Uomo integro, prete modernista e letterato
Vincenzo Schilirò Scrittore, filosofo, critico d'arte, profondo conoscitore di letteratura italiana, poeta e sociologo I suoi scritti spaziano dalla letteratura italiana alla filosofia, dalla critica alla poesia, dalla sociologia all'estetica e alla drammaturgia Il brontese Vincenzo Schilirò, (7.1.1883 – Catania 3.7.1950) sacerdote, professore, fu una singolare figura di sociologo, critico, letterato e poeta ("educatore e letterato" lo definisce Nicola Lupo nella sua minuziosa ricerca storica, pubblicata in questo sito). Nasce a Bronte il 7 Gennaio del 1883 da Carmelo e Anna Maria Minio. Studia nel Real Collegio Capizzi ottenendo la licenza ginnasiale nel 1898 col massimo dei voti; prosegue gli studi nel Seminario di Catania, dove il 22 dicembre 1906 è consacrato sacerdote dall’Arcivescovo Cardinale Giuseppe Francica-Nava. Si laurea nella Regia Università di Catania nel 1912, a ventinove anni, presentando come tesi "La credenza carducciana" che fu una rivelazione e uno stupore. Scrive Antos nel suo "Vincenzo Schilirò - Profilo" (1931) che «Il prof. Paolo Savj-Lopez, relatore di essa e critico incontentabile, dichiarò che mai da un esordiente aveva visto presentare una tesi così perfetta nella forma e nella sostanza.» Ma poichè lo Schilirò non frequentando i corsi della facoltà era poco o nulla conosciuto dai professori dell'Ateneo ed anche per l'originalità dell'argomento e lo stile personalissimo, a forse per l'abito talare che indossava, sorse fra i professori il dubbio che il lavoro non fosse frutto del proprio sacco. Qualcuno di costoro, mosso dal settarismo allora di moda, avanzò addirittura il sospetto che il lavoro fosse una manovra del clericalismo invadente che mirava a rivendicare la credenza del Carducci ateo. La Commissione fece slittare di qualche mese il conseguimento del titolo richiedendo allo Schilirò un nuovo saggio scritto. Fu così che egli nell'ottobre dello stesso anno presentò stampato, oltre che La credenza carducciana e suo valore, un secondo lavoro che pur nella diversità integra il precedente studio, cioè Il Romanticismo e gli amici pedanti, la discussione del quale fu per lui un successo e viva soddisfazione pel Savj-Lopez, che invitò ripetutamente lo Schilirò a prender contatto col Cenacolo letterario fiorentino del quale egli era influente membro. Conseguito il dottorato in Lettere lo Schilirò accetta per campanilismo l'insegnamento nel Liceo del Real Collegio Capizzi, portandovi ossigeno e nuove idee. Vi insegnò per un decennio lettere italiane e nella sonnacchiosa Bronte venne apprezzato per le vulcaniche iniziative sociali ed educative. Continua gli studi, lavora, pubblica testi senza ricercare gloria, fama o ricchezze, soddisfatto principalmente per aver manifestato quanto di fantastico e positivo era racchiuso nella sua multiforme mente. Appaga il suo amore per la scienza esternandola ed estendendola ai meno capaci, vede in questo la finalità sociale ed educativa della Cultura. Oltre che insegnante e drammaturgo, si distinse infatti anche come operatore sociale e finanziario, giornalista pubblicista ed anche come uomo politico. Fondò, in tempi diversi, ben quattro giornali, una Cassa Agraria, un Circolo culturale e uno stabilimento tipografico (il "glorioso" Stabilimento Tipografico Sociale, editore di moltissimi libri, la maggior parte d’autori locali, fra i quali anche B. Radice). Aderì al Partito Popolare e alle nuove tendenze, in campo sociale, espresse dal modernismo e non viste di buon occhio da papa Pio X, ragion per cui si allontanò dalla Chiesa senza però smettere di portare l’abito talare. L’arte, la poesia, la critica estetica furono il campo dove potè meglio esprimere il suo ingegno vivace. Ma le sue prime esperienze furono di pubblicista con il foglio umoristico U Trabanti (accozzaglia di latino maccheronico e di vernacolo), con il periodico Il Propagandista (mirante a risvegliare la coscienza popolare dinnanzi alla grave questione sociale dell'epoca ma che dopo la condanna inflitta da Pio X nel 1907 cessò di vivere), con il quindicinale Domani (di carattere politico amministrativo, rivolto a dare un contributo alla organizzazione degli agricoltori brontesi), con "Nuova Juventus" (destinata agli alunni del Capizzi) e, infine, con la direzione (unitamente a Pietro Mignosi) della rivista letteraria La Tradizione. Nel 1924, quando con la riforma scolastica si impose lo studio dell'Estetica nei Licei, il nome dello Schilirò divenne noto al grande pubblico studentesco e non, poichè egli aveva pubblicato un libro sull'argomento del titolo «Appunti d'Estetica» e aveva già al suo attivo molti saggi critici oltre che sul menzionato Carducci, sul D'Annunzio, Pirandello, Alighieri, Spedalieri, Negri, anche su Marinetti e il futurismo, nonchè agiografie sul Capizzi, Ignazio di Lojola (fondatore della Compagnia di Gesù), su San Francesco etc. |
Numerosi anche i romanzi (l'ultimo del 1946, intitolato Jadwiga, scritto durante il periodo fascista però la stampa non venne autorizzata dal Ministero della Cultura Popolare), diversi i lavori teatrali (alcuni pubblicati) che scrisse per dilettare i giovani del liceo e i compaesani, uno di questi: «Il matto burlone», venne musicato dal grande dimenticato compositore biancavillese Carmelo Sangiorgio, anche lui docente nel Collegio di Bronte. Ritiratosi dall’insegnamento per motivi di salute si trasferisce a Catania e nella sua abitazione di Via Morosoli e continua la produzione letteraria. Vincenzo Schilirò morì a 67 anni. La malattia che conviveva con lui da anni, si acuì tanto da stroncare la sua esistenza terrena lunedì 3 Luglio 1950 a seguito di emorragia celebrale. E' sepolto nella Cappella di famiglia del cimitero di Bronte. Lo Schilirò oggi è quasi sconosciuto grazie alla deviante cultura delle parole e dell'avere che privilegia idoli e immagini fumose ed evanescenti e non valori positivi. Sarebbe, però, irriverenza non ricordarsi di Lui che tanta parte ha avuto nella realtà sociale e culturale Brontese del 1900. Per conoscere meglio la sua attività letteraria ed artistica e le sue numerose opere rimandiamo al libro di N. Lupo sotto indicato. Qui vogliamo ricordare Appunti d’estetica (1924, Bronte), Il romanticismo e "gli amici pedanti" (1912, Bronte), I motivi estetici dell’arte dannunziana (1918, Catania), La credenza carducciana e il suo valore (1918, Bronte), F. T. Marinetti e il futurismo (1919, Catania), Come vedo Pirandello, Libertà e democrazia (Seli, Roma). Vincenzo Schilirò pubblicò anche opere in versi (Primavera triste, 1912 Bronte, Santo Francesco, 1931 Bronte), racconti lirici (Il seminatore che non miete), due drammi (Il colpevole, 1919 Bronte e Il carroccio, 1931 Bronte) ed un commento alla Divina Commedia di Dante in tre volumi, ormai introvabile. «Egli - scriveva nel 1937 Anselmo Di Bella nella prefazione al libro di Antos (Antonino Schilirò) "Vincenzo Schilirò, profilo" (Soc. Anonima Editrice Dante Alighieri, Milano 1931) - ha studiato, lavorato, prodotto, pubblicato senza cercare rumori intorno a sè, senza pretese di nome e di fama; pago soltanto dell'intima soddisfazione che gli è venuta dai libri e dallo studio, del suo amore per l'arte, del conforto e del riposo che il suo pensiero ha trovato comunicandosi e partecipandosi agli altri, ai giovani specialmente.» (nL) |
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