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L'Artigianato brontese

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Artigiani a Bronte

Storia, Cultura, Arte

1. Murifrabbri - 2. Il Casino de' Civili ed il Fascio dei lavoratori - 3. Mastri d’ascia ed ebanisti - 4. Fabbri - 5. Scalpellini e marmisti - 6. Calzolai - 7. I custureri - 8. Sarte - 9. Ricamatrici


5. Scalpellini e marmisti

C’era chi scolpiva in pietra e in marmo capitelli, chiavi di volta, colonne e statue.

Gli artigiani si facevano costruire anche le tombe come fossero il loro biglietto da visita. Vi mo­striamo qualche particolare di alcune tombe visibili nella parte antica e monumentale del nostro cimitero.

Quella raffigurata nelle foto 30 e 31 è certamente di un pittore (Platania) e l’altra delle foto 32 e 33, che porta scolpiti gli attrezzi da lavoro, è del fale­gname Gaitano Lupo di Giovanni.

Nella foto 34 è raffigurata invece l’immagine di una levatrice, ‘a mammina Nunziata Meli che si può inserire fra gli artigiani perché la chirurgia fino al 1900 era chiamata arte manuale.

Fra gli artigiani del marmo vogliamo ricordare Giusep­pe Biondi che diceva di appartenere alla settima generazione di marmisti. I suoi disegni della Cappella del Santissimo Sacra­mento della chiesa Madre e di un altare (foto 35, 36) dimo­strano che sapeva progettare e scolpire.


6. Calzolai

Dall’attività dei calzolai, chiamati anche “scap­pa­ri”, emerge la ricerca estetica ortopedica, il rispetto per le deformità dovute a malforma­zioni ossee e la capacità di conformare le due scarpe per mime­tiz­zare la patologia del piede deforme da quello sano.

Alfio Longhitano apprendista del calzolaio Mar­tello, trasferitosi a Milano, ha servito una vasta clientela con problemi ortopedici e sen­za togliergli meriti, ha avuto un ottimo maestro.

Un altro calzolaio, Luca, ha aperto a Milano negozi di calzature in corso Buenos Aires, Via Manzoni e Corso Vercelli.

Anche i calzolai, tenevano a bottega numerosi apprendisti, avevano creato una scuola e abbia­mo questa foto di Biagio Serravalle attorniato da ragazzini (foto 37).
Il calzolaio Siracusa, un genio dell’inventiva, rea­liz­zava scarpe da cerimonia nuziale incidendo con una ruotina a caldo due cuori sulla suola, in modo che lo sposo, inginoc­chiato all’altare, li mostrasse agli invitati (foto 38).


7. Sarti

Anche i sarti, chiamati “custureri”, hanno creato la loro scuola da cui sono usciti tanti bravi arti­giani e qualcuno anche eccellente come Carmelo Bianca che è andato all’estero affrontando dif­fi­coltà e sacrifici maggiori di quelli che aveva lascia­to, spinto dal legittimo desiderio di miglio­rare la sua posizione e di essere valutato secondo i propri meriti.

Carmelo Bianca ha fatto il suo apprendistato alla scuola del maestro e cugino Vincenzo Gangi (foto 39, 40, 40a) e col suo bagaglio di tecnica co­strut­tiva è riuscito a conquistare anche i fran­cesi.

Nelle foto 41, 42, 43 notiamo alcune fasi della diffi­cile e perfetta costruzione di un abito da ceri­monia ed il risultato finale. Per questi suoi meriti gli è stato conferito nel 1994 un atte­stato di “miglior sarto” di Francia e una meda­glia d’oro (foto 44, 45).


8. Sarte

Le sarte dai cataloghi (foto 46) apprendevano le novità della moda; leggevano i racconti a pun­ta­te, tratti dalla biblioteca per signorine, di autrici come Ginevra Speranz che le facevano sognare. Impa­ravano l’italiano e si istruivano con la pub­blicità espressa anche con termini scientifici (foto 47).

La pubblicità del primo depilatore a pila è del 1900 (foto 48).

Ogni sarta aveva un suo laboratorio, (foto 49, 50) molto frequentato e solo dopo una lunga gavetta di cucito le apprendiste apprendevano il taglio del tessuto. La sarta D’amico per imparare il mestiere era stata mandata dal padre, fabbro, a Catania dalle sorelle Macca­rone, sarte origina­rie di Bronte (foto 51) che servivano una clientela più esigente di quella brontese.

In seguito ha gestito anche lei la sua scuola a Bronte e, come si nota nella foto 52, nume­rose erano le giovani apprendiste che la frequen­tava­no.
La D’amico usava tagliare la stoffa su model­lo, la accostava al corpo, la segnava col gessetto e conformava il vestito al fisico della cliente.


9. Ricamatrici

Le ricamatrici erano autentiche falsarie, lo testi­mo­niano i loro lavori che con le sfumature dei colori dei filati imitavano la perfezione della natura e la trasferivano sul lino e sulla seta. Le stradine di Bronte erano gremite di ragazze che sedute davanti alla loro porta cucivano e ricama­vano ma le ricamatrici che hanno fatto scuola sono state la Gulino, le Spitaleri, le Prestianni.

C’erano anche i ricami fatti dalle nostre nonne che copiavano da cataloghi cui erano abbonate.

Nella foto 53 potete vedere, un reperto storico, “Mani di fata” del 1886, la prima edizione in fran­cese. Lingua che certamente le nostre nonne non cono­scevano ma con le spiegazioni per immagini riusc­ivano lo stesso a “nèsciri u puntu” e se­guen­do lo schema realizzavano frange ai fuselli (foto 54, 55), coperte all’uncinetto (foto 56), ai ferri curvi come questi visibili nelle foto che pochissimi conoscono (foto 57, 58), ricami imbottiti (foto 59) che stira­vano con piccoli ferri personalizzati col mono­gram­ma che venivano dati in dote insieme al corredo (foto 60).

C’era anche un artigianato modesto, fatto da quei ragazzi che erano andati prima dal mastro e do­po, per le loro modeste capacità di diventare artigiani, erano tornati all’agricoltura ma sape­va­no costruire cascie e buffette, poco rifinite e in abete: manufatti a cui i rigattieri hanno dato dignità chiamandoli arte povera.

Concludo questa parziale analisi, vista da una personale angolazione, nella convinzione di fare emergere il pensiero dei nostri artigiani che riten­go siano stati protagonisti nell’arricchi­mento della nostra formazione culturale affinando il nostro gusto estetico.

E non solo, hanno lasciato ai figli che contin­uano il loro stesso mestiere, a quelli laureati e a quelli che occupano posti di prestigio, un’orgogliosa eredità di appartenenza.

Laura Castiglione
21 Maggio 2016 

Foto 30 e 31 - Tomba del pittore PlataniaFoto 32 33 - Tomba del falegname Gaitano Lupo fu Giovanni, discen­dente di mastro Tomaso Lupo, di cui alla foto 10.Foto 34 - Tomba di Nunziata Meli, mammina
Foto 35, 36 e 36a - I disegni preparatori del marmista Giuseppe Biondi per la ristrutturazione della Cappella del SS. Sacramento della chiesa della Matrice.

Foto 37 - Il calzolaio Biagio Serravalle ed i suoi cinque piccoli "picciotti"

Foto 38 - Un'idea inge­gno­sa del calzolaio Sira­cusa: le scarpe dello sposo con i cuori incisi a caldo sulle suole in modo che lo spo­so, inginocchiato all’altare, li mostrasse agli invitati.

Foto  39 - La bottega di Vincenzo Gangi
(1950, in alto al centro) con Nunzio Di Bella ("Baddaru"), Carmelo Bianca, Arcangelo Gor­gone ed altri piccoli apprendisti.
Foto 40, 40a  - Carmelo Bianca, premiato nel 1994 come miglior sarto di Francia. A destra con il suo maestro  Vincenzo Gangi.
Foto 41, 42, 43 - Alcune fasi sartoriali della per­fetta realizzazione di un abito da cerimonia da parte di Carmelo Bianca, “Custuréri” a Bronte, Couturier  a Marsiglia.
Foto 44, 45 - Bianca in occasione della cerimonia di premiazione con Medaglia d'oro come "Miglior sarto di Francia". La consegna del premio fu fatta dal Presidente Mitterand all'Eliseo.
Foto 46, 47, 48 - Cataloghi utilizzati dalle sarte nei primi anni del 1900. Oltre a raffinarsi nell'atti­vità sartoriale le "mastre" brontesi imparavano l'italiano e si istruivano anche con la pubblicità.à.
Foto 49, 50 - Ogni sarta (' a mastra) aveva un suo laboratorio ed una sua "scuola". Nella foto a de­stra (del 1928) quello della mastra Concettina Longhitano “Cesare” (1895 - 1973), che (nel Corso Umberto, di fronte all'Àbburu)  gestì per lungo tempo una rinomata sartoria negli anni tra la prima e la seconda Guerra Mondiale.
Foto 51, 52 - Nella foto a sinistra le sorelle Maccarrone, sarte brontesi trasferitesi a Catania; a de­stra la sartoria brontese di una loro allieva, a mastra Signora D'amico.
Foto 53, 54, 55, 5656
Foto 57, 58, 59, 60

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