Cenni storici sulla Città di Bronte Bronte all'epoca dei romani Pochissime testimonianze restano ancora visibili a Bronte del periodo Romano, ad eccezione di qualche stazione militare (castrum)
e avamposti in luoghi sopraelevati lungo l’antica via consolare, sorti
per contrastare le incursioni delle armate siracusane nei territori etnei. La presenza dei romani nel nostro territorio è testimoniata da Benedetto
Radice nelle sue
Memorie
storiche di Bronte: parla di un luogo ("dove non s'è mai posato
occhio di archeologo") dove sono stati scoperti "due bei
mosaici romani del basso impero, istoriati di animali e
figure umane". Il prezioso pavimento fu rinvenuto in contrada Erranteria nei pressi del Castello Nelson, nell’Aprile
del 1905 a
seguito di lavori nei campi. Nell'occasione furono scoperti e misurati avanzi di mura di un edificio composto da tre vani (due
ambienti rettangolari ed uno circolare) ornati da pavimenti in mosaico
policromo. Particolarmente interessante era il mosaico dell’ambiente maggiore con
riquadri ottagonali, figure di animali e busti maschili e femminili. I lavori furono immediatamente sospesi, i tre ambienti misurati ed i mosaici policromi vennero fotografati, ed esaminati in loco, dal famoso
archeologo
Paolo Orsi. L’Orsi, nella relazione che tenne e pubblicò nel 1905, nei fascicoli XI – XII
dell’Accademia dei Lincei, così li descrisse: «L'ambiente è decorato di un «pavimento in opera musiva policroma,
formato di tasselli marmorei, silicei, calcarei, testacei e di lignite
fossile; il campo è diviso
da tenie in medaglioni e in riquadri ottagonali…». Orsi descrive
anche le figure poste al centro dei medaglioni e dei riquadri: «uno
stambecco corrente, circondato da quattro nodi di Salamone, ...due busti
muliebri, uno virile, due oche, ...un lupo, un uccello sui rami, un
capriolo e uno stambecco; ...due rosette e una medusa». Conclude
scrivendo che «la tecnica del mosaico parmi alluda ai tempi della
decadenza romana». Sempre il Prof. Orsi
nella sua relazione promise una campagna di scavi per l'autunno dello
stesso anno, dopo di che «sarebbe stato in grado di dare più ampi
ragguagli sulla forma, destinazione ed età di codesta costruzione». Dal 1905, anno del ritrovamento, trascorse invano un
quarto di secolo: la sospensione dei lavori durò, infatti fino
all'epoca in cui visse Benedetto Radice (1927). Dopo, purtroppo, sia i
resti dell'edificio che i mosaici furono letteralmente dimenticati da
tutti; scomparvero, distrutti e sepolti dalle ruspe ed il luogo del
ritrovamento trasformato in frutteto ed oliveto.
Nell'ottobre 1991, Massimo Frasca dell'Università di Catania, dopo
un sopralluogo in Contrada Erranteria, così scriveva:
Si può «individuare
un'ampia fascia di terreno, coltivato ad uliveto,
caratterizzata da una grande quantità di tegolame e ceramica acroma e con superficie rossa,
tipica del periodo romano.
... I rinvenimenti di superficie indicano in
maniera inequivocabile che qui (in contrada Erranteria) doveva
sorgere un vasto complesso abitativo di età romana». (Bronte Notizie, Ottobre 1991).
Ancora oggi (febbraio 2006),
la Guardia di Finanza, individuandone ancora una volta dopo cento
anni il sito,
ha nuovamente riportato
all'attenzione dell'opinione pubblica e degli esperti l'esistenza della villa romana scoperta da Orsi.
Nel
sopralluogo fatto con la Sovrintendenza, le autorità locali,
stampa e televisioni ha anche mostrato i
resti di un muro, un piccolo altare sacrificale ed una macina in
pietra lavica che alcuni
esperti hanno definito di epoca romana.
BRONTE ANTICA (Così B. Radice descriveva nel 1924 il ritrovamento della
villa romana avvenuto nei primi anni del 1900)
«(...) Al fondo Piana, proprietà del farmacista Leanza è
stato anni fa scoperta una piccola necropoli ove sono
stati rinvenuti vasetti di fina argilla colorati in
nero, che l'illustre Prof. Orsi giudicò rimontare al 3°
secolo a. C.. Nello stesso fondo, più in là
della necropoli, si è trovata una fornace, addetta forse, alla cottura
dei mattoni e dei vasi. Altri vasetti dello stesso genere sono stati
trovati anche nel fondo del Dott. Luca Luigi. Nell'antico casale di
Maniace, ora spento, si sono trovati gli avanzi di un piccolo edificio
con tre vani: due rettangolari ed uno circolare - riferibili ad un
piccolo bagno, ancora non interamente sterrati.
Il vano maggiore di m. 4,95 x 4,10 è decorato di un pavimento a mosaico,
formato di tasselli marmorei, silicei, calcarei, testacei o di lignite
fossile. Il campo è diviso da tenie in medaglioni e in riquadri
ottagonali; al centro un medaglione con stambecco corrente, circondato
da quattro nodi di Salomone; accantonati ad esso 4 ottagoni con 2 busti
muliebri, uno virile e 2 oche. Nei medaglioni di ponente un lupo, un
uccello sui rami, un capriolo e uno stambecco.
Nel lato di levante, incompleto, due rosette e una medusa; a nord, tra
due dischi, un capriolo corrente. Il 2° vano, rettangolare, di m. 2,50 x
1,80, aveva pure il pavimento a mosaico con fondo bianco e quadretti
concentrici, rossi e piombini. Il 3° vano circolare, o meglio a forma di
(ferro di) cavallo, di circa m. 2,10 porta sul pavimento e sulle pareti
residui di impellicciatura marmorea.
La tecnica del mosaico, scrive il Prof. Orsi, pare che alluda ai tempi
della decadenza romana. S'ignora il nome di questa località al tempo dei
romani: forse dal fiume vicino, si chiamava Simeto. (...) Rivoli d'acqua, da quel tempo, vi corrono sopra e si dubita che abbiano
cominciato a corrodere, a scomporre, a sconnettere, a disperdere tanta
secolare opera d'arte. Qualche zappata di contadino ha fatto saltare in
aria dei tasselli, essendo questi mosaici non custoditi, non potendo
certo il proprietario tenervi a sue spese un custode. (...)»
(Pubblicato su
“Aretusa” - Periodico mensile
d’arte - Anno 1, n.
2, Palermo, 1° Luglio 1924, pag. 4 - Direttore
responsabile: Manlio
Gianrizzo). Leggi l'articolo completo a pag. 165
della nostra edizione digitale de "Il
Radice sconosciuto". |