Borgo.(7) Si dovevano pertanto abbattere, man mano che si procedeva alla suddivisione in quote o poderi del terreno ed al comple­ta­mento delle case, gli “agglomerati di sordidi tuguri dai tetti sconnessi, alcuni coperti di sola paglia e di strami … testimoni di un passato di aristocratica indifferenza”.(17)

L’estrema condizione economico-sociale che le nuove opere andavano a modificare è così descritta dalle parole di F. Pollastri: “Negli angusti abituri, talvolta in un unico ambiente, vivono … nella più abbietta promiscuità uomini ed animali; famiglie numerose e bimbi poppanti fra mura sconnesse e senza intonaco, accumulate le povere masserizie, i giacigli sui trespoli; il pavimento è la nuda terra … e la vita, questo splendido dono della Creazione, è ivi stento, miseria e avvilimento. Tutto ciò non è un quadro di fantasia, ma è una dolorosa pressante realtà”.(17)

Nallo Mazzocchi Alemanni non si trattiene dicendo che(7) “… le condizioni sociali ed umane dei contadini documentate …” dalle poche ma struggenti foto ritrovate di Eugenio Bronzetti(21, 22 34) “denunciavano la vita dei rurali nel comprensorio di Maniace, un marchio di infamia contro gli estromessi padroni inglesi”. (fig. 10, 11, 12, 13, 14, 15).

I contadini che stanno lasciando la famiglia per andare in guerra possono adesso, paradossalmente, sperare in un futuro migliore. Partendo conoscono già, probabilmente, la “quota” che toccherà in affidamento alla propria famiglia, dove sognano di tornare presto per riprendere il lavoro o per una “licenza agricola” magari richiesta dal Direttore dell’Azienda.

La costruzione delle case coloniche procede speditamente ed intanto è trascorsa la prima annata agraria (1 settembre 1940-31 agosto 1941). Il rap­porto fra Ente e famiglia colonica all’inizio è, conformemente a quanto lascia­to dalla precedente amministrazione, di tipo mezzadrile in base alle rego­le del “Patto Colonico” vigente, che prevedeva e regolava suddivisione dei prodotti, anticipi delle sementi e delle lavorazioni.

I rapporti poi, stante che i terreni erano oramai pervenuti in proprietà all’Ente e in quanto tali destinati per legge alla formazione graduale della piccola proprietà contadina, si sono evoluti verso due tipologie contrattuali: Concessione in Enfiteusi previo Affitto Migliorativo e Contratto Individuale di Colonia con Obbligo di Migliori di lunga durata.

La Concessione in Enfiteusi si basava su un affitto iniziale di 3 anni con obbligo di miglioria e l’enfiteusi per 25 anni con successivo affrancamento. Il contratto prevede canoni ed obblighi reciproci, compresi l’obbligo per l’enfi­teuta quello di sottostare alle indicazioni dell’Ente sulla destinazione agricola del terreno e per l’Ente quello di fornire piante ed essenze arboree ed i mate­riali per la costruzione di una casa colonica. Questo tipo di contratto fu utiliz­zato soprattutto per l’ex feudo Tartaraci e per quote di estensione media pari a 5 Ha.

La stipulazione continuò sino al giugno 1943, cioè due mesi prima appena dell’entrata degli inglesi a Maniace.


Il Libretto del Colono e le assicurazioni

Nel restio dei terreni a seminerio dell’Azienda si adottò il Contratto In­di­viduale di Colonia, caratterizzato dal fatto che il colono stipulava l’atto in nome della propria famiglia che risultava ben individuata da un elenco nel Libretto del Colono allegato.

I poderi affidati alle singole famiglie sono di estensione media pari a 15-20 ha, in dipendenza quindi anche della consistenza del nucleo famigliare. E’ prevista una casa colonica dotata di annessi e scorte, ivi compresi bovini ed equini necessari alla coltivazione.

La durata contrattuale è, a garanzia del colono, pari a 38 anni, per poi diventare indeterminata. L’Ente si riserva la facoltà, infatti, di trasformare il contratto in un altro, ancorché da studiare ed approvare da parte del Mini­stero dell’Agricoltura, che determini il passaggio graduale alla proprietà definitiva del colono.

La stipulazione e la registrazione di questo tipo contrattuale conti­nuarono anch’esse sino al maggio-giugno 1943. A titolo di esempio di chi usufruì di questo tipo di modello contrattuale, piace citare a caso alcuni nomi di coloni fra quelli di un elenco trovato nell’Archivio Privato Nelson: Sanfilippo Salvatore per Fondaco 4; Bertino Placido per Balzitti 2; Furnari Salvatore per Balzi 1; Calà Campana Vincenzo per Cavallaro 1; Calanni Antonino per Petro­sino 3; Pinzone Vecchio Giuseppe per Boschetto Vaccheria 3.

Non sono mancati casi, infine, di Contratti di Piccola Affittanza della durata di soli 3 anni, per i quali l’Ente al solito si riservava il diritto di sosti­tuirli con altri a lunga scadenza del tipo “con obbligo di miglioria”, che con­sentissero nel seguito il graduale passaggio di proprietà all’affittuario.

Il “Libretto del Colono” (fig. 21) era un libretto-documento ufficiale, nel quale, a seguito della stipula, erano trascritte, in aggiunta ai patti di legge regolanti il contratto stesso, tutte le notizie riguardanti la “famiglia colonica” nella specifica “colonia” e la sua composizione.

Venivano riportati su pagine opportunamente predisposte, i dati della quota, l’inventario e lo stato di coltura del fondo, la descrizione dei fabbricati e degli accessori, la consegna di macchine, attrezzature, scorte, bestiame. Vi era compreso un registro di Conto Corrente in debito e cre­dito del colono, dove venivano registrate tutte le operazioni aventi per ogni anno colonico riflessi economici, in modo da avere un riepilogo-bilan­cio che poteva chiudersi a debito o credito del colono.

Gli uffici dell’Ente, in attesa del completamento di Borgo Caracciolo, furono sistemati nei vecchi uffici della Ducea. L’Azienda aveva un organico fra impiegati e salariati fissi di circa 70 persone, non computando nel nu­me­ro i funzionari dell’Ente e i dipendenti dell’Impresa Castelli che aveva in appalto la costruzione delle case coloniche e del Borgo Caracciolo.

Alle dipendenze dell’Azienda c’erano anche un medico condotto, il Dott. Rosario Pappalardo, ed una ostetrica, la Sig.na Giuseppina Galva­gno. L’ambulatorio era provvisoriamente ubicato nel vecchio caseggiato in contrada Balzitti, in corrispondenza del quale adesso c’è il Casolare delle Balze, che precedentemente aveva ospitato anche la Caserma dei Cara­bi­nieri ed in ultimo dal dopoguerra fu l’abitazione della Famiglia di Seba­stia­no Arcodia, il maggiordomo del Castello. Dal 1946, poi, medico ed oste­trica furono a carico della Ducea(14) e l’ambulatorio, che ancora oggi si intravede fra le case, fu aperto in contrada La Piana. (fig. 22)

Scartabellando fra i pochi documenti dell’Ente di Colonizzazione rimasti nell’Archivio Privato Nelson(27) si scoprono curiose realtà per i con­tadini di que­gli anni, che, una volta dissoltesi con la fine dell’Azienda Mania­ce, saran­no irraggiungibili desideri per molti anni ancora nel dopo­guerra. Come defi­nire diversamente il fatto che, in piena guerra, l’Ente si preoc­cupava della previ­denza assicurativa dei propri coloni?

Nulla ovvia­mente era offerto gratis, ma era stata ideata dall’Istituto Nazionale delle Assicura­zioni una Polizza Poderale con duplice funzione: assicurazione sulla vita a cura dell’INA e assicurazione per i rischi ramo danni a cura delle Assicurazioni d’Italia.

Per il settore vita, studiato appositamente per i coloni e le loro famiglie e che rispondeva alle necessità di carattere previdenziale, furono trovate “con­dizioni eccezionalmente favorevoli” e tali da rendere a ciascuno “molto lieve l’onere derivante dall’assicurazione stessa”.


 

Fig. 10, 11, 12, 13: Ente di Colonizzazione del Latifondo Sici­liano,  abituri dei contadini, 1941 Fototecnica Bronzetti, (22) (23). Fig.14, 15: E.C.L.S. Scene del Latifondo, 1941, Fototec­nica Bronzetti (34).
«Le condizioni sociali ed umane dei contadini documentate
dalle poche ma struggenti foto ritrovate di Eugenio Bronzetti denun­ciavano la vita dei rurali nel comprensorio di Maniace, un marchio di infamia contro gli estromessi padroni inglesi»

 

Fig. 16 e 17, in alto: Case Colo­niche a Mania­ce(17).

Fig. 18 e 19: Rudere di case colo­ni­che del’ECLS a Mania­ce (36). Fig. 20, a destra: Casa coloni­ca in Contrada Balzitti adibita nel primo dopo­guerra a Caser­ma Carabinieri (35).

 

Fig. 21 - Sul frontespizio del «Libretto del Colono,
Patto Generale di Colonia Parziaria per la conduzione dei fondi rustici della Pro­vincia di Catania», emesso dalla Confederazione Fasci­sta dei Lavoratori dell'Agri­col­tura, Unione Provinciale di Catania, si leggeva una frase di Musso­lini: Il Gover­no consi­dera i contadini, in guerra e in pace, quali forze fondamentali per le fortune della Patria».

Una copia del Libretto del Colono (Ed. 1940, XVIII) è presente nell'Archivio Nelson nel vol. 617-G.

 

Fig. 22 - Ambulatorio medico istituito dalla Ducea nel 1946 in contrada La Piana.

Fig. 23 - Il focoso cavallo "Polifemo" montato da Mario Carastro, nonno dell'Autore.

Fig. 24 e 25 -Trebbiatura nel 1943 in contrada Galatisa e (fig. 26 sopra a destra) macchina trebbiatrice Breda dell’Azienda Agricola Maniace.

Gli importi dei premi erano intanto anticipati dall’Ente. Molte furono le adesioni a giudicare dalla corri­spondenza fra l’INA e lo stesso Direttore dell’Azienda, Dott. Leone.  E’ curio­so anche costatare che fu aggiunto per i coloni richiamati alle armi che ne fecero richiesta il “rischio guerra”, così fu per esempio per Sanfilippo Tabbò Sebastiano, Conti Taguali Salvatore e Parasiliti Signorino. Scrive il Dott. Leone al Geniere Reale Biagio il 4 gennaio 1943:”Caro Reale, da molto tempo ho in mio possesso la tua polizza di assicurazione poderale che per la tua assenza non è stato possibile regolarizzare. Te la in­vio in allegato perché tu possa firmarla … e restituirmela … Ti aspetto per la prossima licenza: auguri intanto per il tuo servizio che sono sicuro disimpe­gnerai con passione per la nostra più grande Patria. Cordialmente…” .

L’8 febbraio 1943 il Dott. Leone scrive di nuovo a Reale per accusare ricevuta della polizza firmata e rispondendo ad una richiesta di questi aggiunge: “Ben volentieri avrei aderito al tuo desiderio di istruirti la pratica dell’esonero come conduttore di un podere, ma sai bene che questa pratica è stata già istruita per tuo fratello Francesco …”. Cito queste lettere che ho trovato per caso nell’Archivio solo perché, combinazione, il Dott. Leone in uno dei nostri incontri negli anni ottanta mi aveva parlato con affetto di Biagio Reale, che mi spiace non ricordare fra le persone conosciute nella Ducea.

Molto a cuore fu presa poi la questione assicurativa della colona Antonina Ciancio Todaro, maritata Galati Capraro Salvatore, affetta da gravi postumi derivanti da caduta dal mulo nel maggio 1942 e che “a seguito del richiamo del marito è rimasta sola con due bambini che sono affidati alla pietà dei vicini”. Il Direttore perorò sino all’esito positivo, nell’aprile 1943, la chiusura del sinistro, sostituendosi anche alla colona nell’ istruzione della pratica.

Chissà, poi, come si chiuse, a proposito di un’altra curiosità questa vol­ta meno penosa e quasi divertente trovata fra le carte, il sinistro occorso proprio al Dott. Leone colpito da un calcio in fronte dal focoso cavallo “Polife­mo” (fig. 23) nel marzo 1943, anche perché il Direttore con lungimi­ranza già del febbraio 1941 aveva chiesto all’Ente di coprire con apposita polizza i rischi per il personale “in conseguenza dell’uso di equini forniti dall’Azienda”.

L’Azienda si dotò subito di trebbiatrici, trattori, erpici, moderni aratri, seminatrici ed estirpatori (fig. 24. 25, 26) e furono impiantati  dei campi sperimentali, “poderi sperimentali”, sia per lo studio di nuove coltivazioni (tabacco, cotone, girasole…) che per il miglioramento delle colture tradizionali in relazione alle particolari caratteristiche pedo-climatologiche del posto, e delle nuove tecniche colturali come quelle Del Pelo Pardi.

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