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Vincenzo Schilirò

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Vincenzo Schilirò, Educatore e Letterato

(Bronte 1883 - Catania 1950)

di Nicola Lupo

9. Post mortem

Dopo la morte Vincenzo Schilirò è stato ricordato da Paolo Marletta dicendo che egli «aveva dedicato la sua vita alla poesia, alla letteratura e all'insegnamento, cercando di far lievitare dentro di essi, il più possibile, il messaggio cristiano».

Messaggio che si rifletté nella politica del Partito popolare di don Sturzo «portando un soffio di rinnovamento nella vita politica siciliana».

Dopo aver citato le principali opere dello Schilirò di poesia, di critica e di estetica, aggiunge un riferimento al Modernismo del Nostro con queste parole: «Non crediamo di essere indiscreti né di far torto a nessuno se affermiamo che uomini come Vincenzo Schilirò debbano in qualche momento non essere interamente compresi dalle autorità ecclesiastiche».

E, infine, dopo aver ricordato la collaborazione dello Schilirò a «La Tradizione» di Pietro Mignosi, rivista che «ebbe la vita difficile e poi fu troncata dagli impedimenti del Ministero della cultura popolare» così conclude: «Vincenzo Schilirò, sempre sereno pur tra le sofferenze degli ultimi anni, era [...] un modello ed una guida per quanti, nelle fatiche d'una vita materialmente agitata, tendono alla meta suprema (sempre vicina e sempre lontana) d'un effettivo miglioramento di sé medesimi».[1]

Un ricordo più dettagliato comparve nel dicembre del 1950 su «La Rupe» di Palermo a firma del suo direttore Giosuè Sparito.

Il quale in apertura dice che, nell'apprendere la notizia della morte dello Schilirò, «un grande vuoto si realizzava intorno a me per la perdita d'un così sincero amico, mentre le lettere e la critica estetica, nonché la Chiesa, perdevano in Lui uno dei più fulgidi campioni, uno dei più puri e battaglieri difensori della nostra migliore tradizione letteraria, un poeta delicato e gentile».
Dopo aver ricordato che egli stesso aveva conosciuto lo Schilirò a Bronte nel 1919 nel Collegio Capizzi dove sparse «copiosamente» , con le doti del suo ingegno vivace, la luce del suo insegnamento appassionato e fervido, dando lustro a questo glorioso istituto e al suo paese natio con la copiosità delle sue opere di poesia, di letteratura varia e di critica estetica, lo descrive «aitante nella persona, dal viso sorridente, ma non privo di rughe per gli anni vissuti e le dure battaglie della vita che egli da Sacerdote, da studioso e da sociologo appassionato e tormentato, aveva combattuto e vinto, oso dire, con alterna vicenda e con rischio finanche per il suo delicato ministero e per l'insegnamento».
Chiara allusione alle frizioni tra lo Schilirò e la Curia per le sue idee innovatrici che propagandavano il ritorno della Chiesa al «socialismo evangelico».

Considerando, quindi, lo Sparito il silenzio con cui la morte dello Schilirò fu accolta dalla critica, soggiunge: «Alla distanza di ben quattro mesi dalla sua morte, questo rapido profilo deve pur suonare di grave rimprovero per quei critici che hanno finto di non accorgersi né della sua opera né della sua silenziosa ed improvvisa dipartita.Io, tenendo fede al proposito di rivendicare i nostri grandi isolani [...] ora intendo rapidamente presentare ai lettori de «La Rupe» Vincenzo Schilirò, il Sacerdote integro, il poeta di forti spiriti classici e di sano respiro, delicato e gentile, il dramma­turgo compiuto e ben preparato. [...]

Lo Schilirò ha tocchi veramente magistrali, i suoi personaggi più che balzare in mezzo alla vita, vivono la vera vita con tocchi di drammaticità se non sempre indovinati, ma spesso compiutamente e volutamente pieni di freschezza e di agilità, che danno vigore e naturalezza al dramma, e conveniamo che Vincenzo Schilirò si rivela poeta di adamantina tempra e di limpida vena, delicato e soave, diffusamente e dolorosamente malinconico nei suoi tre volumi di poesie. [...]

A mio modo di vedere, Il seminatore che non miete, in cui «è dolce patire, vivere e morire», è il più sentimentale e perciò il più sincero e il più bel libro di Vincenzo Schilirò, che meglio d'ogni altro, sa dar vita e ragion d'essere alla santità del dolore e del supremo sacrificio: libro di un poeta che ama da vero e compiuto artista, ma anche libro ed opera giovanile di un Sacerdote che sa patire da Santo e da uomo, che ha sempre coscienza tanto dei valori della vita quanto delle sublimazioni del sacrificio nelle due purissime espressioni del dolore e della morte.

Ne Il pozzo di Sichem si avverte e si trova, più che il poeta nella sua spontaneità e vigore, l'uomo col fardello delle gravi delusioni della vita, l'uomo ormai rassegnato, pur fra le amarezze della vita stessa, il viatore ormai stanco e dolorante che conosce tutte le vie e le lontananze nostalgiche delle varie stazioni della vita, dove l'anima sostò come al pozzo di Sichem per bere di quell'acqua che l'anima brama anelante di infinito e nostalgica di beni interiori, irrorati di lagrime «dolci amare» come avrebbe asserito il Petrarca.

Vi è qui lo Schilirò dell'ultima giornata, che ci fa gustare meglio la natura, primitiva, fanciulla, e perciò pura, così come pretendiamo di poter presentare l'anima nostra al Creatore: lavata da tante delusioni, detersa da tanti dolori e lagrime, da tanti laceramenti della nostra carne nei tanti abbandoni e tradimenti dei nostri amici migliori e più intimi. [...]

Vincenzo Schilirò, sapendo di chiudere la sua giornata e la sua ora, è meno preoccupato dei canoni estetici che devono dar forma alla sua arte, e perciò poesia più riflessa, poesia della maturità compiutamente più serena, forse più intensa nel dissidio fra l'uomo del tempo e l'anima che sogna e intravvede i supremi confini di fronte all'eternità. [...]

Egli sapeva trovare sempre l'uomo e il suo pensiero e il cuore che rispecchiava l'anima: tale è il libro sul Leopardi che, come per il Carducci, riesce a documentare nell'infelice recanatese la morte del credente convinto, nascosto dalla furbizia e ribalderia arrivistica dell'uomo che spesso è l'amico falso: [...] Antonio Ranieri.

Più tardi nel volume di Pirandello noi troviamo l'uomo che cerca l'uomo ad ogni costo, ne scruta l'anima, presenta il dubbio e lo scetticismo che poi formano una disastrosa morale di un pessimismo e di un fatalismo che, traendo le sue prime radici del mondo greco-romano, attraverso le insulse e malsane convinzioni della moderna civiltà, ne deduce con amarezza l'amaris­sima concezione della vita in una falsità e vuotaggine assoluta. [...] La concezione che egli si forma del mondo e della vita e il vuoto e il pessimismo per una giustizia e una vita dell'al di là ne spiegano il suo fatalismo demoralizzante che sconcerta e turba i lettori. [...]

Il libro che più sia riuscito a presentarci Vincenzo Schilirò critico ed esteta veramente pregevole è quello su Gabriele D'An­nunzio, dove il poeta di Pescara viene presentato nelle sue diverse fasi. [...]

 


 

La vita e le opere di V. Schilirò (File PDF - 1944 KB)

Per conoscere un nostro illustre con­cittadino in tutti i suoi aspetti
Vincenzo Schilirò
Educatore e letterato

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[1] «Informazioni di Cul­tura e vita scola­stica», anno IV, n. 9/10, settembre-otto­bre 1950.

Il decadentismo dannunziano, le forme vuote e viete, contro ogni principio di sana moralità e la più spudorata e bestiale sensualità sono degnamente messi in evidenza da questo nostro critico ed esegeta insigne, il quale riesce a concludere degnamente la sua notevole e originale attività di critico con L'itinerario intimo[2] di Ada Negri, dove passando in rasse­gna l'opera della fortunata e geniale poetessa di Lodi, trova la continua ascesa di essa non solo nei libri vari [...] ma anche nelle lettere in cui sono chiariti i motivi spirituali,. per cui «riesce a far balzare nel quadro del suo tempo e nei moti della sua anima, prima tempestosa e ribelle, e dopo serena e quasi mistica, questa poetessa che, tra l'otto e il Novecento seppe lasciare un'impronta veramente incolmabile e incon­fondibile su tutti i poeti di primo piano di questo tempo.

Vincenzo Schilirò, critico ed erudito, spirito lungimirante di credente e di poeta fra i migliori che l'Italia abbia avuto, seppe dare testimonianza, oltre che come esegeta e sociologo, come fine e profondo conoscitore di scrittori, poeti, artisti e filosofi eminenti, come severo interprete di due secoli che formano il tempo più vicino a noi.»[3]


Allo stato attuale delle mie ricerche non risulta nessun Brontese che abbia scritto qualcosa su Vincenzo Schilirò dopo la sua morte.

Nel 1956 su Panorama biografico degli italiani d'oggi, Vaccaro, vol. Il, p. 360, compare una bio-biblio­grafia del nostro ma come se fosse ancora in vita, infatti non c'è indicata la data di morte e riporta l'indirizzo e il numero di telefono. Bisogna arrivare al 1988 per trovare un lungo articolo sullo Schilirò pubblicato su «Synaxis» vol. VI Catania a cura di Gerardo Ruggeri e dal titolo Vincenzo Schilirò un sacerdote-poeta.

In detto articolo di ben 27 pagine, lo Schilirò viene introdotto come collaboratore, assieme ad Andrea Tosto De Caro (di Trapani) e Giuseppe Petralia di Bisacquino, della rivista «La Tradizione» di Palermo, fondata e diretta da Pietro Mignosi uno dei rappresentanti più qualificati della produzione letteraria di ispirazione religiosa, poeta, saggista, studioso di filosofia, narratore, che promosse fra l'altro l'approfondimento dei problemi metafisici e religiosi e un'analisi del neo-idealismo, di cui si mettono in rilievo i limiti e le contraddizioni, ma se ne assumevano le tematiche nel campo dell'estetica.

Nella nota che segue il nome del Nostro, con data di nascita sbagliata (1882 anziché 1883), è raffazzonata una bio-biblio­grafia zeppa di imprecisioni ed errori e compare la notizia secondo la quale lo Schilirò avrebbe insegnato anche all'Istituto Magistrale Turrisi Colonna di Catania, notizia che non figura in nessuna altra fonte e che è stata smentita dal dirigente scolastico di quell'istituto.

Riferendo nel testo che lo Schilirò fu direttore de «La Tradizione» dopo la morte del Mignosi (1937) conferma che «dopo due anni fu costretto a sospenderne la pubblicazione». E continua: «i suoi numerosi saggi letterari lo dimostrano studioso originale e pienamente inserito nel dibattito di quel periodo sul significato e il valore dell'arte.

Il Croce seguì con benevola attenzione le sue pubblicazioni e a proposito di un suo saggio su Gabriele D'Annunzio, pubblicato nel 1918, così fra l'altro gli scrisse: «Ella ha sentito il bisogno di formarsi concetti precisi sull'arte e sulla critica prima di accingersi ai problemi dell'arte dannunziana. E di questa arte, delle sue tendenze e di ciò che realizza, ha dato un giudizio che mi sembra esatto».

A proposito dei suoi Appunti di estetica preceduti «da una breve ma attenta storia del pensiero estetico italiano» il Ruggeri dice che «lo Schilirò fù un profondo studioso delle opere di Croce, riconobbe la validità dell'impostazione crociana del pensiero estetico e ne fece sue alcune tesi che già erano divenute celebri. Anch'egli afferma che l'arte è intuizione lirica e che ciò che si intuisce in essa ha il carattere o la fisionomia dell'individuale e identifica l'intuizione con l'espressione, ammette il differenziarsi quantitativo del dono dell'arte in tutte le persone e l'universalità e cosmicità della produzione estetica. [...]

Naturalmente il sacerdote-poeta non accetta la tesi dell'unico spirito immanente nella storia, di cui tutti gli individui sarebbero passeggere modificazioni. Egli pensa che la retta ragione possa dimostrare l'esistenza autonoma di ogni singola persona e la trascendenza di Dio e che, in Gesù Cristo, Dio abbia chiamato l'uomo a vivere lo spirito dell'amore. Per lo Schilirò «l'arte non è giuoco, non è piacere, non è illusione: è la vita stessa».

L'attività artistica è tensione verso qualcosa la cui mancanza fa sentire la vertigine del vuoto. [...] L'arte è il preludio e il presentimento di un «regno beatificante»; intuizione che fa vedere le cose tutte come simbolo e immagine di Dio e quindi dell'Amore; è esaltazione dell'anima che sente la sua stirpe divina.

Lo Schilirò usa la parola «estasi» che è quell'uscire da se stessi; è anche dimenticanza di se stessi, della orga­nizzazione logica del mondo [...] e afferma che «le radici della poesia sono da ricercare in tutti gli aspetti dell'esperienza storica, dalla vita dei sensi all'opera della fantasia, alle aspirazioni dell'intelletto e alla tensione d'amore».
E ancora: «l'arte in quanto atto, significa espressione vitale d'un dato momento dello spirito, dal quale non si può escludere il sentimento, che è segno e condizione di vitalità, come non si esclude il contributo dei sensi, che sono le fonti perenni dell'esperienza, e non si escludono gli elementi intellettivi che coi fantastici hanno mutui e necessari rapporti». [...]
Il fatto estetico possiede la fondamentale caratteristica della individualità e inimitabilità. [...] Il significato della poesia e dell'arte, secondo lo Schilirò, si trova nella rappresentazione della completezza dei valori umani; [...] egli nella sua poesia si esprime con un linguaggio vibrante di sana sensualità, di passione contenuta, di spiritualità, di elevazione. [...] Egli vede l'uomo finalisticamente ordinato alla felicità, la quale consiste nel bene e nella verità. «L'arte che si chiude nel morboso e nella foschia del pessimismo, non può contare che sopra un successo a metà».

Lo Schilirò esprime questo giudizio a proposito di Pirandello il quale non ha trovato se stesso. «Pirandello - scriveva lo Schilirò nel 1935 - non ha trovato se stesso», ma per trovarsi è necessario, direi, separare sé da sé; sciogliersi dal proprio io, sostenersi a una Realtà, farsene lume di code sta certezza e guardarla in faccia la nostra assetata umanità: povera briciola del Pane eterno. [...]

L'uomo rappresentato dal Pirandello, gli appare privo di risurrezione e di amore creativo. [...] Lo Schilirò vede l'arte come fatto esistenziale [...] e l'artista completo obbedisce al fascino e all'attrazione della felicità e della pienezza, anche se questo non comporta per nulla dimenticanza del dolore e della tragicità della morte.

Il nostro autore fa sua la distinzione crociana fra arte e morale, ma osserva che l'artista, nel difendere l'autonomia della sua ispirazione, non può non dimenticare che il valore dell'arte deve essere coordinato con gli altri valori espressi dalla persona. [...] L'arte può dirsi vita: vita che può avere affermazioni utili che appartengono alla libertà d'affermazione, «salvi, s'intende, i motivi della sua responsabilità individuale.»

Dopo questa sintesi dell'estetica dello Schilirò, il Ruggeri passa all'analisi delle due opere più importanti di poesia del Nostro che sono Il seminatore che non miete e Il pozzo di Sichem.

«Il seminatore che non miete - dice il Ruggeri - è un racconto in prosa e in versi, scritto nel 1923 e pubblicato alcuni anni dopo».
Ma questo è un grosso errore perché la prima edizione è proprio del 1923 pubblicata presso lo Stabilimento Tipografico Sociale di Bronte, mentre la seconda edizione è del 1927, pubblicata sempre a Bronte dalla stessa tipografia.
È la storia straziante di Massimo e Bianca. Massimo è un giovane di 24 anni, orfano di entrambi i genitori, che, a Caserta, in casa del cognato, vedovo della sorella di lui, Annie, incontra Bianca e fra i due sorge un amore intenso e struggente, animato da sentimenti puri, ma proprio questa purezza rende i due amanti tesi nello spasimo dell'incontro.

Nel maggio del 1915 Massimo va in guerra ed è gravemente ferito al volto e ad un polmone. Il sentimento patrio del prota­go­nista, dopo la guerra, subisce l'affronto di coloro che disprezzano la vittoria italiana e l'esercito.

Bianca continua ad amare incondizionatamente la persona amata, nonostante la trasformazione spaventosa del viso e il continuo deteriorarsi della sua salute. Massimo muore nel giugno del 1922, confortato dalla fede e dalla cristiana rassegnazione di Bianca, la quale gli dimostra la propria fedeltà dedicandosi a «una missione di bene e di civiltà» in un paese ignoto.

«Lo Schilirò costruisce il suo racconto con vari elementi armonicamente coordinati: didascalie, note intime tratte dal diario di Massimo, lettere da lui scritte a Bianca e ad un amico ed infine effusioni liriche dello stesso Massimo, che costituiscono l'opera propriamente poetica.

Tutta la vicenda si svolge nella cornice della natura [...] quasi il contrappunto esteriore di una vicenda intima e spirituale. [...] un'osservazione di Massimo ci permette di capire lo stato d'animo del sacerdote-poeta [...]: «La mia anima aborre dai pessimisti che calunniano grossolanamente le opere del Signore, come rifugge dai fabbricatori dell'ideale irraggiungibile e da tutti quegli asceti religiosi che ostentano disprezzo e noncuranza per le bellezze, l'amore e le conquiste della vita». [...]

Il poeta ha dimenticato le tribolazioni della vita terrena e vede la natura trasfigurata e spiritualizzata: suoni, colori, bellezza, complemento reciproco, tutto è frutto dell'amore di Dio che crea. [...] Il tema del girasole che si volge verso la luce del sole fu proposto anche da Montale nel 1925 con intonazione e tecnica diverse. [...]

Il poeta non si fa illusioni: il godimento dura poco [...] e collega la celebrazione della natura al movimento interiore dello spirito, il quale deve ritrovare Dio. Montale prende su di sé il peso di una umanità affranta dalla fatica e dalle delusioni [...] lo Schilirò prende su di sé il peso e la cura della vita spirituale. [...]

I due protagonisti della vicenda da lui raccontata rientrano nell'orizzonte della sua vita personale: tutti e due sono senza famiglia e anch'egli ha rinunziato a formarsi una famiglia; tutti e due non consumano la loro donazione reciproca e sublimano la rinunzia attraverso la fede e la carità; anch'egli rinunzia a qualcosa e supplisce a quella rinunzia svolgendo un servizio a beneficio di coloro che vogliono coltivare l'anelito verso Dio.

La natura è veduta in questa ottica del raggiungimento di un fine spirituale. Ed è qui che la sua poesia trova la peculiarità di un animo sacerdotale: la vita sospesa tra l'aspirazione a Dio e la rinuncia a qualcosa che proprio dal rapporto con Dio, veduto come amore, acquista il carattere di un valore sublime e intoccabile. [...] L'amore è innalzato al di sopra dell'umano. [...]

Lo Schilirò celebra l'amore, ed è difficile trovare un altro poeta che esprima con tanta intensità l'orientamento di tutte le cose verso la propria integrità e completezza. [...] Tutte le cose danno voce a quella parte di umanità che nel poeta è sacrificata [...] l'esercizio del ministero sacerdotale rende più viva la voce dello spirito. [...] La natura senza l'uomo è morta, insignificante, così come sarebbe inesistente se non l'avesse creata Dio. [...] La natura è un dono di bellezza fatto da Dio. [...] La natura accompagna gli uomini nel dolore e nella gioia. [...] La natura svolge quasi una funzione materna [...] e vi è una profonda simbiosi fra amore, dolore e gioia. Quanto più l'uomo ama, tanto più esce dal cerchio della solitudine. [...]

Lo sbocco mistico del poeta è la conseguenza necessaria del proiettarsi della propria realtà sacerdotale nel perso­naggio di Massimo. [...] Proprio il carattere della sacralità prevalente nell'animo del poeta dà alla vicenda una coloritura particolare. [...]

La proiezione dell'animo sacerdotale del poeta si nota in un'altra caratteristica: tutte le creature non ragio­nevoli sono nella sofferenza, perché non hanno ancora raggiunto la riconciliazione suprema. Bianca e Massimo sono il completamento della creazione, perché [...] hanno raggiunto quella riconciliazione suprema alla quale tutte le cose tendono inconsciamente. [...] La vicenda di due persone si inserisce nella travagliata storia dell'umanità e nel gemito di tutta la creazione.




[2] Evidentemente l'A. cita a mente e dice «in­timo, anzi­ché «spiri­tuale».







[3] Vedi «La Rupe», dicembre 1950.

Anche ne Il pozzo di Sichem ritorna il tema dominante della natura come specchio della vita dell'uomo [...] la luna, il mare, le stelle danno un'immagine visiva di una vicenda interiore. Vi è il momento della tempesta incontrollata, della furia esplosiva, poi segue il momento della dolcezza, della pace, della riconciliazione. La tensione delle ore di angoscia si placa nell'intimità domestica.

Il lato infantile della vita è guardato dal poeta con benevola ironia ed è innalzato a simbolo del rapporto uomo-Dio. [...] L'infanzia ha un suo fascino e il poeta già vecchio si sorprende a «trottare accanto al bambino che egli fu e che resta incantato al vedere i pupi esposti alla fiera e le maschere che gli fanno rivivere i sogni della prima età». [...]

Ne Il pozzo di Sichem il dolore detta al poeta un tono malinconico e sofferto e gli fa sentire un intenso desiderio di purifica­zione. Dio, però, è sempre presente [...] le cose conservano ancora il loro splendore ed esercitano un richiamo presente sul suo animo, ma non lo toccano più, non entrano nel cerchio dei suoi interessi: è rimasto solo con Dio, separato dal giro tumultuoso che lo trascinava. Non è un frustrato, anzi la vita lo ha appagato, è entrato nel vivo dell'esperienza umana attraverso la poesia, ma adesso è in cerca di un altro appagamento, che consiste nell'unione con Dio. [...]

Nella raccolta Il pozzo di Sichem, il poeta allarga l'approccio con la poesia moderna, spezza il verso, trascura la rima. Ma nella resa poetica, il verso subisce delle forzature stilistiche, spesso la metrica soppressa non viene sostituita da un ritmo intenso, da una musicalità che scaturisca spontanea. In certi casi la musicalità viene natural­mente a crearsi, ma d'improv­viso si smorza, con urto stridente. Quando la sperimentazione di ammoder­namento del verso risulta da uno studio più attento e da un motivo di ispirazione più sentito, il verso si presenta più snello e musicato.

Lo Schilirò ha raggiunto il vertice della sua produzione poetica ne Il seminatore che non miete, dove non di rado si trovano pagine da antologia.»[4]

Nel 1991 esce il meritorio articolo di Franco Cimbali su Vincenzo Schilirò, articolo che poi ha provocato questa mia ricerca e ricostruzione della vita e delle opere dell'illustre letterato brontese.

Intanto la civica Amministrazione di Bronte aveva provveduto a intitolare a Vincenzo Schilirò la strada cittadina dov'è la sua casa natale.

Per ultima, in ordine cronologico, è arrivata, nel 1996, la ristampa del Profilo di Vincenzo Schilirò di Antos[5] (1931) a cura di G. M. Luca di Maletto, lavoro alquanto infelice per i troppi refusi tipografici, inspiegabili per un testo già a stampa.
 

[4] Ruggeri, G., Vincenzo Schilirò, un sacerdote poeta, in «Synaxis», vol. VI, Catania 1988, pp. 183-209.




[5] Il quale Antos con­ti­nuò ad aggiornarlo per ripubblicarlo, ma morì prima di Vincen­zo Schilirò nel 1947. È da notare come Antos, nei suoi appunti ine­diti, segna sempre l'in­dicazione del giorno della settimana. anche quando è costretto a sospendere tempora­neamente la tratta­zione.

 

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VINCENZO SCHILIRO' EDUCATORE E LETTERATO
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