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Santuario della Madonna Annunziata

L'ESTERNO | L'INTERNO | L'ORATORIO | LA STORIA DEL SANTUARIO | LA FESTA DELL'ANNUNZIATA


L'interno del Santuario

Gli altari, l'altare maggiore, l'arco rinascimentale, l'Annunciazione, i flagellanti, i quadri, due lapidi, il Santo Capello
 

Maria SS. Annunziata è la protettrice di Bronte ed il Santuario a Lei dedicato è il vanto della nostra cittadina. Continua ad essere, come nel 1535, anno della riunione in Bronte degli abitanti dei 24 Casali, il luogo della comune "identità".

L'esterno della chiesa è costruito in muratura in pietrame lavico, ha una grande cupola emisfe­rica a sesto acuto con lanterna e il tetto a capanna con capriate in legno.

Addossato alla parte sinistra del prospetto, ed ad essa annesso, trovasi il delizioso Oratorio di Gesù e Maria sede dell'omonima Confraternita.


L'interno

La chiesa, a navata unica rettan­golare (vedi mappa a destra), ha otto altari e due Cappel­le, l'una dirim­petto all'al­tra, un presbiterio quadrato ante coro, e in fondo al coro uno stupendo arco (della stes­sa pietra arenaria della porta d'ingresso) che rac­chiude le due statue della Madonna e dell'angelo.
Nella chiesa sono custoditi capolavori d’ine­sti­mabile valore: opere di gusto rinasci­mentale degne di essere segnalate fra le espressioni artistiche più belle della Sicilia.

La navata, con soffitto a cassettoni policromi con dorature, è interrotta dagli ingressi di due cappelle dedicate al Cristo alla Colonna e a San Giuseppe.
Il transetto a pianta quadrata che precede il coro è sormontato da un tamburo circolare finestrato su cui si erge la cupola.
I grandi archi delle cappelle e degli altari, che simme­tricamente adornano le pareti, sono ricchi di plastici ornamenti e racchiudono preziosi quadri.


Gli altari

Tutti gli altari sono adornati da grandi ed artistiche opere d'arte. Molto bello il quadro della Madonna delle Grazie con Santi (del 1646, attribuito a G. Tommasio, posizione n. 11 nella mappa a destra).
Notevoli anche il quadro di Gesù e Maria (n. 7), primo e secondo entrando da sinistra, e quelli, posti ai lati dell'entrata dirimpetto all'altare maggiore che rappresentano Sant'Orsola (n. 13, del 1580) e la Madonna degli Angeli (n. 14) con S. Francesco e Santa Chiara e fra di loro il paese di Bronte salvato dall'ira devastatrice dell'Etna (l'opera, del pittore Tommasio, è del 1650).

Di tutti vi diamo di seguito un breve cenno


Entrando, da destra
si trovano

  il dipinto della Madonna degli Angeli (vedi n. 14 nella mappa a destra). Raffigura la Vergine, seduta su una nu­be ed incoronata dagli angeli, che tiene ritto sulla gamba sinistra il Bambino benedicente.
Inferior­mente, vestiti del saio francescano  i due santi di Assisi: S. Francesco e Santa Chiara (raffigurata anche in un bassorilievo della cap­pella di S. Giuseppe) e, in basso al centro, uno scorcio del paese di Bronte miracolo­samente salvato dalla furia dell'Etna.
La tela misura 276 cm x 170 ed è opera del pittore Giuseppe Tommasi (1610-1672) da Tortorici, come si legge in basso a sinistra nel quadro: "Joseph Thomasius pingebat 1650".
Un altro bel quadro di G. Tommasi (S. Benedetto) è conservato nella chiesa di San Silvestro, mentre in quella di Santa Maria della Catena trovasi il Martirio di Santo Stefano, una copia eseguita nel 1876 da Agostino Attinà da un originale di Giuseppe Tommasi del 1646.

  Subito dopo, nella parete laterale (dove un tempo era la porta del campanile) si trova l’altare della Natività di Gesù con l'omonimo quadro (n. 12 della mappa);

  l'altare di San Martino di Tours (punto 8) con un bellissimo dipinto di San Martino (raffigurato ai piedi della Madonna tra San Giacinto e Santa Barbara).
Scrive il Radice nelle sue Memorie... che il quadro è stato «fatto per incarico del procu­ratore Sac. Giacinto Naviga.
Alla sinistra di S. Martino è Santa Barbara, a destra è S. Giacinto, nella parte bas­sa del dipinto è uno stemma: una barca a tre remi, che naviga nel mare in tempesta; parte dell'iscrizione è coperta dalla cornice, solo leggesi: D. Hiacyntus P. Viator fieri curavit. Quel "P." s'interpreta Pelagi viator, e significherebbe il nome "Naviga: capricci del reverendo che ha artisticamente simbo­leggiato il suo nome.»

  la cappella del Cristo alla Colonna (numero 6 della mappa, qualcuno scrive che preesisteva alla costruzione della chiesa) e

  l’altare di S. Ignazio di Lojola (4), racchiuso dentro un pregevole arco di gusto rinascimentale, con la statua settecentesca. Degna di nota l'artistica testa del Santo: rappresenta, particolarmente negli occhi, un mirabile esempio di perfezione raffigurativa.

  Il quadro, appeso in una nicchia subito dopo l'altare di S. Ignazio, rappresenta Santa Apollonia, la Patrona dei dentisti e di coloro che soffrono di mal di denti.
Proviene, probabilmente, dalla ormai scomparsa chiesa di S. Maria della Venia o della Vina, un piccolo santuario (così lo definisce B. Radice), posto un pò più su del cimitero, dove esisteva un altare dedicato a Santa Apollonia. E' opera, come si legge, in basso al centro, di Sebastianus Calanna.


A sinistra della navata
si vedono

L'altare con il quadro di Sant'Orsola del 1580 (posto nella parete accanto alla porta, n. 13 nella mappa).
La Santa, attorniata dalle sue compagne e da Papa Ciriaco, secondo l'iconografia tradizionale è rappresen­tata come una principessa, in abiti regali, con la corona in testa e con un vessillo bianco con croce rossa, come segno di vittoria sulla morte per mezzo del martirio.
Nella parte destra in basso il pittore (Sebastiano De Torres per p. G. De Luca) ha di­pinto il suo autori­tratto nell'atto di pregare (foto a destra).

  L’altare della Madonna della Grazie (primo altare a sinistra, vedi n. 11): molto bello il quadro, del 1646, attribuito a Giuseppe Tomasio; raffigura la Madonna con, ai suoi piedi, a sinistra Sant'Andrea apostolo e S. Benigno di Digione, prete e martire, e, a destra, S. Domenico e S. Francesco.
«Credo - scrive il Radice - che autore del dipinto sia quel Giuseppe Tommasio, che in quel tempo dipinse il bel quadro di S. Benedetto nel Monastero di Santa Sco­lastica e i quadri di S. Filippo Neri e di S. Stefano alla Chiesa della Catena
In basso a sinistra il pittore ha dipinto ai piedi di Sant'Andrea il ritratto del cappellano della chiesa e committente del quadro, il sac. D. Francesco Lazzaro, con questa epigrafe: "c opus fieri fecit rev. Dominus Franciscus Lazzaro 1646".
Con questo suo nobile gesto, in qualche modo, questo mecenate vive ancora e noi ve lo mostriamo nella foto a destra.
Per altro D. Francesco Lazzaro è colui che, con atto solenne datato «Die 29 Julii X Ind. 1642 in civitate Montis Regalis» ricevette la reliquia del Santo Capello da «exponersi in detta Chiesa dell’Annuntiatione di essa terra, e conducerlo processio­nalmente quante volte sarà necessario, acciò sii adorato e venerato dalli fedeli dell’uno e dell’altro sesso, tanto in detta Chiesa, quanto in tutte e qual meglio altra Chiesa di detta terra.»

  L'altare di Gesù e Maria (punto 7) con l'omonimo dipinto che simboleggia la Redenzione (vi sono riprodotti tutti i simboli della Passione di Cristo).

  la Cappella di San Giuseppe (foto a destra, n. 5 della mappa): i due bassorilievi, alla base delle colonne late­rali, rappresentano a sinistra Sant'Agnese (raffigu­rata icono­graficamente con la palma del suo martirio e un agnello in braccio ) e a destra Santa Chiara, che nella mano sinistra tiene una lanterna (il suo simbolo) e con la destra mostra tre dita a simboleggiare la Santa Trinità (Santa Chiara è anche raffigurata con S. Francesco nel quadro della Madonna degli Angeli); da ammirare nella parte frontale dell'altare un delizioso bassorilievo raffigurante la "fuga in egitto".

  L’altare di San Michele Arcangelo (foto a destra, n. 3 nella mappa) con un pregevole arco d’elegante stile barocco; i due bassorilievi, alla base delle colonne laterali, rappresentano, sorretti da due angeli, S. Ignazio vescovo di Antiochia (a destra), e S. Policarpo vescovo di Smirne (a sinistra).
La statua dell'Arcangelo richiama tanto l'omologa statua della chiesa Matrice ed a tutte e due le statue si ispira l'arcangelo (impersonato da un bambino) che al monotono ritmo di un tamburo, apre ogni anno la processione del Venerdì Santo.

  subito dopo l'altare di S. Michele Arcangelo trovasi la porta d'ingresso della sacrestia (2).

In fondo al coro si erge l’altare maggiore dedicato all’Annunziata (1).

La Cappella del Cristo alla colonna (6), detta prima la cap­pella della disci­plina o dei flagellanti, un tempo si apriva con il prezioso arco di travertino che oggi, smontato e rimontato nell'altare maggiore tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90, fa da cornice al gruppo marmoreo dell'Annunciazione.

Nella nicchia dell'altare si trova la bella statua del Cristo alla colonna, secondo alcuni proveniente dalla chiesa del SS. Cristo, sopra San Vito, sepolta dalla lava.
La tradizione dice che sia opera di un pastore brontese.
Scrive il Radice che «…essa è di carta pesta, ma la leggenda popolare vuole che sia di legno, fatta da un pastore brontese, al quale, tre giorni dopo aver finito la statua, apparve il Cristo in sogno; e quegli mori dalla contentezza, colla promessa del paradiso per averlo scolpito bene».

La statua mostra in grandezza naturale il Cristo con le mani legate dietro la schiena ad una colonna, il corpo piagato e sangui­nante ed il viso pieno di umana sofferenza. Evoca con grande realismo il dramma della passione; ogni anno, nella processione del Venerdì Santo viene portata a spalla, su un pesantissimo fercolo in legno; precede le altre statue statue del Crocifisso, del Cristo morto e dell’Addolorata.

Accanto alla cappella si trova un balconcino ligneo rettangolare sostenuto da grossi mensoloni all’altare e, sulla sinistra, un pulpito ligneo con baldacchino.

 

L'interno della chiesa e le statue del Cristo alla colonna (6) e di San Michele Ar­can­gelo (3), conser­va­te negli omo­nimi altari. La Cap­pella del Cristo alla Colonna antica­men­te era detta "della disci­pli­na", perché ivi i più de­voti nei giorni di vener­dì si fla­gel­lava­no a sangue.  Nella an­nua­le processione del Ve­ner­dì San­to  per una antica tradi­zione la statua del Cristo alla colonna vie­ne ad­dob­ba­ta con i primi prodotti della terra.

 

Gli altari della chiesa sono adornati da bas­so­ri­lievi in marmo; molti rappresentano vari episodi della vita della Madonna Annun­ziata (l'Annun­ciazione, la fuga in Egitto, l'Addo­lorata).

L'altare di Sant'Ignazio di Lojola (4). Scrive il Radi­ce che «...artisti­ca­men­te bella è la testa di S. Igna­zio di Lojo­la; alcuni ricchi inglesi l’avrebbero pagata a peso d’oro».
A destra la statua di S. Giuseppe posta sul­l'omo­nimo altare (5).



I quadri

I sei grandi dipinti (ciascuno di quasi 3 m x 2) posti sugli altari della Chiesa.

Gesù e Maria

San Martino di Tours

Sant'Orsola

Madonna degli Angeli

Madonna della Grazie

Natività

 

Sopra a sinistra, il bassorilievo di S. Policarpo nel­l'altare di S. Michele Arcangelo e, a destra, quel­lo di Santa Chiara della Cappella di S. Giu­seppe. Sotto a sinistra, il quadro di Santa Apol­lonia posto nel­la parete di fronte all'in­gres­so del­la sagre­stia e un quadro del XVIII secolo rap­pre­sentante l'Immacolata posto sopra la porta della sacrestia. Di altri due qua­dri, men­zionati da B. Radice e da p. G. de Lu­ca, (Il pentimento di S. Pietro, scuola Sici­liana del 1700 e Gesù che piange sulle rovine di Ge­ru­salemme) non c'è più traccia.

Santa Apollonia


L'altare maggiore

All’interno della chiesa, sull'altare maggiore (1), sor­mon­tato da un arco di travertino dal 1549, è posta l’Annun­ciazione (gruppo marmoreo della Vergine Annunziata, dell’An­gelo Gabriele e di un inginocchiatoio, opera dello scultore palermitano Antonio Gagini), alla quale il popolo brontese è devotamente legato da sentimenti di comune identità e d’antica e profonda religiosità.

Nel 2005 la zona intorno all'altare maggiore riservata al clero (il presbiterio) è stata risistemata con l'aggiunta di nuovi elementi architettonici: un altare centrale, l'ambòne (un piccolo pulpito destinato al predicatore o alla lettura), una sedia e due lunghe panche laterali. Il tutto realizzato con marmi pregiati variamente colorati.


L'arco rinascimentale

Il bellissimo arco rinascimentale di travertino del 1500 che carat­terizza l'altare maggiore, fino al 1980 era montato nel vano dell’entrata della Cappella del Cristo alla Colonna.

E' tutto costruito con pregevoli basso­rilievi, ornati e figure, indorati e variamente colorati, col classico frontone sormontato da tre guglie lavorate a fiorami.
Vasi con vari fregi, zampilli d'acqua e fiori adornano le colonne: quelle della base a destra sono sostenute da leoni alati, quelli a sinistra da animali col volto più di sfingi che di leoni.
Figure di profeti o re, con turbanti in capo, dei quali è scomparso il nome, che prima si leggeva negli svolazzi, sono al centro delle colonne ed accanto ai capitelli con foglie d’acanto. In alto, sotto la cornice del frontone, c’è un mascherone con ai lati due delfini dal volto umano.

Nel frontone piramidale è rappresentato lo Spirito Santo, a forma di colomba, circondato da due angeli. Dodici volti di angeli, sei da un lato e sei dall’altro, e lo Spirito Santo in mezzo, abbelliscono l’interno della centinatura.

«Osservandolo - scrive il liutaio Giuseppe Severini (Incontri, anno VII n. 27 Apr-Giu 2019) - si notano quattro medaglioni a basso rilievo raffiguranti probabilmente dei profeti, non esattamente identificabili, due a metà dei pilastri e altri due ai lati del timpano.
Quello in alto a sinistra raffigura il re Davide che suona una Viola. Che sia il re Davide è testimoniato dalla scritta "Davi..." ancora leggibile in un cartiglio alle spalle della figura, dalla corona, dallo strumento musicale che maneggia, tipico della iconografia di questo personaggio che, essendo uno dei più illustri antenati di Cristo, occupa sempre una posizione di rilievo.»

L’insieme dell'arco, sebbene in parte sfaldato e scolorito dal tempo («guasto anche - scriveva Benedetto Radice nei primi anni del '900 - dalla beata igno­ran­za dei sagrestani, che lo trafiggono con chiodi per appendervi cortine»), presenta ancora delle linee di artistica bellezza. «Antiquarii romani offrirono al procuratore della chiesa, sac. Giuseppe Meli, 60.000 lire, ma egli alla somma vistosa, con senso di gusto e di patriottismo, ha preferito conservarlo.»

Questa bellissima opera d’arte del rinasci­mento era stata prima collocata nel vano dell’arco grande della cappella del Cristo alla colon­na ma se ne sconosce l'originaria collocazione.

Ancora il Radice scrive che «sia stato posterior­mente comprato e messo lì» ma, comunque, richiama molto nello stile e nei fregi il portale d'ingresso della chiesa anch'esso in travertino e adornato con bassorilievi scolpiti a fiorame ma con figure di puttini e di demoni.

In un recente restauro, completato nell'agosto del 2020, la parte interna dell'arco rinascimentale è stata completamente ridisegnata eliminando le due colonnine bianche con capitelli dorici ed anche i riquadri sulla volta (nella foto a destra l'arco prima e dopo il restauro).


L'Annunciazione

L’Annunciazione del Gagini è opera di grande pregio e bellezza: s’inserisce in quel filone artistico rina­scimentale che nella scuola gaginiana si fuse con le forme nuove del manierismo toscano e romano.

Le figure della Vergine e del­l'an­gelo an­nun­ciatore ed il piccolo inginoc­chiatoio compon­gono un insie­me armonico animato dalla bellezza dei volti e delle moda­lità espressive e da una viva tensione spirituale.

I corpi alti e di squisite proporzioni delle due statue vibrano dentro le vesti dal fluente panneg­giamento riccamente decorato nell’es­sen­zialità dei loro movimenti.
Il viso di giovinetta della Vergine esprime riverenza e turba­mento, con la destra sembra allontanare l'imma­ne peso di ciò che ascolta; mentre Gabriele, legger­mente genu­flesso, con le mani appoggiate sul petto, guarda l’eletta con defe­renza ed occhi pieni di ammirazione e di rispetto.

Le statue furono commissionate da Niccolò Spitaleri, come rappresen­tante dei cittadini di Bronte, allo scultore paler­mitano Antonino Gagini, per pubblico atto rogato dal Notaio Dimitri di Palermo del 21 Gennaio 1540 (XIII Indizione).

Il gruppo marmoreo costò 48 onze (circa 100 mila euro di oggi) e fu consegnato ai Brontesi pochi anni dopo, nel 1543. Fu portato per mare da Palermo fino al porticciolo di San Marco (a Sant’Agata di Militello).
Da qui, su un carro trainato da buoi, a Bronte attraverso i boschi dei Nebrodi e le trazzere che passano da San Fratello e Cesarò. Attorno a questo difficile e  difficol­toso tra­spor­to la devozione e sopratutto la fantasia popolare hanno creato numerose leggende.

«...Chiesero ad un signore un paio di bovi per trasportare le due statue in Bronte.
Egli diede loro due tori selvaggi, indomiti, che alla vista della Ver­gine s’inchinarono dinanzi e si la­scia­rono docilmente soggiogare: lungo il viag­gio gli alberi della foresta si scostavano al pas­saggio del carro. Giunti in Bronte i tori fecero un giro e segnarono il sito dove doveva sorgere più grandioso il tempio».
(Benedetto Radice, "Chiese, conventi, edifici pubblici in Bronte", Bronte 1923).

«La Chiesa è proprio in faccia all’Etna… Sembrò ai brontesi che una voce arcana fosse uscita dal labbro di Maria dicente: "Brons civitas mea dilecta protegam te semper».  (Gesualdo De Luca, "Storia della città di Bronte", Milano 1883).

Gagini scolpi l'angelo con un'ala soltanto, probabil­men­te perché il gruppo mar­mo­reo doveva essere ap­pog­giato al muro. Infatti, anche il retro della statua della Madonna non è com­pletato ma la­scia­to dallo scul­tore grezzo e non rifinito.

Nulla, però, riporta in merito l'atto notarile del 1540 sti­pulato fra il Comune e lo scultore per la lavora­zione e la vendita del grup­po mar­moreo della Ma­donna Annun­ziata e dell'An­gelo.

Il gruppo marmoreo dell'An­nuncia­zione di A. Gagini è oggi inse­rito in un bellissimo arco rinascimentale di tra­ver­tino che era posto fino a qualche anno fa nell’entrata della Cappella del Cristo alla Colonna. Richia­ma molto nello stile e nei fregi il portale d'ingresso della chiesa anch'esso in travertino e adornato con basso­ri­lievi scolpiti a fiorame ma con figure di puttini e di demoni.

Un progetto di restauro e pulitura del gruppo mar­moreo del­l’Annunciazione del Gagini e dell’arco rina­scimentale è stato presentato a Marzo 2019 nella stessa chiesa dell'Annunziata.

Durante i lavori di restauro sono riemersi, fra l'altro, pure i sigilli del committente Niccolò Spitaleri, sull’Angelo, e quello dello scultore Antonino Gagini, sulla Madonna (foto a destra, indicato dalla freccia). Sopra l’altare maggiore della chiesa è stato “ritrovato”, pennellato di colori, il «Dio padre» finora mancante rispetto ai quattro elementi citati nell’atto notarile del 21 gennaio 1540, stipulato fra Antonino Gagini e il brontese Nicolò Spitaleri.

Il restauro si è concluso ad Agosto 2020, con una solenne celebrazione tenutasi nel Santuario con il «rito dell’incoro­nazione» della Madonna.

 

I flagellanti

«La cappella del Cristo alla Colon­na, scrive Bene­detto Radice, era detta prima la cap­pella della disci­plina o dei flagellanti.
Questa strana Com­pa­gnia dei flagellanti o disci­plinanti dai monti della verde Um­bria, nel 1260, aveva invaso tutta l’Italia e si era propa­gata in Sicilia.

A questi antichi disciplinanti, sparsi in tutto il mondo cristiano, collegasi la me­dio­evale e tradi­zionale pro­ces­sione del Cristo alla Co­lon­na nel Venerdì Santo; nella quale in quadri plastici uma­ni rappresentansi i prin­ci­pali episo­di del gran dramma sacro.

Fino a pochi anni fa un giovinetto, nudo, con un brindello di porpora in dosso, corona di spine in testa, e la can­na in mano, impia­ga­to di cinabro, rappre­sentava l'Ec­ce Homo, og­getto di commo­zione al popolino, che pian­gente lo mostrava ai bam­bini. Gli scolari esterni del collegio Capizzi con lan­cie, spa­de, elmi, sciarpe antiche di tutti i colori rap­presentavano l’esercito romano. Ora tutto è scom­parso.»

Nelle due foto l'altare della Cappella del Cristo alla colonna (a sinistra) e il bassorilievo con lo stemma dei Flagellanti posto nel fronte dell'altare (a destra). 

Vedi pure: Il Cristo alla colonna di Giuseppe Cimbali / La viola del Re Davide a Bronte, di G. Severini

Due lapidi

In due nicchie delle due pareti laterali della chiesa sono murate due lapidi in marmo. La prima del 1763 e l'altra del 1832 ricordano ai fedeli la protezione che la Vergine Annunziata ha dato al paese nel corso dei secoli, particolarmente nelle devastanti eruzioni dell'Etna.

La lapide posta a destra entrando (10 sulla mappa, del 1763) riporta la seguente iscrizione:

«A Dio ottimo massimo
Questo tempio magnificamente eretto dalle fondamenta, a spese dei pii cittadini, e dedicato alla Vergine Annunziata dall'Angelo, era appena finito di essere decorato al tempo che scoppiò il monte Etna al Piano Foresta (1627).

La Vergine madre di Dio mostrò ancora la sua speciale protezione nell'anno 1651, quando risparmiò la città dal bruciare di simile fuoco; nell'anno 1693 salvò la stessa città dal flagello del terremoto, rendendola stabile e ferma; nell'anno 1743 liberò la stessa dalla peste; e così in questo presente anno 1763 spense il fuoco che minacciava di bruciarla.

Cappellano e tesoriere regio abate S. T. D. don Benedetto Verso commissario della SS. Inquisizione.»


Sull'altra lapide (9 sulla mappa, del 1832) è riportato:

«Il giorno 18 novembre anno del Signore 1832 quando, rotti i crateri dell'Etna, un torrente di fuoco prese a scorrere e cominciò a distruggere tutto, il Cappellano della Vergine, alla presenza della quale sta il Nunzio alato, portò in processione i capelli virginei e le reliquie della Croce ripetendo le preghiere litaniche.

Al calar del sole il fuoco si fermò all'ordine della Vergine.

All'uscire dal tempio della Regina e divina protettrice degli uomini e davanti alle preghiere del popolo di Bronte, il fuoco cominciò a ritenere la propria violenza. Ma la forza del pianto per le colpe non scontate e la confessione dei peccati, ed ancora il promettere d'intraprendere da quel momento a fare opere buone, mosse la potente Regina ad arrestare l'effusione del fuoco ed il popolo afflitto, amaramente piangente e bene disposto ricorse ai sacri uffici dei preti.»

In greco: «la Signora dell'universo la celeste Regina salvò Bronte dal fuoco dell'Etna». E, vogliamo segnalarvi, proprio in occasione di questa devastante colata lavica che dal 31 Ottobre al 22 Novembre 1832 raggiunse da Monte Lepre la periferia di Bronte e si fermò miracolosamente nelle vicinanze della zona di Salice, i brontesi elessero la Annunziata a loro Patrona.

(Traduzioni di Bruno Spedalieri per Bronte Insieme)

La festa dell'Annunziata

TRADIZIONALE VOLATA DELL'ANGELOI brontesi sono stati sempre devotissimi alla loro protettrice e patrona Maria Santissima Annunziata, alla quale tante volte hanno rivolto preghiere affinché placasse la furia distrut­trice dell’Etna.
Ed è stato proprio in occasione di una devastante colata lavica che dal 31 Ottobre al 22 Novembre 1832 raggiunse da Monte Lepre la periferia di Bronte lambendo la zona di Salice e si fermò miracolosamente nelle vicinanze della zona di Salice, che che la elessero a loro Patrona.

A Lei sono sempre accorsi gli abitanti di tutti i quartieri in ogni loro necessità e nei momenti cruciali della loro tormentata storia (carestie, pestilenze, sommosse, sconvolgimenti politici).

Dal 1821, nel mese di Agosto, con grande fervore e partecipazione, la statua viene portata in processione per le vie del paese su un carro trainato da buoi.

Particolarmente toccante la ricostruzione della Annunciazione ("a buràta 'e l’Angiru"): le statue (Maria e l’Angelo) vengono poste al centro di Piazza Spedalieri ed un bambino, vestito come l’angelo Gabriele, le raggiunge dall’alto scorrendo lungo un cavo di acciaio le cui estremità sono ancorate a due palazzi, per annunciare a Maria il miracolo della nascita di Cristo..

   Bronte e la devozione alla Madonna Annunziata



Il Santo Capello

Visibile testimonianza della devozione dei brontesi verso l'Annunziata

Fra la sacre reliquie della chiesa della SS. Annunziata ven­gono custoditi e ancora venerati un filo di capello intreccia­to con fili d’oro che una tradizione secolare dice di essere della Madonna che furono donati al popolo brontese nel 1642 con la licenza di esporlo nella chiesa e di portarlo in processione.

«U santu capìllu» (il santo capello) è conservato in una teca d'argento; un tempo veniva portato in processione nell'ulti­ma domenica di agosto degli anni in cui non si faceva la tradi­zio­nale processione delle statue; oggi la tradizione sembra ormai dimenti­cata, la reliquia è solo esposta nell'ultima domenica del mese di agosto.

Trattando «della insigne Reliquia dei santi Capelli di Maria Santissima, che si ebbe la sorte di possedere dopo la fabbrica della Chiesa» il cappuccino Gesualdo De Luca nella sua Storia della Città di Bronte riporta l'«autentica di essa santa Reliquia» rila­sciata dal arcivescovo di «Montis Regalis» (Monreale) con Diploma del 29 luglio 1642 dove viene anche solennemente affermato che è «la terza ed ultima parte restataci dalle due parti del Capello, una data alla terra di Limina, e l’altra data alla terra di Tripi».

Alla fine il Diploma si chiude con:
Santo Capello, reliquiario«Pertanto in virtù della presente vi damo e concedemo in Domino licenza e facultà di poter publicamente adorare detto Santissimo Capillo di Maria Vergine, et expo­nersi in detta Chiesa dell’Annun­tiatione di essa terra, e conducerlo proces­sional­mente quante volte sarà necessario, acciò sii adorato e venerato dalli fedeli del­l’uno e dell’altro sesso, tanto in detta Chiesa, quanto in tutte e qual meglio altra Chiesa di detta terra; e così exequirete, e farete...» dietro pagamento «di onze cento d’applicarsi alla Camera Arcivescovale (...).

Data in civitate Montis Regalis Die 29 Julii X Ind. MDCXLII»

«Di seguito - continua di suo padre Gesualdo De Luca - fu questa autenticità, riconosciuta ai 4 Maggio 1725, e tutta rinnovata in Settembre 1850 dal nostro Em.mo Card. Antonino Saverio De Luca, allora Vescovo di Aversa, venuto in Bronte a rimpatriarsi.

Da questa storia esposta in questo Diploma, appare che massima era la devozione dei Brontesi nel 1642, verso la SS. Vergine nel suo titolo di Annunziata, statua e capelli di Lei.

Siamo al 1883, e dopo due secoli e mezzo, quella devozione non è punto minorata, anzi il sacro affetto, il santo entu­siasmo è notabilmente accresciuto, siccome avrò da narrare.
La preziosa Reliquia è di due fili di capelli intrecciati a fili di oro, come per decoro e sostegno».

«La reliquia del Santo Capello - scrive Alfredo Lon­ghi­tano - suscita spes­so molti interrogativi circa l’entità e l’autenticità di essa.
Per quanto riguarda il primo, l’entità, la reliquia e costituita da un pezzetto di ca­pello della Beata Ver­gine Ma­ria, intrecciato ad un filo d’oro, chiuso in una teca d’ar­gento con la medaglia di Pio IX, risalente all’ultima rico­gni­zione, incastonato in un reliquiario molto grande del secolo XVII.
Il Santo Capello è stato por­tato a Bronte da un frate mi­no­re di terra santa ospite del convento di San Vito e donato alla chie­sa Maria SS. Annun­ziata, per cui si è instaurata la tradi­zio­ne di far passare la pro­ces­sione dalla piazza antistante il sud­detto convento.
Per quanto riguarda l’autenticità, ritengo che sia ozioso par­larne; infat­ti, una cosa è certa: l’amore e la devozione dei Bron­tesi per la Vergine Annunziata, loro Patrona, non è legata affat­to alla reliquia ma a ciò che essa richiama: a Colei che tutte le gene­razioni chia­meranno Beata.» (Sac. Alfredo Longhitano, Bronte Notizie n. 14, Luglio 1985)

Un'altra visibile testimonianza della devozione dei brontesi verso la Madonna Annunziata è testimo­niata anche dalle innu­merevoli edicole votive, sparse nel centro storico di Bronte, che la rappre­sen­tano, sempre diversa per dettagli, fattura. Quasi sempre (come nell'edicola a destra di via Annunziata) è ritratta accanto al paese etneo, con una bandiera in mano dalla lunga asta che uccide un drago dalle sette teste.

Quest'ultimo tema, ricorrente, è legato ad un leggendario episodio seguito al sanguinoso scontro tra soldati e brontesi nella rivolta del 1820.
 


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