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Benedetto Radice

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Benedetto Radice, "Memorie storiche di Bronte"

Florilegio di Nicola Lupo

Florilegio delle Memorie storiche di Bronte - Indice


13. Il '48 e il '49 in Bronte

Con documenti inediti

Salito al soglio pontificio Pio IX, nel 1846, “il suo primo atto fu una generale amnistia di tutti i condannati politici.
L’Italia esultò. Le speranze e i palpiti di Libertà suscitati
dal novello pontefice mossero il Gran Duca Leopoldo e Carlo Alberto a conce­dere ai loro popoli le chieste riforme. Varii moti e proteste agitavano l’Isola.”

E, spuntata l’alba del 1848, Mazzini chiedeva al Vicario di Dio: “Uni­ficate l’Italia “; e “ il Dio della terra dall’alto del Vaticano proferì le parole sante, augurali: - Gran Dio, benedite l’Italia.- L’Italia bene­detta sorse come un sol uomo. Dalle Alpi al Lilibeo fu una festa […] Il grido - Viva Pio IX - echeggiò” dappertutto.

Solo […] ostinato perseverava nella mala signoria Ferdinando II. I cuori dei Siciliani fremet­tero, e prima Palermo, impaziente di scuotere il servaggio, al­l’al­ba del 12 gennaio, per opera di Fran­cesco Bagnasco, lanciò al tiranno l’ immortale sfida con: All’armi, figli di Sicilia! La forza di tutti è onnipossente, l’unione dei popoli è la caduta dei re. […]” dettando le regole da seguire per il raggiungimento delle comuni aspirazioni. “ […] Le parole pontificali furono la leva del grande e concorde movimento.

“Bronte già noto per i fatti del ’20 […] del ’37 […] del ’47 […] sentì il nuovo moto, sentì le nuove speranze, e fra le grida - Viva Pio Nono! - Viva la Costituzione! - abbasso i Borboni! Nel 30 gennaio, si vendicò in libertà, costituendo un Comitato provvisorio di trenta individui […] fra i quali l’avv. Nicolò Lombardo e Mastro Gaetano Lupo.

“Il Lombardo si mostrò uno dei più attivi e zelanti liberali, andando spesso a Catania a prendere concerti coll’ardente patriota avv. Sebastiano Carnazza. […] “Il popolo […] che ogni idealità rivolu­zionaria concreta nel non voler pagare più tasse, si negò a pagare quella sul macinato, che più delle altre lo gravava onde […] si temettero tumulti che furono quietati dalle promesse del Comitato centrale. […]

Nella foto, del 1892, cittadini brontesi sfilano pacificamente lungo il Corso Umberto.

BRONTE NELLA RIVOLUZIONE DEL 1820

IL '48 E IL '49 IN BRONTE

Le integrali monografie con le analitiche descrizioni dei moti rivoluzionari del 1820 e del 1848 fatte da Benedetto Radice tratte dal II° volume delle  Memorie storiche di Bronte, in formato

Intanto al Comune, inesperto di libero reggimento e chiedente istruzioni per il nuovo regime, così rispondeva il presidente del Comitato di Catania: […] autorizza il Comitato di Bronte a prendere dalla cassa comunale il denaro necessario per i bisogni del Comune e versare il resto nella cassa della Provincia, avvisa ancora che per eseguire tutto ciò vien costà il signor Domenico Fiorini vostro patriota che tanto si è distinto nella nostra rivoluzione, attirandosi l’ammirazione di tutti i buoni Catanesi; […] Raccomanda l’ordine pubblico, il rispetto alla proprietà, alle persone, […] Un atto solo che infermasse colla disturbazione dell’ ordine pubblico la nostra santa e comune causa, è punito severamente.

“Convocati […] i comizi elettorali, Bronte elesse a suo rappresentante il sac. Giacomo Meli, prete dell’Oratorio, uomo più atto a recitare il breviario che alle faccende di Stato […] Più destro e più d’ ingegno fu il Brontese sac. Giuseppe Castiglione, che sedette tra i Pari […]
Professò il Castiglione eloquenza nel seminario arcivescovile di Palermo; fu caro alla gioventù colta della città e all’aristocrazia liberale; mostrossi al Parlamento uomo di iniziative e ardente di patriottismo. […]

Dichiarato decaduto Ferdinando, non pochi disordini e pertubazioni succedettero in varii comuni, […] compresi Maletto e Bronte.
“Per le plebi della città come per le popo­lazioni della campagna libertà significava e significa tutt’ora licenza, ribellione alle autorità costituite; […] Non è mio scopo narrare i tumulti accaduti altrove: dirò di quello di Bronte, al quale fu occasione e pretesto la rivoluzione, es­sendo esso affatto separato dallo svolgersi di questa, per non intralciare la narra­zione.

“Sbollito dunque il primo entusiasmo, due terzi dei componenti il Comitato […] non intervenivano più alle adunanze. Il Meli sentendosi inabile rinunziò alla Presidenza.
Il Vice-Presidente Battaglia […] continuò nell’ufficio e […] ebbe autorità di restrin­gere il numero ad undici,
fra i quali rima­sero l’avv. Nicolò Lombardo e Gaetano Lupo. Questi pochi volenterosi si misero subito a riorganizzare la guardia nazio­nale.
Di fatti, […] riuniti i militi nel convento dei cappuccini furono formate tre compagnie. Ma, essendo […] accaduta la sollevazione del popolo contro la ducea Nelson, fu, per garanzia e difesa di questa, costituita una 4° compagnia, composta in gran parte di maestri e di amici devoti, dei quali fu capitano Franco Thovez inglese e fratello del governatore. Guardava questa compa­gnia in cagnesco le altre e fu causa di tumulti nel carnevale del ’49.

“Nel mese di giugno fu costituito il nuovo consiglio civico. Nel 6 luglio venne eletto a Presidente del consiglio il signor Giuseppe Fiorini e nel 7 il Dottor Ferdinando Margaglio a Presidente del Municipio.[…]
Il Parlamento siciliano, riformata la costituzione, nel dì 11 luglio eleggeva a Re di Sicilia Alberto Amedeo I di Savoia. La fausta novella fu accolta con giubilo da tutta la Sicilia. La Municipalità di Bronte ordinò pubbliche feste: […] e inviò al governo provvisorio il suo indirizzo e nel 19 luglio partecipava la sua gioia al comitato centrale di Catania. […]
Il nome del Borbone era divenuto esoso ai Siciliani che vollero per fino cancellare la memoria dei benefici ricevuti. Bronte andava famoso per il collegio che, dopo la cacciata dei Gesuiti, dalla Sicilia, era stato fondato dal sac. Ignazio Capizzi e dal re dotato.
Il Pari abbate Giuseppe Casti­glione, nel cui petto bollivano sentimenti di libertà e di odio al tiranno, nella seduta del 9 agosto propose che fosse tolto al Collegio il nome di borbonico.

E il Parlamento nello stesso gior­no emanò il decreto. […]
Le cose intanto dell’Italia supe­riore, dopo l’allocazione pontifi­cia del 29 aprile, le scon­fitte lombarde e le vittorie austria­che, decli­navano rapidamente.
Ferdinando II volse allora il pensiero a riconquistare la Sicilia.[…] Levò il grido d’allarmi il venerando Ruggero Settimo, invitando i Siciliani alla pugna.

Bronte nel 1832 (da un dipinto di Giuseppe Politi)
Bronte nel 1832 (particolare tratto dal quadro di G. Politi «Eruzione dell'Etna - la notte del 31 Ottobre 1832»

“Venne in Bronte spedito da Messina il comandante Don Antonino Savoia per arruolare volontari […] Erano le compagnie della guardia Nazionale sprovviste d’armi e il Municipio […] s’era rivolto al governo per armare i più animosi cittadini a difesa della Patria. […] Ma le armi non venivano. Allora un manipolo di giovani, dei più ardenti al grido di Messina pericolante volò al suo soccorso(1). Duecento e più altri Brontesi partirono per Catania a rafforzare la città […].”

Nella difesa di Messina “la squadra brontese che si trovava agli avamposti di Zaera, appiattata dietro una siepe,” stava per fare prigioniero il Generale Lanza, già ferito, “ma assalita alle spalle da soldati di linea, dovette ritirarsi sempre combattendo, dolente di lasciare la preda. Il sette settembre i Messinesi abbandonarono al nemico le rovine fumanti della diletta città. La squadra brontese colle altre si fortificò in Taormina per impedire al Filangieri l’avanzata verso Catania.

“Nuovi arruolamenti intanto […] prepara il ministro della guerra e Marina per formare un esercito nazionale. Bronte, avendo una popolazione di 9853 anime, era obbligata assoldare 28 individui […] ma non essendosi presentati più di 12 reclute, bisognò aumentare il diritto d’ingaggiamento […] Era pure obbligato inviare a Palermo una mula e un cavallo. Il Comune, essendo esausta la cassa comunale, chiese una dilazione e la facoltà di fare un prestito forzoso. […] Vennero eletti sei Brontesi fra cui il dottor Antonino Cimbali e Don Nicolò Lombardo per fare un nuovo ruolo di guardie nazionali.
“Catania era ormai la rocca della libertà siciliana […] ma a nuovi sacrifici intanto s’assoggettavano i comuni: […] era stato imposto il prestito forzoso di un milione da ripartire ai più ricchi possidenti dell’isola. […] il consiglio civico di Bronte deliberò e fece voti perché la quota del prestito fosse imposta alla ducea Nelson, essendo il territorio in gran parte preda del Vulcano, in massima parte goduto dalla ducea, e i pochi cittadini immiseriti da essa a causa dei litigi loro mossi. […]

“Era nei fati la caduta dell’Isola come di tutte le altre regioni italiane che si erano sollevate contro lo straniero.
La circolare del Governo fu come il viatico della morente libertà siciliana. […]”

Fu rivolto ai comuni un patriottico proclama per chiamarli alla difesa di Catania e “il generale Mieroslawski che aveva stabilito a Bronte il suo quartiere generale […] corse a Catania […] e da Bronte vi accorse un corpo di volontarii di cui era Capitano Don Mariano Meli e Tenente Don Arcangelo Radice e l’avvocato Nicolò Lombardo, gente al certo non usa alle armi, né ai pericoli di guerra, male in arnese, e alquanti armati di fucili a pietra focaia.

Avvenne una feroce battaglia e “i volontari resistono coraggiosamente, […] ma alla fine si sbandano e confusamente corrono fuggendo per le campagne. Un solo dei Brontesi fu ferito; gli altri tornarono mogi mogi al paterno focolare.”

Capitolò prima Catania e provincia e poi Palermo; i Comuni “tornarono all’obbedienza con parole di grande compiacimento e i fedeli che avevano ringraziato Iddio per la caduta del tiranno e pregato per la vittoria delle armi siciliane, lieti cantarono il Tedeum per il felice ritorno del Re e Padre Ferdinando II.

Aura che volge
che or da questo or da quel lato spira
è amor di plebe.

“Intanto fra il sorgere glorioso e il cadere infelice della Rivoluzione, in Bronte, come si è detto, seguirono fatti che ne turbarono l’ordine e la tranquillità. Due partiti, i Comunisti e i Ducali tenevano diviso il paese. Quelli intesi a difendere i diritti del Comune, questi gli interessi della ducea dell’ammiraglio Nelson. Componevano la ducea le due abazie di S. Maria di Maniace, di S. Filippo di Fragalà e lo Stato di Bronte, di cui era Barone l’ospedale Grande e Nuovo di Palermo.

Ferdinando Borbone,” come abbiamo detto precedentemente, “ne aveva fatto dono al Nelson […] Decretata dal Parlamento siciliano la decadenza del Borbone e della sua dinastia, il popolo si levò a rumore, subornato dai fratelli D. Carmelo e Silvestro Minissale, fanatici e ignoranti e dal Cav. Gennaro Baratta(2) loro nipote, che erano in lite con la ducea, credendo di potere in tempo di rivoluzione farsi impunemente giustizia da sé, ed ottenere quel che Tribunali e Corti gli negavano o differivano: ferveva allora la questione del proscioglimento dei diritti promiscui. […]
Non vi fu spargimento di sangue, non furti, non magazzini scassinati. Anzicchè sommossa fu un’ondata tumultuaria, solenne per mettersi in possessione degli antichi diritti da lungo tempo contrastati. […] I Minissale […] s’ impossessarono delle terre della Piana e del carcere Bovi, e vittoriosi come reduci da una conquista, tornarono in Bronte, suonandosi a gloria le campane
.

L'antica abbazia benedettina, poi Ducea Nelson, oggi appartiene ai Brontesi che ne hanno fatto un museo“Il Governatore della ducea, Guglielmo Thovez, alla vista del popolo armato, credendosi in pericolo, fuggì da Bronte e, per mezzo del console inglese dolendosi della patita violenza, inviò al Presidente del Comitato generale di Catania una vibrata protesta,” che, dopo una lunga precisa­zione sui diritti della ducea, conclude: “L’ingiuria merita una soddisfazione, il danno un risarcimento e […] perciò a lei mi rivolgo ad eccitare il di lei zelo perché provochi un pronto riparo a tanto danno.”
Il Viceconsole Guglielmo Rose vi aggiungeva un minaccioso fervorino”
che conclude così: “La prego accusarmi ricezione della presente e farmi conoscere le disposizioni che emetterà all’assunto.”

“Il Comitato Generale di Catania […] scriveva, fra l’altro, al Comitato di Bronte: - Forti e stringenti reclami sono stati inoltrati a questo Comitato dal Viceconsole britannico […] e a nome del suo Governo mi chiede riparazioni, io mi rivolgo a cotesto Comitato perché gl’insorti inconvenienti siano eliminati […] pel Comune di Bronte direttamente esigo la massima diligenza e solerzia, perché mi attendo che in pronta risposta Ella voglia darmi i più rassicuranti riscontri sull’ assunto. - Il Presidente del Comitato Generale di Catania.

“Nello stesso giorno, 3 maggio, il Comitato di Giustizia e Culto, […] non costituendo reato il fatto che i contadini siano popolarmente andati a turbare la proprietà della Lady Nelson, solo per compiacere alla nazione inglese, fece la seguente ordinanza:” Viste le rimostranze del Comitato Generale, la protesta del console britannico e la supplica del governatore Thovez, “ha deliberato che il Comitato di Bronte […] passi subito ad arrestare i fratelli Carmelo e Silvestro Minissale […] inoltre questo Comitato dichiara […] tutte le autorità locali ecc. responsabili di tutti i danni arrecati alla proprietà della ducea […] Catania, 7 maggio 1848 e seguono le firme.

“[…] Il Comitato di Bronte però non ostante gli ordini e le minacciate responsabilità non si commosse affatto. Avevano i Minissale molti partigiani nel popolo; nessuno quindi osò […] arrestarli, onde il partito dei ducali […] una notte diedero l’assalto alla casa Minissale, ma questi avvisati a tempo ebbero agio di rifugiarsi a Bolo, nella fattoria del loro nipote cav. Baratta.

Il paese era in grande agitazione. Da un momento all’altro si temeva venire alle armi. […] In questi travagli era il Comune, quando ne fu sollecitato il Padre Giacomo Meli, il quale scrisse al Marchese della Cerda Ministro dell’In­ter­no per interessarlo a favore dei Brontesi, […] per sospendere le misure di rigore che a ragione eransi date e ritirarsi le squadre per non degene­rare di peggio un affare che potrà compromettere un popoloso comune di Sicilia. Prega inoltre l’E.V. a prender conoscenza dei fatti avvenuti […] per non ascrivere ad un intero Comune quel fatto di non tanto rilievo commesso da pochi contadini e da qualche altro che li ha suscitati. […]

“Il Comitato Centrale intanto […] avvisava il cittadino Carlo Ardizzone, commissario del potere esecutivo del Valle, perché inviasse a Bronte una commissione […] per certificare le cose asserte dal Battaglia. Ma non contento a questo, il cittadino Ardizzone […] scriveva al Presidente del Comitato Centrale […] per venire arrestati i fratelli Minissale ribelli e sordi agli ordini delle autorità, e di inviare a Bronte una squadriglia della colonna mobile e far così paghi i desideri del Console.

“La commissione eletta però non vi andò, vi fu inviato invece il colonnello Ciancialo con una squadra. Né il colonnello, né la squadra poterono nulla. Le cose andavano per le lunghe […] Il fatto è che in Bronte la maggior parte teneva per i Minissale, e vi era implicato tutto un popolo in quella incruenta sommossa, onde riusciva difficile al giudice fare il processo ai colpevoli.

“Nel 6 giugno, vi andò Benedetto Zuccarello, membro del Comitato di Giustizia,[…] il quale […] accordò ai fratelli Minissale un salvo condotto di otto giorni per recarsi a Palermo dal Presidente del Governo e discolparsi. Tornarono i Minissale in Bronte, seguiti da molto popolo armato, come in trionfo e nello stesso giorno […] partirono per Palermo.

“Lo Zuccarello” fu biasimato per la sua prudenza “dal cittadino Ardizzone […] il quale pare fosse molto amico alla ducea e arrendevole ai voleri del Console, e quindi dispettoso e crucciato che i grandi colpevoli gli fossero sfuggiti di mano.

“Intanto, mentre a Bronte si faceva il processo di quel fatto […] e mentre Governo e Comitati generali e centrali di giustizia e di guerra […] si affaticavano a voler trovare un delitto dove non era, contro le insistenze degli agenti diplomatici inglesi […] vegliava il Pari sac. Giuseppe Castiglione, che animato da sentimenti di patria carità, tanto seppe e fece da togliere il processo criminale dal potere dei magistrati, facendone avocare al Parlamento la soluzione.

Presentata alla Camera dei Pari “la mozione di abolire l’azione penale contro i Brontesi, […]” essa fu presentata anche a quella dei Comuni “appoggiata” da diversi deputati, tranne che dal “Rappresentante di Bronte, Padre Giacomo Meli, assente.
“Tornata la questione nel 29 agosto alla Camera dei Pari il sac. Castiglione sostenendo valorosamente la facoltà del Parlamento di sospendere, modificare, abrogare le leggi, conchiudeva di accettarsi il progetto del decreto di abolizione della Camera dei Comuni, il che fu vivamente contrastato […] e a maggioranza di voti fu respinto il messaggio. “Sorta la discrepanza tra le due camere […] la Camera dei Comuni […] deliberò di rimettere la decisione ad un comitato misto, dal quale […] fu escluso il Pari Castiglione.
Nel 18 settembre […] il Comitato […] deliberò di accettare il messaggio della Camera dei Comuni”
che vietava ogni procedimento penale ed aboliva l’azione penale “per i fatti avvenuti in Bronte dal 23 aprile al 3 maggio 1848 relativi ai disturbi di possesso già cessato, […] salve le parti di diritto in via civile. Firmato Il Presidente della Camera dei Comuni. Il Presidente del comitato Misto - Mariano Stabile.

“Tale fine, per l’opera patriottica del sac. Castiglione, ebbe il processo. […] Se ne fece a Bronte gran festa […]” con gran rammarico del “console inglese Guglielmo Dikinson che, non potendo mandar giù quel decreto liberatore, infamò i Brontesi come saccheggiatori e ladri […]
“Lasciamo sulla coscienza del Thovez e del Dikinson il saccheggio, i furti, i magazzini scassinati e via. Le molestie intanto continuavano da parte dell’amministratore Thovez, e nel 25 gennaio 1849 il Consiglio incaricava il Padre Meli e il Pari Castiglione perché curassero presso le autorità e il Ministro gl’ interessi del paese.

“Caduta Messina, gli avanzi delle squadre disciolte dei congedati, uniti a molti facinorosi, s’erano dati ad infestare le campagne, tenendo in grande e continuo allarme le popolazioni.
A Bronte si danneggiavano i boschi, si rubava a man salva, si violentavano le figlie, presenti i genitori, si attentava alla vita dei magistrati, si uccideva.”
Nessuna autorità aveva “coraggio e potenza di provvedere a tanto male. Nel 3 ottobre 1848 il consiglio pensò porvi rimedio proponendo la nomina del nuovo capitano di giustizia, e fu fatta” una terna, dalla quale fu proposto “il Dottor Antonino Cimbali, reduce allora da Napoli, […] essendo nota la sua energia.
Accettò il Cimbali il commessogli ufficio, e si circondò di 24 guardie di pubblica sicurezza; gente, scrive egli, che si trovava nella necessità di aversi del pane; perturbatori numero uno, e mafiosi puro sangue(3). La scelta di simili arnesi a custodi dell’ordine pubblico rivela nel Cimbali la politica dell’uomo di mondo. La si direbbe politica machiavellica. E’ la virtù trasformatrice del denaro che muta anche i faziosi in uomini d’ordine(4). […] Due volte col suo coraggio e la sua prudenza egli salvò il paese da sciagure e da una guerra fraterna.

“La notte del Natale del 1848, alquanti facinorosi […] si lusingavano impaurire il Cimbali e a man salva mettere il paese a sacco. Il Cimbali, avvertito di ciò a tempo, invitò quanti più potè caporioni e sospetti in casa sua. Si bevve allegramente alla salute del paese, quando cominciarono a sentirsi fucilate. Allora egli […] fatto a tutte quelle buone lane un patriottico fervorino che finiva colla sua solita giaculatoria:”Giudizio sul tamburo, polvere e piombo”, uscì con loro a perlustrare le vie. La marmaglia capì che il Cimbali non era il pauroso Meli, cessò le fucilate, e come un lampo, si disperse.(5)

“La seconda volta fu nel Carnevale del ’49. Accorse subito il Cimbali per sedare il tumulto, e con dolci parole e minacce e con qualche bastonata fece diradare la folla minacciante.
Intanto il caporale della compagnia Isola, rimproverato dal Cimbali di quello ingiusto e dissennato procedere, osò rispondergli insolentemente. Alcuni contadini, visto cadere a terra il cappello del Cimbali, credendo che il caporale avesse messo le mani sul capitano, furono sul punto di tirare sulla compagnia, e ci volle tutta la prudenza e autorità sua a persuadere al popolo […]

“Il popolo, che aveva in grande stima il Cimbali, fremette e aspettava la notte per fare sicura vendetta e dell’ insulto al loro capitano giustiziere e della patita onta e violenza. Ma egli colla sua prudenza seppe disarmare la giusta ira.

“[…] Procacciossi il Cimbali affetto e rispetto dal popolo, che gli durò finchè visse; odio dai ducali che non mancarono di macchinargli contro, accusandolo come sovvertitore delle istituzioni patrie; di che ebbe molestie parecchie; solito frutto delle rivoluzioni che danno agli uomini di parte occasione e modi più sicuri di offendere."(6)




Note:

(1) B. Radice, Memorie storiche di Bronte, cit. pag. 390. Nella nota (23) il Radice afferma: “Non mi è riuscito avere che pochi nomi […] fra i quali un Antonino Sanfilippo inteso Genio […].” Questi era un mio antenato da parte materna: infatti mia nonna Nunzia Sanfilippo era detta Genia.

(2) Un ricordo personale: io e i miei fratelli abbiamo studiato per lunghi anni su una scrivania di noce massello, alquanto malandata, che si diceva essere appartenuta ad un Baratta.

(3) A. Cimbali, Ricordi … cit. pag. 59 - E il Radice nella sua nota (49) di pag. 404 scrive: “Della nomina del Cimbali a capitano di giustizia non trovasi cenno alcuno fra i documenti, probabilmente fu nel novembre ed è notevole come egli nel suo libro -“ Ricordi e lettere ai suoi figli”, tutto occupato a dire di sé, non fa motto dello incruento tumulto contro il Nelson.”

(4) Il Radice qui forse allude a Mussolini il quale, nel formare la sua Milizia, arruolò gente sfaccendata e disposta a tutto, pronta al motto “Credere, Ubbidire, Combattere, e a fare carriera.

(5) A. Cimbali, op. cit. pagg. 60/61

(6) B. Radice, op. cit. pagg. 403/6 - passim - Da pag. 407 a pag. 421 è riportato, senza alcun titolo, un saggio di Leonardo Sciascia, sui moti di Bronte dal ’20 al ’60, che io credo dovesse andar messo dopo la monografia “Nino Bixio a Bronte; pertanto ne darò conto dopo aver trattato detto argomento.

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