Alfio Longhitano apprendista del calzolaio Martello, trasferitosi a Milano, ha servito una vasta clientela con problemi ortopedici e senza togliergli meriti, ha avuto un ottimo maestro. Un altro calzolaio, Luca, ha aperto a Milano negozi di calzature in corso Buenos Aires, Via Manzoni e Corso Vercelli. Anche i calzolai, tenevano a bottega numerosi apprendisti, avevano creato una scuola e abbiamo questa foto di Biagio Serravalle attorniato da ragazzini (foto 37). Il calzolaio Siracusa, un genio dell’inventiva, realizzava scarpe da cerimonia nuziale incidendo con una ruotina a caldo due cuori sulla suola, in modo che lo sposo, inginocchiato all’altare, li mostrasse agli invitati (foto 38). 7. Sarti
Anche i sarti, chiamati “custureri”, hanno creato la loro scuola da cui sono usciti tanti bravi artigiani e qualcuno anche eccellente come Carmelo Bianca che è andato all’estero affrontando difficoltà e sacrifici maggiori di quelli che aveva lasciato, spinto dal legittimo desiderio di migliorare la sua posizione e di essere valutato secondo i propri meriti. Carmelo Bianca ha fatto il suo apprendistato alla scuola del maestro e cugino Vincenzo Gangi (foto 39, 40, 40a) e col suo bagaglio di tecnica costruttiva è riuscito a conquistare anche i francesi. Nelle foto 41, 42, 43 notiamo alcune fasi della difficile e perfetta costruzione di un abito da cerimonia ed il risultato finale. Per questi suoi meriti gli è stato conferito nel 1994 un attestato di “miglior sarto” di Francia e una medaglia d’oro (foto 44, 45). 8. Sarte
Le sarte dai cataloghi (foto 46) apprendevano le novità della moda; leggevano i racconti a puntate, tratti dalla biblioteca per signorine, di autrici come Ginevra Speranz che le facevano sognare. Imparavano l’italiano e si istruivano con la pubblicità espressa anche con termini scientifici (foto 47). La pubblicità del primo depilatore a pila è del 1900 (foto 48). Ogni sarta aveva un suo laboratorio, (foto 49, 50) molto frequentato e solo dopo una lunga gavetta di cucito le apprendiste apprendevano il taglio del tessuto. La sarta D’amico per imparare il mestiere era stata mandata dal padre, fabbro, a Catania dalle sorelle Maccarone, sarte originarie di Bronte (foto 51) che servivano una clientela più esigente di quella brontese. In seguito ha gestito anche lei la sua scuola a Bronte e, come si nota nella foto 52, numerose erano le giovani apprendiste che la frequentavano. La D’amico usava tagliare la stoffa su modello, la accostava al corpo, la segnava col gessetto e conformava il vestito al fisico della cliente. 9. Ricamatrici
Le ricamatrici erano autentiche falsarie, lo testimoniano i loro lavori che con le sfumature dei colori dei filati imitavano la perfezione della natura e la trasferivano sul lino e sulla seta. Le stradine di Bronte erano gremite di ragazze che sedute davanti alla loro porta cucivano e ricamavano ma le ricamatrici che hanno fatto scuola sono state la Gulino, le Spitaleri, le Prestianni. C’erano anche i ricami fatti dalle nostre nonne che copiavano da cataloghi cui erano abbonate. Nella foto 53 potete vedere, un reperto storico, “Mani di fata” del 1886, la prima edizione in francese. Lingua che certamente le nostre nonne non conoscevano ma con le spiegazioni per immagini riuscivano lo stesso a “nèsciri u puntu” e seguendo lo schema realizzavano frange ai fuselli (foto 54, 55), coperte all’uncinetto (foto 56), ai ferri curvi come questi visibili nelle foto che pochissimi conoscono (foto 57, 58), ricami imbottiti (foto 59) che stiravano con piccoli ferri personalizzati col monogramma che venivano dati in dote insieme al corredo (foto 60). C’era anche un artigianato modesto, fatto da quei ragazzi che erano andati prima dal mastro e dopo, per le loro modeste capacità di diventare artigiani, erano tornati all’agricoltura ma sapevano costruire cascie e buffette, poco rifinite e in abete: manufatti a cui i rigattieri hanno dato dignità chiamandoli arte povera. Concludo questa parziale analisi, vista da una personale angolazione, nella convinzione di fare emergere il pensiero dei nostri artigiani che ritengo siano stati protagonisti nell’arricchimento della nostra formazione culturale affinando il nostro gusto estetico. E non solo, hanno lasciato ai figli che continuano il loro stesso mestiere, a quelli laureati e a quelli che occupano posti di prestigio, un’orgogliosa eredità di appartenenza. Laura Castiglione 21 Maggio 2016 |