L'OPINIONE DI ...

RIFLESSIONI al FEMMINILE

a cura di Laura Castiglione

OGNI TANTO UNO SGUARDO AL FEMMINILE AL MONDO CHE CI CIRCONDA

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Sopportare? No!

Accettare ma con l’accetta

Nella nostra complessa lingua italiana, molti sostantivi e aggettivi restano legati a un singolo significato finché morte non li separi, altri invece, si prestano alle avventure, non perché siano infedeli ma dipendenti o schiavi del gergo comune e del dialetto.

Il verbo “accettare”, ha diverse applicazioni e, come questa rubrica vuole evidenziare, ha delle sfumature che sembrano sottigliezze, ma hanno un loro peso.  La sfumatura di “accettare” è quando si riferisce sia a un regalo o un invito, sia a un dolore o una sconfitta.

Un’altra è quando si “accettano” i pregi di una persona, ma se questi sono superati dai difetti, sarebbe meglio usare il verbo “supputtàri”.

In riferimento a questi ultimi anni “travagliati”, alcuni politici hanno mostrato i loro difetti nel proporre e imporre alcune persone per la carica da presidente. Poi, senza consultarsi fra i componenti del loro partito, li hanno abbandonati come fossero burattini giustificandosi che in Italia è difficile trovare uomini e donne degni di assurgere a questa carica.

E non è proprio questo il messaggio che gli italiani hanno colto e soprattutto chi, avendo una valenza affettiva per i politici del passato che avevano altra cultura, altre competenze e molto altro ancora, si sente deluso e frastornato dinanzi a tanto opportunismo, sete di potere, arroganza e disprezzo in un momento così difficile per gli italiani.

Questi signori, oggi, si devono supputtàri o accittàri?

Non è questo il problema!

I due verbi sono fatti l’uno per l’altro, ne dividono il destino, senza sfumature o sottigliezze cerebrali in un irrinunciabile rapporto a due, in questa vita e nell’altra, sotto lo stesso tetto e nella stessa frase.

Non si devono sopportare ma accettare a colpi di accetta e cu ttuttu ‘u cori!

Giugno 2025

Il figlio di mezzo, il mediano, insomma ...

“U minzanu”

Nasce solo... per fare compagnia

La cicogna, consegna per caso un bambino alla prima famiglia che trova lungo il suo volo. Su tre fratelli finiti per caso nella stessa famiglia e ricevuto uguale educazione, uno solo di loro, il secondo, detto 'u minzanu, sarà trascurato.

Quando una coppia aspetta il primo figlio, è in grande eccitazione e ha curiosità di sapere come sarà il “figlio dell’amore”, se somiglierà alla madre o al padre, se sarà bruno o biondo, con gli occhi scuri o azzurri.
Quando nasce è il più bel bambino della terra e si vizia come fosse un tesoro.

Trascorsi un paio di anni la coppia pensa che non sia giusto lasciarlo solo e chiama la cicogna. Si spera che il sesso del secondo figlio sia diverso ma non importa purché faccia compagnia al primo nei giochi e nella vita.

Il progetto funziona, anche se, qualche piccola gelosia del primo figlio per il nuovo arrivato si manifesta. I genitori dei due bambini pensando di avere la famiglia perfetta, si rilassano e dimenticando le dovute precauzioni, dopo qualche anno incappano in un imprevisto incidente e si vedono consegnare dalla cicogna un altro fagottino.

Caspita! Non ci voleva!

I vestiti e le scarpe dei fratelli non gli entrano, la culla e il passeggino l’avevano regalato, bisogna comprare tutto nuovo e ricominciare daccapo.
Per fortuna c’é il fratello più grande che gli farà da padre, giocherà con lui, lo proteggerà perché è il piccolino di casa. Ma un momento! Il primo è il figlio dell’amore; il terzo, nato per sbaglio, è il piccolino; il menzano, nato per fare compagnia è quello trascurato che nuota in una macedonia di bocconi amari?

Se si vuole fare un secondo figlio, sarebbe meglio rinunciarvi e, per evitare che si senta trascurato, si chieda alla cicogna di non consegnare il secondo e saltare direttamente al terzo.

Febbraio 2025

Nord, Sud, stereotipi, pregiudizi ...

La moglie... del Continente

Molti siciliani mandano un figlio al nord in prestigiose università e sperano che dopo la laurea ritorni alla terra natia e sposi la figlia, che se la sono cresciuta, dei loro cari amici. Ma, alcuni genitori, si vedranno presentato un altro conto: una ragazza biondiccia, né bella né brutta, passabile, ma se piace al figlio!

La nordica non è stata cresciuta solo a latte, biscotti e polenta, ma è stata anche nutrita di pregiudizi in odore di mafia.

La discesa della ragazza in Sicilia, per conoscere la famiglia “allargata” del neolaureato, la delude nelle sue attese. Dove sono gli uomini con la coppola? E la lupara? E le donne con lo scialle e i baffi?

Altro che pane e fichi d’india! La tavola resta imbandita con ogni ben del diavolo per giorni e neppure la sparecchiano! E l’omertà dov’è? Parlano tutti e senza sosta a voce alta in italiano e in siciliano per non farsi capire. Si rivolgono alla ragazza come  a darle del voi: ma voi, al nord, come dite? La caponata la sapete fare? E la granita? E 'i saddi a beccafìcu? Stu pisci, voi, al nord, neppure ve lo sognate!

La ragazza sballottata da un parente all’altro fa il muso lungo, ‘a fùngia, ma appena sente esaurito l’argomento culinario e parlare di matrimonio, ritrae ‘a fùngia, distende le labbra e tira un sospiro di sollievo.

La macchina siciliana si mette in moto: compra la casa, organizza la cerimonia con un ricco catering siciliano, invita tutti i parenti, anche quelli con cui si fanno solo gli auguri di Natale, gli amici e, soprattutto, quelli del nord che saranno ospitati in albergo.

I parenti acquisiti, esterrefatti da tanta accoglienza si tengono a distanza e, per non partecipare alle spese, dicono che al nord non si usa tanto spreco. Alla faccia tosta! Questi nordisti, si vantano che mantengono i meridionali e poi, alla prima occasione o al primo matrimonio, fanno gli gnocchi, anzi, gli gnorri.

I siciliani, per i figli, ‘u pani ra bucca si lèvano e il padre del ragazzo, quando ha sentito, per la seconda volta, il padre della ragazza dire, “da noi, non si usa”, si è armato di tono ammiccante e di lingua, ca n’avi ossa e rumpi l’ossa:

- Cumpà, da noi, si usa, che se voi del nord, volete i nostri figli, dovete pagare, altrimenti… ci arrrabbbiamo!

Dicembre 2024

Inganno e Malizia

Donne, uomini e pubblicità

Com’era emozionante negli anni sessanta vedere Carosello!

La pubblicità era come una maestra, dava consigli garbati e non come oggi che impone a comprare da spingere a cambiare subito canale. Tutti i canali sono programmati a trasmettere contemporaneamente la stessa pubblicità costringendo a non perderla.

Non c’è più gusto a vedere un film perché dopo quindici minuti la proiezione si ferma per dieci minuti di pubblicità. Se in quei dieci minuti si spera di vedere in contemporaneo un altro film si rimane fregati dalla stessa pubblicità.

Certo la sceneggiatura che promuove un prodotto è ben studiata, sfrutta la tasca di tutti e anche chi ha poco reddito può acquistare a rate irrisorie.

Non tutti cadono nel tranello e chi ci cade non é ingenuo o ignorante, crede che la televisione sia un garante. Da una ricerca si è capito che è l’uomo a cadere facilmente nei tranelli pubblicitari. Dalla caduta dei capelli che ricrescono in pochi mesi, dai jeans che fanno macio, dalla macchina sportiva dove tutte le donne che passano ci vorrebbero fare un giro e, infine, come superare l’ipertrofia prostatica con assorbenti invisibili che in emergenza gli impediranno di correre ad un bagno pubblico o farla dietro una macchina posteggiata.

Ci si meraviglia del perché la pubblicità non faccia alcun cenno al preservativo che se fosse pubblicizzato, tre al costo di uno, andrebbe a ruba. Invece è emerso che la moglie vedendo l’acquisto fatto dal marito, abbia ritenuto fossero soldi sprecati anche per uno.

La pubblicità destinata alle donne è super sex che mette in crisi l’uomo. Diciamolo, non è la pubblicità che lo mette in crisi, lui già c’è, ma è un avvertimento alle donne: state quiete, non è così che si conquista un uomo, ci vuole altro, o veramenti vu putìti scuddàri.

Novembre 2024

 

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Il pane e altro, Artigiani a Bronte, Le donne al Collegio, Ciccio e Ciccina

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