Da ragazzo avevo sentito parlare di Padre Messineo come del più importante e del più giovane dei tre Gesuiti brontesi che erano per anzianità P. Camuto,
economo al Collegio Pennini di Acireale, P. Luigi Franco, preside del Ginnasio-Liceo dello stesso istituto, e lui che era già scrittore di Civiltà
Cattolica. Ma la conoscenza personale avvenne nei primissimi anni cinquanta a Bari, dove mi
ero sposato ed insegnavo. Durante la Quaresima del 1951 o ‘52 (?)
lessi su La Gazzetta del Mezzogiorno che nei giorni precedenti la Pasqua si sarebbe tenuto un triduo, a cura dei Padri Gesuiti del Collegio Di Cagno
Abbrescia, e le prediche sarebbero state pronunciate da P. Antonio Messineo S. J., scrittore di Civiltà Cattolica, nella chiesa centrale di S. Ferdinando.
La mia gioia fu grande perché finalmente potevo conoscere un tanto concittadino, quindi mi recai all’istituto che lo ospitava e mi presentai. La
sua accoglienza mi dimostrò che anch’egli provava lo stesso piacere di conoscere inaspettatamente un concittadino, figlio di un vecchio amico. Dopo
gli inevitabili convenevoli gli dissi che avrei fatto in modo di potere andare a sentirlo, dato che il triduo si sarebbe tenuto durante le messe mattutine.
Così avvenne: la sua prima predica fu avvincente, perché aulica e pronunziata con voce maschia, ma alla fine, quando mi avvicinai per congratularmi con lui
con il rituale prosit, vidi sul suo volto la delusione per avere notato la scarsità di un uditorio qualificato e adeguato a tanto predicatore. Quasi a
confortarlo, ma non solo, lo invitai a venire a casa mia a bere un caffè, cosa che accettò con molta naturalezza e con piacere. Arrivati a casa, con la mia “500 C“, mia moglie che sapeva dove ero andato, ma non pensava che avrei condotto l’ospite a casa, sorpresa, preparò in fretta il caffè che sorbimmo nel
mio studio. Quel caffè non mi piacque perché era il peggiore che avesse preparato mia moglie, perciò guardavo P. Messineo il quale, però, non fece una
grinza, ma avrà pensato che quella era per lui la giornata delle delusioni. Ad ogni modo, dopo una breve conversazione quasi famigliare, io gli proposi un
giro turistico per Bari, per fargli dimenticare il pessimo caffè. Egli anche questa volta accettò di buon grado non solo per conoscere un po’ Bari, ma, forse, per non tornare troppo presto fra i suoi confratelli con cui era
abbastanza irritato. Gli feci percorrere il lungomare fino alla Basilica di S. Nicola, che ammirò estasiato per l’imponenza di questa costruzione di stile romanico-pugliese del 1080; poi visitammo la cattedrale e quindi il Castello
svevo-aragonese, che sono nella stessa zona. Dopo avergli fatto vedere questi
tre indimenticabili monumenti, lo riaccompagnai al Collegio che allora era
all’inizio di Via Napoli, cioè vicino al Castello. Ci congedammo entrambi
soddisfatti delle seconda parte della mattinata, con un arrivederci all’
indomani. Ritornato a casa dissi a mia moglie che il caffè non mi era affatto piaciuto,
ma che il nostro ospite non aveva fatto cenno di disgusto; al che essa,
mortificata, mi confessò che quando eravamo arrivati inaspettati, lei stava
facendo le tagliatelle e, per fare presto il caffè, aveva usato l’acqua che
aveva riscaldato, ma senza ricordarsi che vi aveva aggiunto del sale: per
sdrammatizzare ci mettemmo a ridere, mentre io mi ripromettevo di scusarmi con
Padre Messineo raccontandogli l’accaduto. Il giorno dopo l’uditorio qualificato fu leggermente più numeroso e la sua
predica più convinta e dopo un caffè al bar, durante il quale gli spiegai
perché il caffè di mia moglie era stato disgustoso, per cui gli chiedevamo
scusa e nello stesso tempo lo ringraziavamo per averlo bevuto come Socrate
aveva fatto con la cicuta, Egli molto paternamente mi disse che non se ne era
neppure accorto, ma che del resto aveva “bevuto” ben altro. Chiuso
l’incidente, lo accompagnai a visitare la basilica dei Cappuccini a Santa Fara,
facendo al ritorno il giro dalla Fiera del Levante. Anche questa giornata passò
più tranquilla della prima, in un clima più sereno durante il quale mi permisi
di esternargli le mie impressioni sulle sue prediche: gli dissi che,
ascoltandolo, mi era venuto in mente Fénelon[3], e il mio spontaneo complimento,
forse poco azzeccato, lo lasciò un po’ interdetto, ma gentilmente finse di
accettarlo. L’ultimo giorno l’affluenza di pubblico qualificato fu maggiore e il triduo
ebbe una conclusione più degna e gratificante; ed io, continuando e integrando
l’apprezzamento del giorno precedente, lo paragonai ai grandi predicatori
d’inizio secolo, come P. Giovanni Semeria[4], barnabita; ma anche questo
riferimento fu poco opportuno perché il barnabita era stato un Modernista,
condannato dalla Chiesa al silenzio. Tuttavia Padre Messineo non profferì verbo
e, paternamente, mi diede il suo affettuoso commiato, invitandomi ad andarlo a
trovare se fossi capitato a Roma. Queste due gaffe viste adesso non mi sembrano più tali, ma non perché Padre
Messineo fosse effettivamente paragonabile né a Fénelon, né a Semerìa, se non
nell’eloquio, ma per la mia incoscia propensione e simpatia verso i personaggi
critici nei confronti della Chiesa, come hanno dimostrato i miei interessi per
“Riformisti ed eretici del Medio Evo” di A. De Stefano, per Ernesto Buonaiuti[5] col suo Pellegrino del mondo, e, in questi ultimi anni, i miei
scritti su Antonino De Stefano[6] e Vincenzo Schilirò. Rividi Padre Messineo, al quale da allora scrissi qualche biglietto in varie
occasioni, nel 1953 in occasione di un mio viaggio a Roma per concorsi. Allora
per l’esame orale noi dovevamo fare anche una “lezione”, il cui
argomento ci veniva assegnato per sorteggio un giorno prima; a me l’argomento
fu sorteggiato il sabato pomeriggio per il lunedì mattina; quindi non avevo
nessuna possibilità di andare in biblioteca per prepararmi adeguatamente. Allora telefonai a Padre Messineo il quale senza esitazione mi disse di andare
pure la domenica mattina alla sede di Civiltà Cattolica in Via di Porta
Pinciana, 1, dove avrei potuto usufruire della loro biblioteca che curava lui
stesso. In quella occasione vidi la nuova sede che era ancora in allestimento
(mancavano i salottini di ricevimento) e pertanto fui ricevuto nella stanza del
Padre che guardava sul retro di Trinità dei Monti e piazza di Spagna, un
indimenticabile panorama, e da lui fui accompagnato nella biblioteca dove egli
stesso mi fornì i libri per potere preparare la mia lezione di latino. La mia
riconoscenza per lui fu grande e da allora ogni qualvolta capitai a Roma non
mancai mai di andare a farli visita e fui ricevuto sempre con grande cordialità
ed interessamento. Nel 1962/63 mi trasferii a Roma ed ebbi l’opportunità di conoscere anche il
nipote di Padre Messineo, Nunzio, che era impiegato al Ministero delle Finanze
e del Tesoro, in Via XX Settembre, dove in seguito fece una bella carriera
specialmente sotto il ministro Stammati. Con Nunzio e la sua famiglia ci
frequentammo finchè abitò in viale delle Province, ma quando si trasferì a
Monte Sacro, nel Villaggio Talenti, la nostra frequentazione diminuì per le
distanze e i nostri molti impegni. A proposito di Talenti, il quale era un grosso imprenditore edile dell’epoca,
amico del nostro illustre concittadino, devo dire che Padre Messineo era anche
un uomo politico, e avrebbe preferito che la Democrazia Cristiana, si scindesse
in due partiti: e lui propendeva per quello di destra che, però, non riuscì mai
ad avere vita autonoma. I miei rapporti con Padre Messineo, durante i miei 25 anni di permanenza a
Roma, furono costanti e cordiali e qualche volta siamo usciti assieme, passando
spesso dalla sede della rivista “Idea“[7], era nella stessa via di Porta Pinciana, quasi all’angolo della famosa via Sistina, prima di accompagnarlo
alla chiesa di Trinità dei Monti, dove confessava e celebrava Messa. Una
curiosità: quando telefonavo e chiedevo di Padre Messineo, dicevo di essere
Nicola Lupo, e subito il centralinista mi rispondeva: “subito, dottore!“ Dopo
capii che mi confondeva con mio cugino Vito, grande e più intimo amico del
Nostro, e da allora, fui costretto a premettere la qualifica di professore. Un giorno ero andato a trovarlo e mi ricevette
nel suo studio di bibliotecario dicendomi: “Permetta che finisca questo
lavoretto e poi usciamo insieme.” Intanto che lui vedeva delle carte, io
guardavo un’alta pila di libri che stavano sulla sua scrivania e, appena ebbe
finito il suo lavoro, preso dalla curiosità, gli domandai: “Sono tutti libri
da recensire? E come fa a leggerli tutti?“ Egli, guardandomi con un sorriso
sornione, prese uno dei libri e disse: “Guardo e leggo la copertina, poi la
controcopertina e l’eventuale risvolto, quindi sfoglio così a caso - e così
dicendo aveva preso il tagliacarte che era sul tavolo e tagliò a caso un
quinterno, (allora i libri non avevano la costa rifilata e quando non erano
letti si diceva che erano intonsi) - leggo la pagina che mi è capitata sott’occhio, e quindi scrivo la mia recensione. Come potrei fare altrimenti?” Avevo imparato un altro segreto, ma per riuscirci bisogna avere qualcosa che p.
Messineo aveva ed altri non hanno: la perspicacia e l’intuito guidati da lunga
esperienza. Arrivò il triste anno ’78 e la sua fine: conosciuta la data e l’ora dei
funerali, celebrati nella cappella di Villa Malta, mentre ero a scuola,
(insegnavo da tre anni alla Media L. Ariosto, vicino casa) chiesi solo un’ora
di permesso per rendere l’ultimo omaggio al mio benevolo grande amico; ma feci
male perché potetti sentire solo l’elogio funebre, tenuto dall’allora
direttore, Padre Bartolomeo Sorge[8], e non vidi né salutai il nipote Nunzio, il
quale si offese e non rispose neppure alle condoglianze inviategli subito dopo
per lettera. Come rivedo Padre Messineo: un uomo alto e robusto in cui spiccavano gli occhi
vivaci e indagatori e una voce bene impostata, in un viso dal caratteristico
colorito scuro dei siciliani, che lo facevano sembrare una scultura di bronzo o
una pittura del Caravaggio; ma la sua grande umanità contrastava
gradevolmente con le fattezze rudi delle sue schiette e genuine origini
contadine, che hanno dato all’umanità personaggi come il ven. Ignazio Capizzi e
Papa Giovanni XXIII. Bari, 9 gennaio 2005
Nicola Lupo --------------------- Note:
(2)
La Civiltà Cattolica del 20.5.78 e idem del 3.6.78 a cura di Padre Domenico Mondrone S.J. pp. 468/73.
(3) Fénelon, Francois de Salignac de la Mothe
(1651-1715), ecclesiastico e scrittore francese; precettore del Delfino Luigi,
duca di Borgogna, per cui scrisse il romanzo pedagogico le Avventure di
Telemaco (1699). Seguace del pietismo fu condannato dalla Chiesa e si
ritirò a Cambrai, di cui era arcivescovo. Lettere sulle occupazioni dell’
Accademia.
(4) Semeria, Giovanni (1867-1931), di Coldirodi
(Imperia), barnabita, grande predicatore Modernista, fu scomunicato e ridotto
al silenzio; si rese popolare e benemerito anche per la sua opera durante la
guerra 1915-18, cui partecipò come cappellano militare al comando supremo; nel
dopoguerra fondò l’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia per gli orfani
di guerra. E’ ricordato dal nostro Vincenzo Schilirò. (vedi nel sito alla mia
pagina dedicata a lui.)
(5) Buonaiuti, Ernesto (1881- 1946), di Roma,
sacerdote e storico delle religioni, tra i maggiori esponenti del Modernismo in
Italia; fu scomunicato (1926). Lettere di un prete modernista, Storia del
Cristianesimo.
(6) De Stefano, Antonino, nato a Vita (TP) il 4.8. 1880,
ma vissuto a Erice (TP), seminarista a Monreale poi passato al Pontificio
Seminario Romano, dove conobbe e fu molto amico del Buonaiuti, ordinato con lui
sacerdote nel 1903, fu prima nella sua diocesi di Trapani, ma poi si trasferì a
Ginevra dove, dopo il 1907, anno della condanna da parte di Pio X del movimento
modernista, fondò e diresse la rivista “Revue moderniste internazionale”.
Altre sue opere: Riformatori ed eretici del Medioevo, Chiesa ed eresia,
Federico II e le correnti spirituali del suo tempo, L’idea imperiale di
Federico II, La cultura alla corte di Federico II imperatore. Morto a
Palermo nel 1964.
(7) A proposito della rivista “Idea“ a pag 3 di 6 si
dice “Negli ultimi tempi divenne anche collaboratore assiduo della rivista
Idea […]” e nel riquadro accanto, che riguarda la Civiltà Cattolica, si
dice: “Prestò la sua valida opera anche nella direzione della rivista
Idea [...].” Consultato telefonicamente p. Guido Valentinuzzi S. J.,
bibliotecario di Civiltà Cattolica, egli mi dice che P. Messineo fu un assiduo
collaboratore di Mons. Pietro Barbieri, direttore della rivista, nella cui sede
il Nostro passava mezze giornate intere, ma non ne fu direttore perché non
poteva esserlo in quanto Gesuita che avrebbe dovuto avere una particolare
autorizzazione.
(8) P. Gian Paolo Salvini nella succitata lettera del
25.3.’97, scrive anche: “Non mi risulta invece un ricordo pubblicato da p.
Sorge, che probabilmente, come Direttore, tenne l’omelia funebre, ma senza poi
pubblicarla. Io a quel tempo ero ancora a Milano.”
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