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Agosto 1943, la guerra a Bronte

La Storia di Bronte, insieme, nel web

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9 Novembre 2003

Agosto 1943
Sessantanni fa i bombardamenti su Bronte

Il giorno del ricordo

Bronte ha commemorato i caduti ed ha pubblicato un volume con le testimonianze dei sopravvissuti alla 2a Guerra mondiale

Sabato 9 novembre Bronte ha ricordato le vittime dei bombardamenti e degli eventi bellici avvenuti nel nostro territorio nell'agosto del 1943, quando Bronte fu messo a ferro e fuoco dalle forze «alleate» che tentavano di impedire la ritirata delle forze tedesche provenienti da Adrano e dirette a Messina.

La solenne manifestazione ha visto presentare anche un libro  - Bronte 1943 - contenente il diario che l'ufficiale medico palermitano Giulio Sconzo scrisse a Bronte in quei giorni e le testimonianze di alcuni brontesi che hanno ricordato gli episodi più tristi e significativi di uno scontro bellico doloroso per le nostre comunità.

Il libro pubblicato dal Comune di Bronte sarà distribuito gratuitamente e farà parte di quelle testimonianze di cultura cui la città è ricca.

La manifestazione si è svolta in piazza Spedalieri davanti al «Monumento dei Caduti», con la messa officiata dal reverendo Vincenzo Castiglione cappellano della Guardia di Finanza e la presentazione del libro pubblicato dal Comune.

Presente alla cerimonia il figlio del dott. Sconzo, Gaetano, assieme ai comandanti delle forze dell’Ordine presenti sul territorio,  agli Alpini ed a molti anziani che ricordano ancora quei tristi giorni.

Subito dopo si è svolta una visita all'edicola votiva eretta in onore dell'Annunziata, a ricordo dei fatti del 1943, a poggio San Marco.

L'edicola, restaurata per l'occasione, è stata innalzata nell'agosto del '49 dai molti brontesi che rischiarono di rimanere sepolti nella sottostante galleria della Ferrovia Circumetnea, zeppa di sfollati provenienti anche da tutta la provincia etnea e minata dai tedeschi.

Non fu fatta saltare per le suppliche, rivolte ad un alto ufficiale tedesco che (a detta di qualcuno) dopo l'intervento umanitario si suicidò.


6 agosto 1943 - 9 Novembre 2003

Il sindaco Leanza:

ON. SALVATORE LEANZA, SINDACO DI BRONTE 2003"Sono trascorsi sessanta anni dal giorno in cui avvenne a Bronte un violento bombardamento che provocò numerose vittime e molti feriti e dispersi.
In quel drammatico pomeriggio la città di Bronte rischiò di essere rasa al suolo. Il Real Collegio Capizzi, simbolo della tradizione culturale siciliana, che in quel periodo ospitava l'ospedale militare, fu preso di mira e stava per essere abbattuto.

A ricordo di quegli eventi fu eretta dopo la conclusione della guerra nella contrada Poggio San Marco una stele commemorativa in pietra lavica che l'Ammi­nistrazione Comunale ha provveduto quest'anno a restaurare e che oggi, giornata dedicata ai Caduti di tutte le guerre, è stata oggetto di una solenne comme­morazione.

La contestuale presentazione del libretto nel quale sono ricordate molte testimonianze di cittadini brontesi sopravvissuti a quelle tragiche giornate, nonché la pubblicazione del diario raccolto dall'ufficiale medico palermitano Giulio Sconzo, il cui figlio Gaetano è oggi ospite a Bronte, rappresenta non soltanto un fatto di rilevante valore storico ma anche una testimonianza da affidare alla riflessione delle giovani generazioni che dovranno considerare sempre la Pace come il bene Supremo dell'umanità".

9 Novembre 2003

Salvatore Leanza, sindaco di Bronte


 

8 Agosto 1943, Il Giorno della Memoria

La famiglia Caudullo

Fra i tanti brontesi che perirono per mano tede­sca o alleata, vogliamo oggi ricordare un'intera famiglia sterminata durante la loro ritirata da sol­dati tedeschi in una grotta, sita nelle vicinanze dell'Ospe­dale, dove avevano cercato rifugio per salvarsi dai violenti bombardamenti degli Alleati.

Liuzzo Vincenza, 40 anni, incinta, i suoi due figli Nunzio e Salvatore di 4 e 7 anni e il marito Alfio Cau­dullo (1936), l’8 agosto del 1943 durante un bombardamento degli alleati, insie­me ad altre numerose famiglie cercarono rifugio in un ingrot­tato lavico ubicato nella parte alta del Corso Umberto nelle vicinanze dell’ospedale.

Morirono dilaniati, insieme ad altri sventurati, da bombe a mano lanciate con spietata inutile ferocia e vio­lenza da soldati tedeschi in fuga dagli alleati.

Un altro figlio, Placido, si salvò miracolosamente.

Riposano nel cimitero di Bronte dove una lapide posta sul piccolo monumento funebre recita:

«Ferito a morte nella galleria,
cercò riparo in  una grotta oscura
con i suoi figli, e la moglie lo seguiva
portando in grembo un'altra creatura,
ma, il fuoco li perseguita e raggiunge
col schianto tremendo delle bombe
ora nel buio sonno li congiunge
la candida mestizia di due tombe».



L'edicola votiva sopra la galleria

Un'immagine che ricorda quei terribili giorni del '43 e le persone sfol­late durante la seconda guerra mon­diale. Molti brontesi, nei primi d'agosto del 43, si rifugiarono alla "Colla" in una abitazione della famiglia Saitta e dentro la sottostante galleria della Ferrovia Circumetnea.
Scrive Luigi Putrino che «es­sen­do l'abitazione troppo espo­sta, avvistati dai bombar­dieri, si rifugiarono nel sotto­stante traforo della ferrovia, purtroppo già minato dai tede­schi e pronti a farlo saltare.e suppliche ai militari di una donna che parlava il tedesco e la votazione alla Vergine, illuminarono il più elevato in gra­do che non fece eseguire l'ordine, ma che si suicidò con un colpo di pistola alla tempia.

I miracolati per l'occasione fecero erigere sul posto una edicola votiva che ancora oggi vi troneggia rivolta all'Et­na e l'ingresso del traforo».
Il monumento è stato recentemente restaurato.

Il giorno del ricordo, Leggi anche

Il diario dell'avolese Giuseppe Schirinà, Placido Gulino, l'eroe venuto dal Sud, Spionaggio e controspionaggio a Bronte e Maniace, 1930/1945, Nella bufera - Annales, 1938-1946, Bronte, Luglio 1943 - Agosto 1944, "Il mio 1943" di Nicola Lupo, I ricordi di Luigi Minio, La guerra nei Ricordi del cav. Castiglione, «À la guerre comme à la guerre!», «L'apparecchiu miricanu», 'U su' Nunziatu Ficasicca




Bronte 1943, le testimonianze

Il diario del capitano medico Giulio Sconzo

Il libro è stato scritto a più mani: riporta, a cura del figlio Gaetano, giornalista palermitano, il diario che Giulio Sconzo, capitano medico in servizio nel Collegio Capizzi, allora trasformato in Ospedale militare, scrisse nei giorni dell'avanzata alleata nel territorio di Bronte (agosto 1943); alcune testimonianze di nostri anziani che vissero con alterne fortune i bombardamenti e la ritirata delle truppe tedesche raccolte da Luigi Putrino ed una esposizione storica di quei drammatici giorni vissuti dai brontesi curata dal nostro Franco Cimbali.
«La guerra è indubbiamente quel drago nelle cui fauci si muore, si sopravvive alla bell'e meglio, si soffre, ci si dispera, si piange; quasi mai trovi l'estro per un fugace sorriso. Per sopravvivere, devi arrangiarti, soltanto arrangiarti.
Ma chi ha la fortuna di poterne conservare i ricordi può anche trovarsi di stucco, perplesso, amareggiato, an­che umiliato come colui che - andando a caccia di carteggi sui tragici giorni dell'agosto 1943 a Bronte - sco­pre che nell'Archivio di Stato purtroppo non c'è uno straccio di documenti ufficiali, ma anche che al Comune le carte di quei giorni sono conservate in un magazzino-archivio che meriterebbe d'essere riordinato.
Insomma è una fortuna incommensurabile poter disporre del diario di un soldato, un capitano medico allora quarantenne, richiamato alle armi e sbattuto al fronte con l'ospedale militare nel quale era stato intrup­pato». (Gaetano Sconzo)

Le 100 pagine del libro, arricchito con una ventina di foto (cinque fornite da Bronte Insieme, senza per altro essere citati) sono un vero percorso della memoria. Di seguito vi presentiamo alcuni brani del Diario del cap. Giulio Sconzo (i giorni che vanno dal 2 al 7 agosto, quando i bombardamenti alleati fecero numerose vittime e danni) ed un breve capitolo della parte curata da Franco Cimbali, «Bronte, Luglio 1943 - Luglio 1944».


Agosto 1943

(...) 2 Agosto
Notte calma e giornata con notevole attività aerea nemica. Si continua a combattere aspramente nelle zone di Regalbuto e Troina. Apprendiamo purtroppo amari particolari sulla ritirata del 2° Corpo d’Armata. Il bollet­tino radiofonico tedesco comunica l’ennesimo bombardamento di Palermo.


3 agosto

Notte calma; si riattiva l’energia elettrica! Ma la giornata è contrassegnata da attività aerea continua infer­nale. La reazione contraerea in tutte le zone circostanti risulta comunque molto più efficiente rispetto ai gior­ni precedenti. Alle 13,30, mentre pranziamo, si verifica però una violenta incursione, con sgancio di nume­rose bombe sulle zone della Colla e sullo Scialandro. Si resiste comunque nelle zone di Troina e Regalbuto.


4 agosto

Notte calma. Ma alle 8,20 passa una forte e nutrita squadriglia di quadrimotori, che provocano in reazione immediata numerosi tiri contraerei: un apparecchio nemico è abbattuto. I suoi frantumi, caduti sulla Colla e sullo Scialandro, provocano numerosi morti e feriti. L’attività aerea diviene quindi ancor più intensa in una giornata a dir poco infernale.
Alle 13,35 avviene un violento mitragliamento. Alle 13,55 esplode una bomba caduta sul bivio per la stazio­ne, provocando per fortuna un solo ferito.

Alle 16,20 ed alle 16,40 due ondate di bombardieri prendono d’assalto Bronte; crollano numerose case nella parte alta del paese e nella zona della stazione. Terrificante! In tutti gli appartamenti comunque si rompono i vetri. Trasferisco precipito­samente la famiglia in casa dell’avvocato Sanfilippo. Torna a mancare l’energia elettrica.


5 agosto
Notte calma. Di giorno, l’attività aerea torna ad essere intensa. Efficiente comunque la reazione contraerea.
Come nei giorni scorsi, sono flagellati da bombe gli stradali viciniori a Bronte. La famiglia passa la giornata all’ Alcazar di Bronte (così all’epoca era indicato l’attuale Circolo di Cultura “Enrico Cimbali”, n.d.r.).
Alle l7,30 apprendiamo che Catania è stata occupata dall’8° Armata, stamane intorno alle 8,30.
Anche Paternò è stata occupata dal nemico. Ci informano che aerei tedeschi hanno bombardato il porto di Palermo e che aerei americani hanno recato enormi danni a Napoli. Nella giornata di ieri e di oggi, alcuni tedeschi in fuga hanno ferito quattro inermi ed indifesi brontesi, sparando loro addosso con le rivoltelle.


6 agosto
Per tutta la notte ha tuonato il cannone. Malgrado l’emergenza, si festeggiano tutti i “Totò” e tutte le “Salvatrici” nel giorno del loro onomastico. Ma la mattinata è caratterizzata da frequenti transiti di aerei nemici, con conseguenti schermaglie fatte di mitragliamenti massicci. La mia famiglia è accampata all’Alcazar.

Alle 13 sale la tensione, poiché il bollettino radiofonico annuncia l’evacuazione di Catania. Purtroppo, ci siamo: il fulcro del fronte bellico ci interessa da... vicinissimo! Apprendiamo che Palermo è stata bombardata ancora una volta. Alle 14 a Bronte comincia l’inferno. Durante una incursione aerea, una bomba cade sulla parte bassa del paese.
Alle 14,45 un’altra bomba centra il chiostro dell’ospedale, centrandone il pozzo. E dire che avevamo fatto disegnare sul tetto del Collegio una croce rossa gigantesca ed altre erano state dipinte negli atri.

Raccogliamo le famiglie, i ricoverati ed alcuni scampati nel refettorio, che sembra un locale in un certo senso protetto o comunque meno vulnerabile. Chi può si adatta sotto i tavoli di marmo, eleggendoli ad ulteriore protezione. Sono però soltanto scelte da disperati.
Ovunque è polvere e terriccio; ne portiamo notevole quantità sugli abiti, nei capelli, sulla cute del viso. Lo sbandamento è generale, anche perché fino alle 19,30 si susseguono otto ondate di bombardieri, che sganciano ventotto bombe sul centro abitato, in particolare attorno al Collegio-ospedale. Ma numerose bombe finiscono per centrare davvero l’ospedale, quasi che si voglia stanarci o sterminarci con la violenza più inaudita e più barbara, colpendo al cuore quel che resta dell’ormai esausto abitato di Bronte.

Il terrore è panico puro. Quasi tutti gli ufficiali abbandonano l’ospedale, dandosi alla fuga per cercare rifugio e salvezza altrove. Per l’esercito italiano purtroppo anche a Bronte è il momento del totale disfacimento, sopraffatto com’è da una forza d’urto spietata e devastante. Io resisto non so come, ma ritengo d’essere un incosciente, attratto come sono dal desiderio di soccorrere tanti poveri feriti o moribondi. Nell’ospedale affluiscono decine e decine di feriti, militari e civili, anche gravissimi; vengono alloggiati alla bell’e meglio, quasi accatastati nei locali del refettorio e di un attiguo corridoio, dove riesco ad assicurare loro i primi soccorsi.

I prigionieri inglesi si adoperano a scendere nel refettorio le barelle con i trasportabili fra i feriti gravi ed i fratturati del reparto chirurgia. Ma, ad ogni incursione, che provoca un’immane ondata di bombe, il caos torna ad imperare. La scena è infernale ed allo stesso tempo drammatica: in una, tante lingue, sulle barelle o su improvvisati giacigli c’è chi prega, chi chiede soccorso, chi implora la mamma, chi piange, chi si dispera. I soli ufficiali medici che rimaniamo sul posto siamo Veronica, che si occupa degli intrasportabili del reparto chirurgia, ed io, che mi prendo cura dei feriti affastellati nel refettorio. Ma le condizioni igienico-sanitarie sono assolutamente deficitarie.

Il capitano medico Giulio Sconzo con la famiglia. Il figlio Gae­tano (in basso a sinistra e, oggi, nel­la foto a destra) ha forte­mente volu­to la pubblica­zio­ne del dia­rio scritto dal padre nell'ago­sto del '43 durante la sua per­manenza a Bronte.

La copertina di "Bronte 1943", con "Il diario del capi­tano medico Giulio Sconzo" e (foto sotto) la galleria della Ferrovia Cir­cumetnea dove trovarono rifugio moltissime fami­glie brontesi.

Alle 19 mia moglie è ferita ad un braccio, alle 19,15 mio figlio e mia suocera rimangono sepolti sotto uno dei bagni esistenti nell’attiguo atrio, che è crollato dopo lo scoppio di una bomba nella strada limitrofa. Vengono fuori dalle macerie con la più esasperata forza della disperazione, miracolosa­mente vivi. Io mi sono infortunato, nel tentativo di soccorrere una donna gravemente ferita ad una spalla e sul torace; zoppico.

La spietata violenza delle bombe finisce per distruggere l’ospedale, provocando numerosi morti; si salvano rari superstiti, perché scelgono la via di una precipitosa fuga i rari superstiti. I tedeschi ormai allo sbaraglio frattanto durante la fuga sono protagonisti di ignobili rappresaglie e vandalismi incre­dibili. Il nemico entra in paese.

Non c’è proprio nulla da fare; quanto meno devo mettere al sicuro la famiglia, nella speranza che salvi la pelle; anche perché i primi avamposti nemici si insediano, prendendosi cura dei feriti, e ci fanno capire che stiamo per essere imprigionati. So che tornerò. Anche per lasciare il refettorio e quindi raggiungere la strada, è un procedere difficilissimo, fra macerie e detriti.

Bronte è una montagna di macerie; raggiungere la casa, in via Garibaldi, è problematico, perché le strade sono interrotte o ostruite fino all’inverosi­mile. Ci acquattiamo sotto materassi e cuscini nell’abitazione dell’avvocato Sanfilippo, attendendo la morte. Casa nostra è notevolmente danneggiata dai bombardamenti ed è già stata visitata da tedeschi in fuga e sciacalli.

Alle 20,30, persistendo l’emergenza-bombardamenti ed incombendo la minaccia delle rappresaglie da parte del nemico, anche se zoppico, fuggiamo in campagna, cercando rifugio o nel tunnel oppure in montagna, verso l’Etna. Racimoliamo poche provviste: cinque pani, mezzo chilo di formaggio, due brocche con acqua.

Si parte con la famiglia Sanfilippo, Galvagno, don Vincenzo e Graziano. È una triste carovana composta da undici disperati fra i quali due bambini; siamo digiuni e disperati. Non sappiamo quale sorte ci toccherà. La strada è accidentata ed in salita. Giunti alla Stazione, decidiamo di salire verso l’Etna. Io comunque dovrò tornare nel più breve tempo possibile in ospedale.

La notte è indimenticabile. Fino alle 23, la illumina in qualche modo un piccolo lembo lunare. Dalla valle arrivano i lampi e gli scoppi delle artiglierie. La strada è disseminata di militari morti, di camionette o autoblindo mitragliati e distrutti; è drasticamente in salita e quanto mai accidentata.

A mezzanotte, ci accampiamo all’aperto e restiamo fermi fino alle 2. Poi riprendiamo la nostra pietosa fuga. Alle 3 e mezza siamo nella zona Paparia e decidiamo di continuare a salire. Alle 5 e mezza, arriviamo a Monte Chiuso e precisamente a Ceravolo: qui troviamo una stanzetta senza porta, circondata da accoglienti alberi di noce. Ci accampiamo, stremati.


7 agosto

Sono depresso; sono infortunato e non ce la faccio a tornare in ospedale. So di essere un soldato vinto e zoppo, che ‘per il momento’ ha dribblato la prigionia. Sono afflitto dalla situazione igienica e morale nella quale siamo qui a Ceravolo. Non ho la forza di guardare in viso i miei figli: per la femmina sarebbe il compleanno, per il maschio l’onomastico. Chissà come li avremmo festeggiati in una situazione normale. Ma tutto sembra perduto, quale sorte ci attende?
L’acqua scarseggia, così come le notizie sulla situazione a Bronte, che dista circa dieci chilometri, a 1.300 metri di altezza sul livello del mare, immersa in desolanti sciare di lava. Per fortuna, nel pomeriggio riusciamo ad ottenere qualche brocca d’acqua della cisterna della attigua Dagala ‘Nchiusa.

Si registra un continuo passaggio di aerei: noi ci acquattiamo sotto gli alberi, per timore di possibili mitragliamenti, anche perché due di noi vestono la divisa militare con stivali. Il cannone tuona a valle e nella zona di Cesarò. Si dorme all’aperto, sulla terra nuda; i più fortunati riescono a crearsi una sorta di finto giaciglio, fatto di frasche. Conviviamo con formiche insetti, lepri...


8 agosto

Il capitano medico Giulio Sconzo con la moglieÈ domenica, ma per noi è soltanto ‘un altro giorno’ da fuggiaschi. Sveglia alle 5, alle prime luci del sole. La mia zoppìa si acuisce: ho subito una frat­tura? Andiamo a rifornirci di un po’ di latte a Dagala ‘Nchiusa. Alimenti del giorno: pane duro inzuppato di acqua ed un residuo di formaggio. La depres­sione è totale, quando ci rendiamo conto che alle 10,30 Bronte è di nuovo bombardata a tappeto. Sapremo che nel pomeriggio le avanguardie inglesi hanno preso possesso del Comune. Cala la tela: e’ la fine della nostra ‘povera’ guerra.

Abbiamo esaurito i viveri. Che fare? Alle 18,15 io, mio cognato Pippo Di Dio, Galvagno, Graziano e don Vincenzo decidiamo di scendere in paese, per cercare qualcosa da mangiare. Vorrei anche ripresentarmi in ospedale. Ma, mentre siamo in marcia, alle 19,15 da un avamposto dell’estrema ala destra inglese - sulla altura della Colla al limite della Sciara - ci indirizzano addosso una fucilata. È segno che la nostra presenza è sospetta e che le divise militari grigioverdi sono prede da catturare o comunque da perseguire.

Ci ripariamo sotto un muretto a secco e vediamo fischiare sulle nostre teste più di quaranta colpi di fucile. Restiamo acquattati per oltre due ore, vivi per miracolo. Per fortuna i militari inglesi non hanno deciso di raggiungerci per scoprire chi siamo, chissà anche per giustiziarci. Alle 21, sotto un tenue chiarore di luna, torniamo a Ceravolo, dove arriviamo alle 22, accolti con grida festose. Ma siamo a mani vuote, stanchi, emozionati, stremati e vivi per miracolo.
Alle 23, ci sdraiamo sulla nuda terra.


9 agosto
La notte è tanto fredda. Alle 5,30 siamo svegli. È impossibile ogni cura igienica o il cambio di abiti e biancheria. A Dagala ‘Nchiusa otteniamo un po’ di latte e mezza capra. Si impianta un empirico fornello e si cucina la carne sulle tegole tirate giù dal tetto della casetta. Del pane, neanche l’odore.

Nel pomeriggio, l’attività di artiglieria nella vallata sottostante è intensissima. Gli inglesi tirano migliaia di colpi a Rocca Calanna di Maletto. Scompa­ginano così le batterie tedesche, che soltanto inizialmente tirano qualche colpo verso la Colla. A sera, ceniamo dividendo in undici porzioni un pane asciutto realizzato con un po’ di farina portata da Graziano.
Alle 22 siamo di nuovo sdraiati sulla nuda terra. La notte è ancor più fredda di quella precedente. Lamentiamo tutti dolori lancinanti alle spalle ed ai lombi. Percepiamo che prosegue, anche se limitata, l’attività di artiglieria.


10 agosto
Alle 5,30 sveglia e gita a Dagala ‘Nchiusa, per chiedere un po’ di latte di capra. Il menu di giornata comprende - per gli undici disperati - un pane ed un quarto di capra. Sino alle 9 tace l’artiglieria. Gli inglesi continuano ad avanzare. Soltanto al calar della sera, si percepiscono tiri di artiglieria verso punta Calanna.


11 agosto
Oggi ci si nutre con un po’ di latte ed un quarto di montone. Il pane è assente. Arrivano vaghe notizie sulla situazione, ma è certo che Bronte è flagellata dalle più spietate granate tedesche, in un conato di vendetta.
La triste ed affamata comitiva è in preda allo scoramento: c’è chi sollecita finanche il rientro in paese, qualunque sia la situazione e la vivibilità in loco. Le condizioni nutrizionali ed igieniche in effetti sono assolutamente deficitarie.


12 agosto

Oggi ci si deve nutrire dei residui del quarto di montone e di un chilo di fave. Siamo avviliti, così non si può resistere. Ed è battaglia fra i nove adulti, sulla soluzione da scegliere. Una cosa è certa: il fronte sicuramente deve essere avanzato verso nord e dunque in direzione dei Nebrodi.

I tiri di artiglieria si odono ormai sempre più lontani. Alla fine il concitato ‘referendum’ dei disperati si conclude con la decisione di tornare in paese. Ma so che ora la mia sorte è segnata.


13 agosto
Alle 5,30 la triste carovana si rimette in marcia, ora verso Bronte, o meglio quel che resta di Bronte. Arriviamo in via Garibaldi alle 10,30. La casa nel suo piano superiore ha subito notevoli danni.


14 agosto
Mi consegno al comando inglese, che ha preso in forza l’ospedale. M’hanno rivestito di grigioverde a quaranta anni ed ho difeso la patria, ma abbiamo perduto la guerra. Sono prigioniero del ‘nemico’, che da oggi devo chiamare ‘liberatore’. Io che detesto la guerra ed ho vissuto asetticamente nel momento politico che l’aveva voluta.

L’atto finale della prigionia sarà un certificato di rimpatrio, avvenuto il 7 agosto 1944, dal quale risulta che il 21 luglio’ 44 è stato rilasciato’ Sconzo Giulio, capitano medico di complemento, militare dal 25 settembre 1942, appartenente al Distretto di Palermo, nato a Palermo il 28 agosto 1901 con anzianità di grado risalente all’1 marzo 1941 e nominato ufficiale nel maggio 1927, catturato quale caporeparto della 3° Medicina dell’Ospedale di riserva n° 2 di Bronte, assegnato all’Ospedale militare di Palermo per ordine del Ministero della Guerra’.

* * *

Ed ecco alcuni stralci della relazione sulla prigionia del capitano Sconzo.

“Sono stato richiamato... ed assegnato a Palermo al Deposito del 76° Reggimento Fanteria fino al 30 novembre 1942. Dall’l dicembre ‘42, caporeparto 3° Medicina dell’Ospedale di riserva n° 2, tra­sferito dal corso Calatafimi alla Feliciuzza nei locali del Policlinico. Detto ospedale, in seguito ad ordini ricevuti dal Comando di Corpo d’Armata e dalla Direzione di Sanità nel periodo fra il 1° giugno ed il 10 luglio 1943 si trasferì a Bronte (Catania), nei locali del Collegio Capizzi e nelle scuole elementari di quel Comune.

Il trasporto dell’ingente materiale in dotazione in detto ospedale avvenne a mezzo di numerosi autotreni ed arrivò a Bronte in buone condizioni, ad eccezione di una piccola parte (materiale di magazzino) che rimase a Palermo, nei locali della Feliciuzza, in consegna ad un distaccamento della Compagnia di Sanità. Detta piccola quantità non poté essere avviata, perché il 10 luglio si verificò lo sbarco degli alleati in Sicilia”.

“A Bronte ho conservato la carica di Capo Reparto del 3° Medicina ed ho organizzato il reparto al piano terreno della scuola elementare.
Il funzionamento del mio reparto ed anche quello degli altri reparti fu stabilito di comune accordo tra il Direttore di Sanità, tenente colonnello Tomaselli, ed il direttore dell’Ospedale, tenente colon­nello Foti intorno al 12 luglio, cioè dopo pochi giorni dallo sbarco degli Alleati, pur difettando moltis­simi rifornimenti alimentari e farmaceutici.

Ben presto cominciarono ad affluire ammalati e feriti anche civili delle zone limitrofe e l’ospedale, pur fra molti stenti, poté funzionare. Non è da nascondere però che spesso sono mancati i viveri non soltanto per la truppa, ma anche per i ricoverati.”

“Il paese di Bronte fu risparmiato dalle incursioni aeree fino al 3 agosto (eccezion fatta per parecchi spezzoni sganciati saltuariamente su automezzi che transitavano e ciò specialmente alle porte del paese).

Il 3 ed il 4 agosto, due violente incursioni aeree produssero molti danni e numerose vittime in paese, specie verso la parte alta (stazione ferroviaria). Nonostante ciò, l’ospedale continuò a funzionare in mezzo a stenti sempre più accentuati (mancanza di energia elettrica, acqua, legna, alimenti, eccetera). Nel mio reparto erano 80 ricoverati, che ebbero la normale assistenza medica”.

“Il 6 agosto, dalle 13,30 alle 20, il paese di Bronte fu sottoposto ad un violento e terrificante bombardamento aereo, fatto ad ondate successive, aventi lo scopo di interrompere, con l’abbattimento dei fabbricati, l’unica via di scampo alle forze tedesche che si ritiravano da Adrano. In queste terrificanti sei ore, i danni furono micidiali, enormi; grande fu il numero delle vittime e dei feriti”.

“L’ospedale, munito di chiari segni della Croce Rossa con bandiere sul campanile e croci rosse dipinte sui tetti (una venti metri per venti!), ricevette ventotto bombe e fu devastato, specie nei piani superiori. In tale tragica giornata, ho prestato da solo la mia opera nel refettorio del Collegio Capizzi, coadiuvato dal sergente di Sanità, Marino, e da alcuni soldati. Non ho visto in quel locale alcun altro ufficiale medico. Ho saputo che al primo piano ha continuato a prestare la propria opera il tenente medico Veronica”.

Alle 19,30 circa anche mia moglie è stata ferita da una scheggia al braccio sinistro. Alle 20,30 circa pensai di porre in salvo mia moglie ed i miei bam­bini; superando le macerie del paese, ci avviamo fra le sciare di lava dell’Etna.

(...) Una distorsione dell’articolazione tibioperonea astragalica destra, da me subita mentre - in mezzo alle macerie dell’ospedale - davo assistenza ad una povera donna agonizzante, per uno squarcio dell’articolazione scapolo omerale e del torace, mi diede notevole fastidio. Toltomi lo stivale, per visitarmi l’articolazione, non fui più in condizione di calzarlo, per il gonfiore sopraggiunto ed il dolore all’articolazione lesa. Per tale motivo, non potei fare immediato ritorno in ospedale. La mia malattia fu resa nota alla Direzione dell’ospedale, con due biglietti consecutivi, recapitati regolarmente al nuovo Direttore, tenente Veronica.

Rientrato il 13 agosto, il 14 mattina mi sono consegnato e sono stato avviato, a mezzo di un autocarro, verso un improvvisato campo di prigionieri e successivamente fui inviato a Siracusa. Il 17 agosto, sono stato nominato Medico Dirigente del Servizio Sanitario del 222° POZ Camp ed in tale posizione sono rimasto fino al 14 ottobre. Dal 15 ottobre ’43 al 5 maggio ’44 sono stato avviato all’ospedale POW di Avola, prima con la funzione di Capo Reparto e poi di Direttore.

Dal 5 al 7 maggio ho consegnato tutto il materiale a me affidato al capitano medico Bonanno presso l’ospedale della Croce Rossa di Siracusa. Detto materiale proveniva dall’Ospedale Regia Marina di Melilli ed è stato da me scaricato sotto la sorveglianza di un colonnello medico inglese, giusto inven- tario esistente nell’ospedale di A vola. È in mio possesso regolare ricevuta. In tale occasione ho fatto pervenire al Sindaco di Avola alcuni mobili da me trovati nei locali dell’ospedale; ho fatto anche recuperare altri mobili al Comando Marina di Augusta. Ho in mio possesso le relative ricevute”.

“Dal 7 maggio al 21 giugno, ho prestato servizio nell’ospedale POW Santa Marta di Catania; da tale data si è iniziata la mia pratica di liberazione, in seguito a richiesta del Ministero della Guerra. Il 20 luglio sono partito da Catania ed il 21 successivo ho preso servizio presso l’Ospedale militare di Palermo”. (…)

(Nelle foto: il capi­tano medico Giulio Sconzo con la moglie; una veduta di Bronte nel 1940 ed il Salone S. Giuseppe del Real Collegio Capizzi (all'epo­ca requi­sito e trasformato in ospedale) dopo un bombarda­mento.)

Il diario di Giuseppe Schirinà

   

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