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I parlamentari brontesi

I personaggi illustri di Bronte, insieme

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Giacomo Meli, Giuseppe Castiglione, Placido De Luca, Francesco Cimbali, Vincenzo Saitta, Luigi Castiglione, Antonino Isola, Biagio Pecorino, Vito Bonsignore, Pino Firrarello, Salvatore Leanza, Nunzio CalannaFranco Catania, Giuseppe Castiglione


Fu uno dei 443 depu­tati che nel 1861 approvarono la nascita della Nazione

Placido De Luca

Placido De Luca, nato a Bronte il 5 Ottobre 1803 da Vincenzo e Francesca Saitta e morto a  Parigi il 1° novembre del 1861, è stato il primo deputato della Città di Bronte.

Nel sito storico della Camera figura con il nome di Pasquale Placido De Luca accom­pagnato da una foto che lo ritrae con una lunga barba (vedi a destra; l'analogo disegno a sinistra è di Aristide Calani, Il Parlamento del Regno d'Italia, 1861).

Persona di grande cultura, fu - come scriviamo in altra pagina del nostro sito - un insigne economista ed un giuri­sta di fama internazionale, fratello del Card. Antonino Saverio (Nunzio apostolico di papa Gregorio XVI e di Pio IX presso la Corte di Baviera e di Vienna). Autore d'importanti libri di scienza economica e di statistica propugnò sempre, da convinto difensore, il principio della libertà del lavoro e dell'industria.

Il De Luca fu uno dei 443 depu­tati che il 14 Marzo del 1861, nell'aula semicircolare di Palazzo Carignano a Torino, ad unanimità di voti, pro­clama­rono Vit­torio Emanuele Re d'Italia, approvando la legge istitutiva del Regno d'Italia e la nascita della Nazione. Risultò infatti eletto al primo Parlamento Ita­liano nel Col­legio di Regalbuto (di cui faceva parte anche Bronte), con 334 voti su 455 elettori.

I pochi elettori si spie­gano col fatto che in quel periodo (e fino al 1912) la legge eletto­rale prevedeva il diritto di voto solo ai maschi di almeno 25 anni di età che sapevano leggere e scrivere e su base censuaria (dovevano almeno pagare 40 lire d'imposta all'anno). E' ovvio che questa legge elettorale favoriva le classi abbienti del Nord del Paese, emargi­nando di conseguenza la rappresentanza delle popo­lazioni del Sud Italia, appena liberato dai Borboni.

Le elezioni si svolsero il 27 gennaio e il 3 febbraio 1861 e su 22 milioni di italiani ne furono ammessi al voto solo 418.696. Ma per via anche dell'astensione dei cattolici, invitati dal Papa a disertare le urne, i 443 deputati, alla fine, furono eletti da 239.583 votanti, l'1,1 per cento del totale. Gran parte degli eletti apparteneva alla nobiltà (conti, baroni, etc.), agli ordini cavallereschi e, come appunto il De Luca, alla borghesia delle professioni (avvocati, medici, ingegneri, ...).

Nel riquadro sotto vi presentiamo una lettera scritta il 21 feb­braio 1861 dal neo deputato Placido De Luca all'amico Anto­nino Cimbali, una delle perso­nalità più influenti a Bronte in quell'epoca, nella quale fa un anali­tico resoconto dei nove giorni impiegati nel lungo e faticoso viaggio per andare da Bronte a Torino. Vi si recava, insieme ad altri Deputati della Sicilia e della Sar­degna, per partecipare, il 18 Febbraio 1861, alla prima seduta del Parla­mento del Regno d'Italia che, nell'aula semicircolare di Palazzo Carignano a Torino, approvò la legge istitutiva del Regno d'Italia.

La lettera, semplice e discorsiva, è un piccolo documento storico a testi­mo­nianza dei tanti episodi del Risor­gimento nazionale ed è, a nostro avviso, davvero prezioso ed importante. Disgraziatamente, all'illustre economista brontese, deputato del Collegio di Regalbuto, non fu consentito dalla sorte di prendere larga e duratura parte alla prima legislatura del Regno d'Italia (1861-1865), che avrebbe avuto in lui, economista e giurista di fama internazio­nale, una delle più figure più importanti. «La morte - scrive B. Radice - troncò la sua attività scientifica e politica in favore della rinnovata vita italiana, e alla Patria mancò un futuro sagace ministro delle Finanze.»

Esaurito dal male che lo tormentava da tempo, egli, nel novembre di quello stesso anno 1861, morì in Parigi dove fu sepolto. La sua morte fu annunziata alla Camera nella tornata del 5 dicem­bre.

Di Placido De Luca non abbiamo trovato alcun discorso parlamen­tare: aveva presentato bensì, da solo, un Progetto di legge sull'ordina­mento della Commissione statistica del Regno d'Italia (in dieci articoli, presentato il 17 aprile 1861) e, insieme con altri deputati siciliani, un Progetto di legge intorno al riordinamento giudiziario in Sicilia.
Durante la sua permanenza da parlamentare a Torino - scrive Aristide Calani (Il Parlamento del Regno d'Italia, 1960) - il professore De Luca, «oltre all’adempiere con solerzia ed accuratezza i propri doveri negli ufficî e nell’aula dell’Assemblea nazionale, si è prestato anche a dare nell’università di Torino un corso di lezioni d’economia pubblica, che è molto seguito».
(nL)
 

Il lungo viaggio di De Luca da Bronte a Torino

Torino, 21 febbraio 1861

Mio carissimo Cimbali,

La prima lettera, che dirigo in Bronte è questa, e valga per tutti, amici e parenti per saper di me, della mia salute e del mio benestare.
Come sai e parmi di averti scritto, da Catania partimmo la sera del nove, e l'indomani fummo in Messina; e, imbarcatici a ventidue ore, da Messina giungemmo a Palermo il dì undici. La sera del tredici a mezzanotte partimmo da Palermo alla volta di Sardegna, ove giun­gemmo la mattina del quindici nel porto di Cagliari per prendere quei Deputati e Sena­tori. Lì sapemmo la notizia della resa di Gaeta (la roccaforte borbonica in cui si era rifu­giato Francesco II caduta il 13 febbraio, dopo 102 giorni di assedio, NDR), che festeg­giammo la sera al pranzo, vuotando due bottiglie di sciarnpagna, regalateci dal Capi­tano.

Partiti da Cagliari verso mezzogiorno, navigammo pel dì sedici costeggiando la Corsica; e poscia uscendo dal Capo Corso ed entrando nel Golfo di Genova il mare facea sen­tirsi un poco. Ma la mattina sul far del giorno diciasette già vedevamo la bellissima Città dispo­sta ad anfiteatro su quelle colline che la dominano e, poco dopo, verso le otto antimeridiane, entrammo in quel vasto porto pieno zeppo di navigli.
Era già la vigilia dell'apertura del Parlamento, e quindi non ci era tempo da perdere. Subito c'inviammo alla strada ferrata, che puntò un viaggio straordinario per le tre e mezzo pomeridiane per noi deputati di Napoli e di Sicilia, raccolti a Genova.

Alle otto della sera eravamo già in Torino, dopo di avere attraversato gli Appennini carichi di neve, ma leggiera: il cielo era sereno, e non tirava vento. Fatto sta che tutto quel rigore di clima che ci si dicea, io non ho trovato qui; perché, a dirti la verità, senti­vo più freddo costì a Bronte venti giorni sono, che qui in Torino.

Trovai il mio alloggio ben preparato per l'amicizia del signor Antonio Currò stanziato a Genova: oltre alla sala ed anticamera comuni col padrone di casa, ho due belle stanze, benissimo addobbate, una per ricevere e l'altra per dormire, Dora, Grossa, n. 45, secondo piano.
In questi giorni era difficilissimo il trovare alloggio; e molti di quei che vennero con me la stessa sera fur malissimo alloggiati, finché poi passata la festa e sfollata la città so­no­si alla meglio collocati; mentre io giunsi come a casa mia; e vi sto benissimo.

Avrete letto ne' giornali quale sia stato il Discorso del Re, quale l'entusiasmo che sve­gliò nell'adunanza. La solennità è riuscita che meglio non si poteva; e questo avveni­mento sarà uno de' fasti primari della nostra storia. La Camera divisa in Uffici si sta occupando dell'esame dell'elezioni; ma di quelle di Sicilia n'eran venute poche sino jeri, tra le quali non ci era la mia.

Io non ho da temere altro fuorché il sorteggio, giacchè de' professori d'Università non possono essere De­pu­tati che un ottavo del quinto, ossia una quarantesima parte. Or questo numero sarà ecce­duto è quindi andremo in sorteggio per chi deve restare.

La mia salute va bene; spero che sia altrettanto di tutti voi altri e dei parenti miei che mi salute­rai nella persona di Sebastiano, il quale assumerà di far le mie parti con tutti gli altri.

Ed abbracciandoti affettuosamente e baciando la mano del Padre Rizzo mi dico




Biagio Pecorino

SEN. DR. BIAGIO PECORINOBiagio Pecorino, senatore della Repubblica, medico, nato a Bronte il 10 Gennaio 1909 e morto a Catania all'età di 74 anni il 31 Gennaio 1983, è stato un  famoso chirurgo, primario prima all'ospedale Castiglione-Prestianni di Bronte e successivamente all'Ospedale Vittorio Emanuele di Catania.

Uomo di singolare umanità, generoso e grande oratore fu un trascina­tore di popolo grazie sopratutto alla sua grande disponibilità e le attenzioni che riservava ai meno abbienti.

Eletto per la prima volta nelle elezioni nazionali del 7 maggio 1972 (VI legislatura) con larga messe di suffragi nella lista del Movimento Sociale Italiano (35.595 voti, 29,71%), è stato il primo senatore brontese a sedere fra i banchi di Palazzo Madama, per ben tre legislature consecutive.

Fu infatti rieletto nelle successive elezioni politiche del 20 Giugno 1976 (VII legislatura) con 24.766 voti (18,99%), sempre nelle liste del "Msi-Destra nazionale" e nelle elezioni del 3 Giugno 1979 (VIII legislatura) con 23.844 voti (18,33%).

Nunzio Ciraldo, il sen. Biagio Pecorino (al centro) e Giorgio Almi­rante durante un comizio del MSI in Piaz­za Spedalieri.

 

Sedette fra i banchi di Palazzo madama fino al gennaio del 1983 quando morì.

Biagio PecorinoNel Senato fece sempre parte del Gruppo MSI - Destra Nazionale (con un breve periodo nel Gruppo Misto) e per 11 anni, dal dal 4 Luglio 1972  al 31 gennaio 1983 (l'anno della sua morte), ricoperse l'incarico di Membro della 12ª Commissione permanente "Igiene e sanità".

E' stato anche consigliere provinciale del MSI (all'epoca presidente della Provincia era l'ing. A. Drago).

Un profilo della sua persona ce lo ha fornito Nunzio Ciraldo, anche lui brontese, allievo politico e soprattutto suo indi­scusso amico (L. Putrino in “Bronte Eventi”, n. 4, Dicembre 2003):
«Avevo 14 anni quando l'ho conosciuto - racconta Ciraldo -. Lui uomo di mezza età, alto magro, con un sottile baffetto, sguardo bonario e un'aria da “Gentiluomo di campagna”. Chirurgo eccellente, primario all'Ospedale V. E. di Catania; “u dutturi” per i brontesi, suoi concittadini …  Biagio Pecorino  aveva due figli, Vincenzo, nato malato, e Agostino.
Leader politico dell'Msi - continua Ciraldo - fu un trascinatore di popolo grazie alla sua  disponibilità per tutti ed all'atten­zione per i meno fortunati. Svolgeva la sua professione privata presso una sua clinica in via Macallè, poi in via San Vito, a Catania. Strana attività la sua, perché, - precisa Ciraldo - o per amicizia o per bisogno, pochi erano quelli che pagavano le sue prestazioni.
Ad un certo punto, verso la fine degli anni '60 la sua vita cambiò radicalmente. Perse in successione il figlio Vincenzo e dopo, in un tragico incidente d'auto, Agostino, giovane universitario in medicina sul quale aveva riposto tutte le sue speranze. Il suo sguardo si spense, le sue spalle si incurvarono e solo la politica gli consentì di continuare a vivere.

Dalla morte di Agostino - continua emozionato Ciraldo - si rifiutò di tornare a Bronte dove il figlio aveva studiato al Collegio Capizzi.
Saliva sì tutte le domeniche accompagnato da Angelo (suo autista fino alla fine) ma si fermava al cimitero, dai figli.

I Brontesi però presero l'abitudine di andarlo a trovare in quel luogo: guardava analisi e radiografie, fissava appuntamenti, scambiava qualche saluto con amici e "camerati" e poi via di nuovo in città... Una parte dei suoi beni servì per costruire a Catania un Istituto per giovani handicappati dedicato ai figli Vincenzo e Agostino».

Oltre ai numerosi riconoscimenti avuti in vita, dopo la sua morte, Bronte e Catania, hanno dedicato a Biagio Pecorino due vie. A Catania il Viale Biagio Pecorino, un'arteria lunga circa un chilometro, si trova nel quartiere di San Giorgio.
 

Um ricordo di Nicola Lupo

Il dott. Biagio Peco­rino era amico di mio padre e nostro, come mio nonno era stato ami­co di suo padre il quale gli aveva affittato un locale, ac­can­to a quello di Destro, che mio nonno adibiva a ma­gazzino.

 Il nostro amico lavorò quasi sempre come chirurgo all'ospe­dale Vittorio Emanuele di Cata­nia che era ubicato nella zona popolare di S. Cristoforo, che poi gli die­de i voti neces­sari per es­sere eletto senatore, memore della sua grande dispo­nibilità a favore di tutti, ma special­mente dei più bisognosi..

A noi che nell'anno accademico 1938/39 abitavamo in quella zona, vicino al castello Ursino, quan­do ne ave­vamo bisogno veniva a visitarci e a cu­rarci. Come fe­ce con mio padre nel dicembre del 1943, quando ten­tò, purtroppo inutilmente, di salvargli la vita.

Io lo rividi l'ultima volta una notte alla stazione Ter­mini: prende­vamo il vagone letto, io per Catan­zaro, e lui per Cata­nia e mi disse che preferiva il treno all'aereo; era vec­chio e distrutto dalle molte sciagure familiari che lo avevano lasciato solo, ma mi ab­bracciò e volle il mio indirizzo di Roma, ma non lo sentii più!

Poco tempo dopo seppi che era morto: un altro amico ci aveva lasciati! (Nicola Lupo, 16 Aprile 2005)




Vito Bonsignore

Vito Bonsignore, è nato a Bronte il 3 luglio 1943. Ha studiato nel Collegio Capizzi e conseguito la laurea in Economia e Commercio all'Università di Catania si è trasferito a Torino.

Nella stessa città ha fatto una veloce carriera, diventando prima direttore tecnico e poi direttore generale della società che gestisce l'autostrada Torino-Piacenza. E' stato anche amministratore delegato della Torino-Milano. Ma poi l'amore per la politica ha avuto il sopravvento.

Eletto per due legislature al Parlamento nelle file della DC (corrente di Andreotti), ha ricoperto anche l'incarico di sottosegretario in diversi Governi e di componente della Direzione centrale della Democrazia Cristiana.

Nel primo Governo Amato (XI Legislatura, 28 giugno 1982 - 22 aprile 1993) è stato Sottosegretario al Bilancio e programmazione economica con i ministri Franco Reviglio (fino al 21.2.1993) e Beniamino Andreatta (dal 21.2.1993). Nel primo Governo Ciampi (XI Legislatura, 28 aprile 1993 - 16 aprile 1994) è stato (fino al 14-4-1993) sottosegretario al Bilancio e programmazione economica con il ministro Luigi Spaventa.

Vito BonsignoreNel '93, quando la bufera di Tangentopoli insieme ai suoi rami correntizi si porterà via l'intera pianta della Democrazia Cristiana, Bonsignore, raggiunto il 13 aprile dal terzo avviso di garanzia, si è dimesso dalla carica di sottosegretario al Bilancio ed è tornato a Torino a fare l'imprenditore a tempo pieno.

Ma la passione per l'amministrazione pubblica gli è rimasta addosso e nonostante il brutto ricordo di una condanna (senza iscrizione del reato) ha continuato ad impegnarsi attivamente nella politica.

E' stato componente della Giunta Esecutiva del Cdu (Coordinatore Organizzativo ed Elettorale) e tra i soci fondatori (assieme a Rocco Bottiglione, Sergio D'Antoni, Marco Follini ed altri) di Democrazia Europea. Nel 2002 partecipa al congresso ed è tra i fondatori del nuovo soggetto politico dell'Udc (accorpamento dei tre ex partiti Ccd, Cdu e De).

Nello stesso partito, nelle Elezioni Europee del Giugno 2004 è stato eletto parlamentare europeo nella Circoscrizione Italia Nord-Ovest.

Nel Parlamento europeo, Vito Bonsignore ha fatto parte del Gruppo del Partito popolare europeo (Democratico Cristiano) e dei Democratici europei; è stato membro della Commissione per i bilanci, per il controllo dei bilanci e della Delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti ed anche vicepresidente della Delegazione all'Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE.

Nelle successive Elezioni del  6/7 Giugno 2009 si è presentato nella Circoscrizione Italia nord-occidentale (Piemonte, Valle d'Aosta, Liguria, Lombardia) ed è stato rieletto al Parlamento europeo nella lista del Popolo della Libertà con oltre 53.000 preferenze.

Ha ricoperto anche la carica di Vicepresidente del Gruppo del Partito Popolare Europeo (PPE) e di Vicepresidente della Commissione per la pesca e della Delegazione per le relazioni con i paesi del Mashrek.

La vita professionale di Vito Bonsignore si è prevalentemente svolta nel settore della realizzazione delle grandi infrastrutture. Tra i numerosi incarichi ricoperti, è stato presidente della Federazione autotrasportatori ed ausiliari del traffico dell'Unione Industriale di Torino, consigliere di amministrazione dell'IMI e dell'Insud spa, amministra­tore delegato dell'ILI (Infrastrutture Lavori Italia spa). Brillante imprenditore, è diventato un protagonista della vita economica nazionale e si appresta a diventare il terzo gestore di autostrade in Italia.

(Febbraio 2005)

“Vito Bonsignore munifico donò”, cosi riporta una grande scritta sulla vetrata posta nel rosone della chiesa del Sacro Cuore. Nel recente rifacimento della chiesa (1992), le vetrate sono state, infatti, un dono di Vito Bonsignore al Collegio dove ha iniziato gli studi.

 

I nostri parlamentari: Giacomo Meli, Giuseppe Castiglione, Placido De Luca, Francesco Cimbali, Vincenzo Saitta, Luigi Castiglione, Antonino Isola, Biagio Pecorino, Vito Bonsi­gnore, Pino Firrarello, Salvatore Leanza, Nunzio CalannaFranco Catania, Giuseppe Castiglione

     

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