A questo punto il Radice fa una lunga digressione per parlare diffusamente di
Giorgio Maniace, dalla sua venuta in Sicilia fino alla sua incerta morte; ed ha
modo di confutare la teoria dell’Amari che colloca la battaglia tra il
condottiero bizantino e i saraceni nella piana di Troina, per collocarla nella
zona della Gollìa, poi denominata col nome del Maniace. Inoltre confuta i vari
dati sui combattenti e sui morti, rapportandoli alla superficie sulla quale si
era svolta la battaglia.(4) Quindi il Nostro passa a parlare della conquista normanna e dice che “Roberto
Guiscardo […] discese e s’accampò colle sue genti nelle fertili e storiche
pianure di Maniace, ove fu festevolmente accolto da tutti i cristiani del Val
Demone, tributari dei Saraceni, venuti ad offrirgli doni e a prestargli
obbedienza. Là mise il campo e chiamò la Sicilia alla finale riscossa.”(5) “Pare che la terra di Maniace insieme con Randazzo fosse stata
elevata a Contea, e concessa da Roberto Guiscardo a Giovanni Calafato seniore,
suo commilitone e, nel 1221 riconcessa da Federico II Svevo a Giovanni Calafato
Juniore da Messina. Dal 1221 al 1283 tacciono i documenti intorno a loro. Non si
sa qual mutamento sia avvenuto sotto il dominio angioino e aragonese. Ebbero i
Calafati tutto il territorio di Maniace e di Randazzo? Continuarono nel loro
possesso? Questo silenzio posteriore mette in dubbio la veridicità del documento
del Winchelmann” (6) “Con la venuta dei Normanni Maniace fu accresciuto d’ una colonia lombarda:
della parlata però non è rimasta traccia alcuna, come tuttora si sente nei
dialetti di Randazzo, Aidone, Nicosia, S. Fratello, Novara, Piazza Armerina. […] Gli abitanti di Maniaci, Bronte, Maletto, nel 1200 videro invasi e guasti i loro
fertili campi dai soldati di Marcoaldo, Siniscalco di Arrigo VI e tutore di
Federico II suo figlio, mentre assediava Randazzo, donde vinto fuggì; sentirono
nei vicini boschi dell’Etna echeggiare il corno dell’imperatore Federico II,
intento, con baldanza e audacia, a dar la caccia ai lupi, ululanti per la
montagna; videro il bello biondo Manfredi nel 1256 assediare con le sue truppe
Randazzo, prima di muovere per Messina; nel 1299 fuggirono atterriti, lamentando
i campi deserti e distrutti dalla rabbia francese di Roberto d’Angiò; e più
tardi, nel 1395 dovettero insieme con Randazzo, a cui eran soggetti pel
mero e misto impero, prendere parte alla ribellione contro Martino e Maria, per seguire
la fazione di Artale di Aragona.” “S’ignorano i mutamenti seguiti a Maniace sotto la mala signoria angioina.
Fu taglieggiata come tutte le altre terre […] Del popolo di Maniace si rese
insigne fra Benedetto, che, nel 1338, fu priore […] Furono Maniace e Bronte con
altri 10 casali […] soggetti pel mero e misto impero all’Infante Giovanni,
marchese di Randazzo, datigli forse insieme con la città, in appannaggio dal re
Federico II (d’Aragona), suo padre, nel 1337 […] Questo diritto di mero
e misto impero era compreso nel diritto di giustizierato, che egli ebbe come
marchese di Randazzo, coll’obbligo dei servizi feudali e dell’omaggio al
sovrano.” […]
“Maniace, come popolazione mista di Bizantini, di Lombardi, di Saraceni e
indigeni, era governato da leggi greche, lombarde, romane e del Corano: Ognuno
era giudicato secondo le leggi della propria nazione: Nel diritto privato erano
osservate le consuetudini. […] “Ignorasi come e quando finisse Maniace. Caio Domenico Gallo afferma che esso fu
distrutto da Ruggero Lauria nel 1300, mentre si tentava l’assedio di Randazzo
[…] e il resto della popolazione andò ad abitare una terra vicina che fu detta
Bronte. Mettendo da parte l’errore della data e del nome dell’assediante,
giacchè Randazzo fu assediata nel 1299 da Roberto duca di Calabria e da Giovanni
Lauria, nipote dell’ammiraglio traditore, il Gallo non dice donde egli abbia
tolto la notizia. Nessun cronista del tempo accenna a questa distruzione del
casale e a questa origine di Bronte. […] In tanta incertezza io pongo la fine di
Maniace nel primo ventennio del secolo XV, poiché nel documento del 1 settembre
1402 Maniace e Bronte sono compresi nel novero dei casali soggetti alla
sindacatura di Federico Spatafora, eletto in quell’anno da re Martino, come
giustiziere del Val Demone, mentre in quello del 1425 si fa cenno del solo
Bronte e si omette Maniace, che, come dipendente dell’abbazia, se fosse esistito
a quel tempo, dovea certo essere rammentato; […] Il De Luca afferma che
Maniace fu distrutta nel terremoto del 1444. In verità nessuno scrittore del
tempo, né la storia delle eruzioni etnee, nota questa distruzione completa del
casale. […] Nessun documento esiste sulla distruzione del casale e sull’unione
dei suoi abitanti coi Brontesi; il che non avrebbe dovuto certo essere ignorato
dalle autorità per regolare l’amministrazione e la nomina dei magistrati. Solo
la tradizione, non mai smentita, anche durante il periodo della lite, e l’avere
avuto i due casali comune la soggezione all’abbazia, conferma questa fusione dei
due popoli. […] Maggior luce si potrebbe avere sulle cose esposte, se fosse
lecito penetrare nei chiusi ed obliati archivi di Randazzo e del duca Nelson di
Maniace.”
Casali S. Leone. Corvo, Rotolo, Santa Venera “Di questi quattro casali, siti nella Valdemone(7), in quel di Bronte, ne fa
cenno il privilegio del 1178 di Nicolò I, arcivescovo di Messina, nella
donazione che egli fece della chiese di detti casali col dritto delle decime
ecclesiastiche all’abate di S. Maria di Maniace. […]
Crediamo che i detti casali
siano venuti meno nella forzata unione con Bronte, minacciata dalla Gran Corte
Civile di Palermo per istigazione probabilmente della città di Randazzo che vi
esercitava il diritto di mero e misto impero. Nonostante che gli abitanti
avessero abbandonato i casali era rimasta la cosiddetta Baglia del Corvo come a
Maniace.” (8)
Casale Bolo “Bolo è sito di là del Simeto, in provincia di Messina: Nel medioevo, su
costruzioni antichissime era sorto un castello come a vedetta dell’ampia vallata
tra Bronte, Maniace, Placa. Non è dato rintracciare l’origine etimologica del
nome. Forse fu detto Bolo dalla natura della terra argillosa. I pastori dei
paesi vicini, Bronte, Cesarò favoleggiano ancora del re Bolo e asseriscono aver
trovato monete colla leggenda: rex Boly. Raccontano anche strane leggende
dei suoi tesori nascosti nelle spelonche di quel castello, ove trovansi grotte
naturali, artificiali e cisterne. […] Il primo accenno al casale Bolo è nel 1139 dell’Era Volgare. In quel documento
certo Nicola da Troina vende al notaio Costantino per duecento tarì di oro
alcuni poderi siti nel casale Bolo. […] Fu Bolo, con altri undici casali,
soggetto al mero e misto impero di Randazzo, giusta il presunto privilegio di re
Federico III del 1348; invece, da un documento del 29 giugno 1335, indizione
terza, rilevasi che Bolo apparteneva alla curia del giustiziere di
Castrogiovanni (ora Enna) e Demenna. […] Dell’esistenza del castello di
Bolo si ha notizia sino al 1408 in un atto giudiziario[…]
Casale Cattaino “Il D’Amico, nel dizionario topografico della Sicilia, scrive che il
Cattàino fu un tempo casale S. Lucia nei confini di Adernò. La stessa notizia
ripetono il Plumari nella sua storia di Randazzo ancora inedita e il Mandalari;
ma tutti e tre sono in errore. Il Cattaino è sito invece nei confini tra Bolo e
Troina. Il nome è forse corruzione di Kalactinus, territorio dipendente
da Palata, città greca, nota pure ai Romani, sita nel versante mediterraneo; o
più facilmente alterazione della voce araba Galat, castello, fortezza
munita da natura, anzichè dall’arte; e il castello, che sorge sulla roccia del
Cattaino, parrebbe dar credenza a questa etimologia, greco-araba. Esso in tempi
antichissimi fu abitato dagli indigeni; i sarcofaghi costruiti con grandi lastre
di pietra e con grossi mattoni, simili a quelli trovati alla Piana, con dentro
vasi funebri, venuti fuori lavorando la terra, ne fanno testimonianza. […] Nella
recensione dei feudi sotto Federico III nel 1296 appaiono baroni del Cattaino
gli eredi del giudice Giovanni De Manna […] Dopo parecchi passaggi di
proprietà “il feudo Cattaino e la metà di Forestavecchia ora sono nel dominio
della marchesa Caterina Ugo delle Favare […] Nel 1501 fu luogo di relegazione ad
Antonino Spitaleri rure Brontis, per sentenza del capitano di Randazzo,
dove i baroni del Cattaino abitavano per lo più. Ancora il castello feudale col
suo tetro carcere domina dall’alta rocca del Cattaino. A Torremuzza si
raccontano strane leggende dei prigionieri.”
Casale Cutò Cutò […] posto a piè di monte Soro, tra le terre di S. Teodoro e il
bosco di Cristoforo Romano da una parte e tra il feudo di S. Lucia dall’altra
parte, fu casale soggetto al mero e misto impero di Randazzo. Sebbene da
documenti contemporanei e posteriori appare essere stato solamente feudo. Seguono i tanti passaggi di proprietà fino a “Joannella, sposa di Antonino
Platamone, la quale, avuta dallo zio Giovanni l’altra metà, nel 6 gennaio 1479,
ottenne l’investitura dell’ intero feudo e di metà del feudo di Maletto, un
tempo posseduto da Nicolò Amodeo da Randazzo […] Morta Joannella, le successe il
figlio Giovanni Ferdinando di Antonino Platamone, che nel 1493, ne ebbe
l’investitura dal viceré D’Ossuna [ …]
Casale Carbone […] “Esso è posto al di là di Placa Baiana, sotto Cesarò, allora in quel di
Troina, nella vallata Tornatore; forse così chiamata perché posseduta prima da
Guglielmo Tornatore, milite di Bolo nella guerra del vespro.” Ne parlano,
secondo il Radice, sia il Fazzello che Giulio Omodei di Castrogiovanni. “Esso
ha un’origine antica, come appare dall’atto del 26 novembre 1244, redatto dal
notaio Rossigni […] Il casale col feudo Miraglia e Casalotto Canachia
apparteneva ab antico alla regia Curia. Re Federico col consenso
dell’Infante Eufemia, vicaria generale del regno, con privilegio del 23 agosto
1356 lo concesse a Perronio Gioenio in premio di servizio militare. […]” Seguono varie successioni finchè “nel 1401, cogli altri casali Bronte, Bolo,
Maniace, Spanò, fu sottoposto alla sindacatura di Federico Spatafora […] Nel
secolo XVI vi passò una santissima vita il beato Pagano, monaco di S. Nicolò
dell’Arena di Catania. […] Del casale ora non esiste più traccia. Si ha notizia
della sua esistenza fino al 1557, ricordato dal Filoteo.[…]
Casale Spanò “Spanò, al tempo dei Siculi, era forse l’antica Enatus; il Plumari
pretende che fosse l’Alesa mediterranea. L’origine del nome sembra legata a
qualche ricordo spagnolo. E’ posto tra i casali Carcaci e Regalbuto, soggetto
alla corte capitanale di Randazzo. […] Il Radice, esponendo le tesi
del D’Amico, del Fazzello e del Mandalari finisce col concordare con quest’ultimo
il quale dice che “Spanò appartenne agli Spatafora di Randazzo per cessione
fatta dalla città, o per conquista che ne fece questa famiglia. […] Il feudo
passò quindi agli abati commendatari dell’abbazia di Sant’ Ugo. Questa notizia è
confermata dai manoscritti esistenti in Randazzo; onde è inesatto quanto scrisse
il D’Amico. […] Probabilmente il casale s’ estinse all’ epoca della riunione.
Sono visibili ancora il castello e la chiesa dedicata a Santa Maria della
Stella, bellissima architettura da rivaleggiare con quella di Santa Maria di
Maniace. I signori Collima di Troina, a cui appartiene il feudo, hanno ridotto
la chiesa a fienile. Spanò fece un tempo parte del territorio di Bronte; fu
aggregato a Randazzo nel 1831, per via di una lite. Speriamo che nella futura
circoscrizione territoriale ritorni a Bronte, a cui è unito per ragioni di
confine, e di maggiori comodità per gli affari giudiziari e amministrativi. […]
Casale Placa Baiana
Esposte le differenti tesi del Corcia e del Pais, il Nostro osserva “che
a Macchiafava, parte del feudo Placa,
vedonsi ancora escavazioni preelleniche;
il che attesta che lì, se non una città, certo sorgeva qualche pago dei
primitivi Siculi. Piaxos sorgeva proprio sui monti Nebrodi, ed è
ricordato da Stefano Bizantino.
Quest’opinione è confortata anche dalla moneta
di bronzo pubblicata da Imboof-Blumer, nella quale da un lato si vede la protome(9)
di un dio fluviale e dall’altra un cane che addenta un daino, con la leggenda Piakui.
Il fiume è
il Simeto che scorre sotto Placa Baiana; il
daino può bene ricordare il piano daini nei Nebrodi in territorio di Bronte,
dove un tempo vagava moltitudine di daini.[…] In quanto all’origine della parola Baiana si
almanacchi quanto si vuole, ma non si può cavare alcun costrutto. Forse viene
dal latino baiana, fava di fresco sgusciata; oppure da bacca, frutto
pinale, donde baccana e poi Baiana; o forse sarebbe aferesi di bajulana, in
quanto lì sedeva il bajulo e la corte bajulana. Ricerche sui luoghi, da lungo
tempo desiderate, potrebbero dar notizie più certe. “Era sito il casale, secondo l’antica circoscrizione, in quel di Troina. Ancora
ha una chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo […]. Il frontone e la facciata
della chiesa lavorata tutta a mosaico di mattoni rossastri, nella sua semplicità
rusticana, ha un non so che di grave e di decoroso. Stimo sia del secolo XIII. A
pochi passi dalla chiesa sorge ancora, minaccioso sulla spianata, il castello
baronale ed il suo tetro carcere, di cui scorgonsi ancora il cancello e la grata
di ferro. […] Abbattuta è la torre che dominava la vallata del Simeto, che corre
lì, alle falde di Placa Baiana. Accanto alla chiesa è il piccolo cimitero, dove
fino al 1730 si seppellivano i cadaveri, come rilevasi dai registri della chiesa
Madre di Bronte. La corte capitanale di Randazzo, nel famoso privilegio del
1348, lo annovera tra i casali soggetti al mero e misto impero della città,
sotto il nome di S. Michele; ma veramente Randazzo non vi esercitò mai alcun
diritto, essendo il casale, ab antico, sotto la signoria dei suoi
baroni.” Dei quali segue la lunga e dettagliata serie. “L’ultimo
ricordato è Gaetano Paternò Castelli Rizzari dei Duchi di Carcaci per vendita
fattagli dal principe di Baiana Alcontres Moncada da Messina, per onze 180 mila,
“atto 29 marzo 1774“. L’antico casale di Placa Baiana ebbe sempre vita
autonoma; fu unito a Bronte per una prammatica del 1692, e non mai come si è
ritenuto, verso il 1535 con gli altri casali. […] Venuto il casale e il feudo in
potestà del duca di Carcaci, l’Università di Bronte fu costretta a muovergli
lite per usurpazione che questi tentava sui diritti di mero e misto impero,
spettanti al Comune. […] A facilitare il commercio con Messina e altri paesi, nel
1769 i Brontesi supplicarono il viceré per la costruzione di un ponte sul fiume
di Troina, poco lungi dal ponte Cantera, fabbricato da Ruggiero nel 1121. Sin
dal 1762 è stata chiesta la costruzione di un altro ponte tra Ricchisgia e Placa
Baiana, proprio sotto il castello, essendo pericoloso tragittare con barca il
fiume, quando questo ingrossa. Sembra che ora i voti dei cittadini, dopo circa
due secoli, saranno esauditi, nonostante le opposizioni di alcuni proprietari di
Troina.”
Casale Rapiti “Della rocca o casale Rapiti, che sorgeva fra Bolo e Maniace, non resta
che qualche avanzo: il nome e il detto tradizionale che si ode spesso nella
bocca dei Brontesi, quando si parla di due nemici irreconciliabili e feroci:
Sono come Maniace e Rapiti. Ecco tutta una storia di delitti e di sangue”
Notizie sui feudi di Forestavecchia, Luchito e Rivolia Questi feudi “nei quali un tempo lavoravano e vivevano famiglie di
coloni, non possono dirsi casali.
Forestavecchia “faceva parte della Foresta Porta di Randazzo e dei suoi
baroni. […] La metà di questo feudo si possiede dal Comune di Bronte […] e forse
apparteneva al monastero di S. Filippo di Fragalà. “Il feudo Luchito, si leggeva nell’atto del 1345, è sito in Valdemone in
territorio loci de Bronti. Nessun privilegio si trova negli atti della
Cancelleria a favore di S. Maria di Maniace. Esso, denominato ora bosco soprano
di Bronte, si protendeva dalla cima di Mongibello sino al feudo di Spanò; a
mezzogiorno confinava col territorio di Adernò. […] Nella contrada Brignolo,
compresa nell’àmbito del feudo Luchito, v’era una borgata dell’antico Bronte,
che fu sepolta dall’ eruzione del 1651. “Il feudo Rivolia faceva parte prima del territorio di Randazzo. […] Nel
1700 il feudo pervenne in potere di Giulio Cesare Calderari, barone di Amenta e
di Rivolia, che vi teneva zecca di monete false.” |
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