Il trenino che fa il giro dell’Etna
E' carico di storia ma non è per turisti. Anzi: è un convoglio per vandali Sotto il vulcano (Viaggio in treno attraverso l’Italia, lungo come la Transiberiana, raccontato da Paolo Rumiz e liberamente interpretato dai disegni di Altan) Sesto giorno: Catania-Randazzo-Catania La motrice che fa il giro dell’Etna non è una bomboniera per turisti. Si chiama “Imba”, ed è sgangherata e ruspante come un vecchio bracco pulcioso carico di storia. Parte dalla città alta tagliando il pendio vulcanico con perfezione euclidea, e poiché quel pendio è pieno di case, eccolo che sfiora terrazze, lambisce panni stesi, accarezza donne in vestaglia, urta pignatte che sfrigolano. E’ una Spaccanapoli, con in più gli alberi di fico. Poi tutto cambia, e la città inclinata diventa la città detritica. Accumuli di pietre laviche, discariche, fichi d’india, case non finite, bouganvillee, sfasciacarrozze, immondizie. Eppure, che meraviglia. In cabina di guida realizziamo che nessun passeggero al finestrino saprà mai la magnificenza di questa penetrazione frontale del paesaggio, in un mare oceano di alberi di pistacchio verde smeraldo, avvinghiati alla lava. Il treno, ha detto qualcuno, è una visione laterale della vita; non fai a tempo a vederla ed è già passata. Ma c’è un’altra fregatura, spiega “740”, l’amico in incognito: “se sbagli lato sei fregato”. Noi due abusivi invece, a fianco del macchinista, non possiamo sbagliare. Becchiamo fotogrammi irripetibili. Specie quando il treno punta verso la cima, buca una massa di lava e ci mostra, tra due muraglie nere, le nevi dell’Etna in fondo al binario. Incrociamo il trenino che scende. Va così piano che i due macchinisti hanno tempo di scambiarsi informazioni dal finestrino. Poi “Imba” scollina (quota 950), scende tra praterie verso Maletto, il paese delle fragole. La notte ha nevicato in quota, la mattina è fresca. E sul verde pieno dei querceti, sembra di essere nell’India del Nord, là dove la giungla monsonica tocca l’Himalaia. A Randazzo il capotreno scende e ci indica una locanda buona. Mangiamo favolosi tagliolini al pistacchio, poi ripartiamo a piedi, lungo linea, borsa a tracolla come i vuccumprà. Abbiamo appuntamento col trenino al casello 76, cinque chilometri oltre. E’ duro sincronizzare il passo sulle traversine. Il trucco è farne due corti e uno lungo, come faceva il guardiamassi, quello che passava col martelletto sui binari. Un mestiere che non c’è più. Fa caldo, la massicciata lavica scricchiola sotto gli scarponi. Passiamo sotto un piccolo ponte a schiena d’asino, dove ci travolge un istinto irresistibile. Arrampicarsi fin lassù tra i rovi, montare sul parapetto e fare la pipì sulla ferrovia, in bilico nel più bel paesaggio del mondo. Atto liberatorio? Rituale iniziatico? No, quella è roba per intellettuali. Noi segnamo solo il territorio. Come i cani. Da lassù scopriamo che la nostra è una ferrovia errante. Una colata ha coperto le rotaie, e per farla continuare hanno dovuto spostare il tracciato a valle. Ci torna in mente un vecchio blues, “Nine Hundred Miles”. Dice: “lavoro sulla ferrovia, ho le lacrime agli occhi, sono a novecento miglia da casa”. Noi siamo al doppio di nocevento miglia e per terra vediamo esattamente ciò che vede un immigrato che va a piedi sulle nostre strade. Pezzi di taparelle, una vipera fatta secca, una bottiglia di coca, un barattolo, le ossa calcinate e sparse di un agnello, pezzi di giornale, un pacchetto di sigarette. Ecco, abbiamo preso il ritmo. Uno-due-uno, uno-due-uno. Fischio il “Ponte sul fiume Kway”, in fondo anche quella è una storia di treni. “740” spiega che la ferrovia ha un suo “siund”. Anzi, ogni linea ha il suo: te ne accorgi anche andando a piedi. C’è il “rapido assai”, c’è il “diretto solenne”. Questa qui ha la rotaia minima, ferro 25, a traversine distanziate. Roba che canta. Un “accelerato con brio”. Il casello 76, solitario tra le ginestre. Si dormicchia sotto un fico. Unici rumori: rosmarino nel vento, due mosconi. Che lusso questa attesa tra le cicale. “740”, principe di demanio, accende la pipa, tiene un dito sul binario per sentire il treno che arriva. Quando alle 17 il fischio buca il silenzio infuocato, non sappiamo ancora che quello che arriva è il treno dei vandali. Il macchinista ci conosce, sorride e ci fa salire direttamente in cabina. Poi comprendiamo perché. Dallo scompartimento arrivano urla, colpi, risate e tonfi. Sono i giovani di Randazzo e Maletto che demoliscono la vettura scendendo a Giarre. “Li sente?” fa il controllore. “In questi sei mesi hanno distrutto il parco macchine. Hanno divelto cappelliere, termostati, perfino termosifoni. E questo è niente. Dovrebbe vederli quando tornano al mattino dalla discoteca, spinellati fino alle orecchie. Il controllore rischia una coltellata. Questi meritano solo il carro bestiame, perché bestiame sono”. Nuoto verso lo scompartimento in una massa di corpi. Trovo un vecchietto di Giarre un po’ sordo. Mi racconta in catanese stretto della sua fuga da Cefalonia nel ‘43, mentre i tedeschi fucilavano gli italiani. Non sente nulla, non vede nulla del pandemonio che lo circonda. Surreale, capiamo una parola su quattro, le urla ci sommergono. “740” raggiunge una coppia di turisti inglesi. Lui è rosso in viso, come la sua maglietta dei Red Devils. E’ di Liverpool, dove è nata la ferrovia mondiale; forse è un segno del cielo. Vede un film già visto: lo sfascio delle ferrovie dopo la cura Thatcher, le demolizioni degli hoolighans, il tentativo di Blair di portare ordine. Dice: “Hanno distrutto una cultura ferroviaria, oltre che un servizio. Ora è tardi per rimediare”. Ancora colpi, urla, cicche accese per terra. I figli del nostro fallimento proseguono imperterriti la demolizione. Il macchinista: “Abbiamo chiesto rinforzi e ci hanno detto no. Poi hanno commissariato la società. Ma non per rilanciarla. Solo per dirottare tutti i soldi pubblici sulla metropolitana di Catania. Tutta la polpa è lì. La vada a vedere. Giù, sotto terra, treni di fantascienza vuoti. Qui, in questa meraviglia mondiale, l’abbandono”. Anche qui ferrovieri in trincea, eroi in prima linea come il protagonista del film di Ken Loach, che resiste a turni sempre più massacranti e poi viene licenziato. Il treno accelera, il suo è un “Crescendo con rabbia”. Scende verso il mare sbatacchiando l’orda urlante, indifferente al Dio Vulcano che la sovrasta. Corre tra alberi così carichi di frutta che i rami grattano le fiancate. [Paolo Rumiz, La Repubblica, 7 Agosto 2002]
|
«Il merito fu tutto mio» Ma il Duca non riuscì a portare la Circum al Castello Il V duca di Bronte, Alexander Nelson Hood, imbrogliando un pò le carte ed infangando, come erano solito fare i Nelson, la città di Bronte si prende anche la sua parte di merito per la realizzazione della Ferrovia Circumetnea. Ecco cosa scrive, nel suo "diario" "La Ducea di Bronte" (1924): «Lavorai duramente per ottenere la Concessione Governativa per la piccola ferrovia Circumetnea, sulla quale oggi i treni sbuffano laboriosamente, salendo da Catania a Maletto, e giù di nuovo verso il mare, fino a Giarre. Riuscii in questa impresa soprattutto grazie alla gentilezza del mio amico, Marchese Prinetti, allora ministro dei Lavori Pubblici, sebbene fossero necessari molti anni prima che la linea fosse completata. La città di Bronte, la cui collaborazione cercai di ottenere, rifiutò ancora una volta, nella sua stupida ignoranza, affermando che una ferrovia, così come una strada, era un male piuttosto che un beneficio. Ebbi, tuttavia, il pronto aiuto da parte delle altre città interessate, e, alla fine, la linea fu completata ed aperta nel 1895.» Fin qui la verità e l'auto-elogio del Duca che all’epoca (1883-84), appena diciassettenne era stato spedito a Maniace dal padre Alexander (era il suo ottavo figlio) per vivervi stabilmente e tutelare in loco gli interessi della famiglia. Ma sentiamo anche cosa dice in merito un altro influente personaggio dell’epoca, Antonino Cimbali (era stato sindaco di Bronte negli anni 1862, 1869 e lo sarà ancora nel 1888 e 1890). Il 16 dicembre 1883 scriveva (vedi Ricordi e lettere ai figli) al figlio Enrico (professore di Diritto civile nella Regia Università di Roma) che si era presentato a casa sua il Milordino col suo seguito (Milordino, piccolo Milord, era il titolo sarcastico affibbiato dal Cimbali al giovane figlio del IV Duca di Bronte), per parlargli di un affare di seria importanza. «Avutamene l’imbasciata, - continua il Cimbali nella lettera - mi feci sollecito restituirmi in casa, ed eccomi col Milordino per riavermi i suoi comandi. Mi dichiarò di avere ricevuta lettera da Roma insieme ad una copia del bilancio dello Stato per l’anno 1884, da dove risulta essere stata ammessa la spesa della Circumetnea. In questo stato di cose, mi soggiungeva essere tempo di pigliare tra noi degli accordi per il tracciato della linea tra Bronte e Maniaci. Gli dichiarai dal mio canto trovarmi sempre pronto a fare il bene di tutti e che il mio accordo con lui, sempre a questo scopo, sarebbe stato il più facile, però bisognava pria conoscere quel che si è progettato in riguardo alla detta linea per operare con cognizione di causa e conchiudere seriamente in proposito». Antonino Cimbali aggiunge che subito avrebbe interessato del problema i figli Enrico e Peppino, che lavorava nel Ministero dei lavori pubblici. Il giovane duchino «ne restò contentissimo» e lasciò intendere che sarebbe andato lui stesso a Roma a trovarli. «La soluzione del problema, - continua il Cimbali nella lettera - secondo me, la più equa e la più utile per tutti sarebbe quella di avvicinare la stazione a Bronte per quanto più sarà possibile, e, andando per Randazzo, avvicinarla allo stesso modo ai Boschi, che sono del principale interesse e per la Ducea e per Bronte. Ad ogni modo, mi aspetto tali notizie con la maggior sollecitudine pel di più qui a praticarsi». Insomma nessun ostacolo frapposto alla richiesta del Duca anzi la più ampia collaborazione anche da parte del sindaco di Bronte (nel 1883 era D. Guglielmo Leotta, «eccellente probità, pratica degli affari, cortesi modi, e lodevole amor patrio» ). Una settimana dopo, il 23 dicembre, in un’altra lettera al figlio Enrico, Antonino Cimbali spegne del tutto le pretese della Ducea di portare la linea ferrata a Maniace come irrealizzabili: «Sin d’ora, - scrive - per le notizie che da questo municipio mi sono state comunicate, debbo convincermi essere impossibile l’accordo, che egli desidera per la linea Bronte-Maletto-Randazzo. Dappoiché, mentre egli vorrebbe ad ogni costo tirarla a Maniaci allungandola, il Consorzio ed il Consiglio provinciale, respingendo la di costui domanda, vogliono, accorciandola avvicinarla a Maletto, e per soprassello il Governo, volendo modificato il tracciato, intende far più corto ed ancora delle ulteriori economie. In tale stato le cose, che vuole? Cosa può sperare da Bronte?» E scrivendo il 6 dicembre allo stesso Duca, Antonino Cimbali gli ricorda "l'impossibilità della pretesa" e "tutte le deliberazioni già prese dal Consiglio comunale e Provinciale e dal Consorzio". «Poichè - scrive - per quanto si volesse la linea avvicinare ai boschi altrettanto si dovrebbe allontanare dal paese la qual cosa non solo tornerebbe a discapito dell'industria e del commercio dei Brontesi, ma sibbene inaccordabile dal Consorzio per la spesa di gran lunga maggiore abbisognevole, e per lo imprescindibile isolamento di Maletto che fa parte del Consorzio stesso» (Archivio Nelson, vol. v. 592-1, p. 174) Insomma prima degli interessi, legittimi, della Ducea venivano quelli di Bronte e di Maletto. Il Duca non vide arrivare la linea ferrata al Castello ma neppure Bronte riuscì a far spostare la stazione di arrivo del trenino Circum nel centro del paese, a "Petra Pizzuta". (nL, Giugno 2012) In merito leggi pure La Circumetnea, i Bridport, Bronte e Maletto, una ricostruzione di M. Carastro sulla nascita della Ferrovia. Un'analisi puntuale fatta attraverso i documenti dell’Archivio Privato dei Nelson, una descrizione storica, precisa e documentata dei rapporti, dei dissidi e delle alleanze fra i Nelson Bridport e i comuni di Bronte e Maletto, dalla nascita del Consorzio per la costruzione della ferrovia, ai lavori, al tracciato e alle inaugurazioni delle stazioni. Versione solo in Pdf.
|
|