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Benedetto Radice

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Benedetto Radice, "Memorie storiche di Bronte"

Florilegio di Nicola Lupo

Florilegio delle Memorie storiche di Bronte - Indice


1. Origine di Bronte

I Ciclopi Bronte, Sterope, Piracmon e PolifemoEssendo Bronte l’erede, almeno nel nome, del famoso ciclope di cui hanno scritto poeti e scrittori greci e latini, il Nostro inizia proprio dalle leggende, ma non per farle passare come storia, ma per confutare le tesi di coloro che vorrebbero avallarle come tale.

Infatti dice: “Il P. Gesualdo De Luca, nel suo caotico tentativo della storia di Bronte, di che gli va pur data lode, riferendosi col Narbone e altri antichi scrittori ai giganti biblici Enacini, Elimi, ne afferma l’esistenza e in modo dommatico sostiene che Giove, Bronte, Sterope e tutte le divinità erano persone reali; che Bronte fu re e fondatore della città omonima; e, a prova della sua fede, cita il noto verso di Virgilio:

Ferrum exercebant vasto Ciclopes in antro
Brontesquae Steropesquae et nudus membra Piracmon.
(1)

E in seguito conclude: “ Per il nostro (De Luca) non esistono miti. Tutto è storia vera.”


Epoca GReco - Romana

Per quanto riguarda questo periodo il Radice cita le non scarse testimonianze, consistenti in “avanzi di mura di abitazioni, grossi orioli per olio, mattoni, tegole, sarcofaghi […] una fornace e una necropoli, […] vasi di fine argilla, verniciati di nero, senza figure, […] dodici anforette salvate […] una moneta romana con l’effigie di Adriano Imperatore, […] una medaglia commemorativa in onore di Nerone Imperatore, con questa leggenda: nell’esergo “Divus Augustus” S.C. e nel rovescio: “Consensu Senat.et eq.ordinis P.Q.R.”, che sono state trovate in varie località del territorio di Bronte, specialmente alla Piana, dove correva una antica via consolare, fluviale, (trazzera regia)

Antichi reperti trovati dal Radice“Un buon gruzzolo di monete d’argento siracusane, greche e romane furono scoperte al castello di Bolo, […] monete siracusane furono trovate mentre si scavavano le fondamenta del Collegio Capizzi […], Nelson, a duecento metri del castello di Maniaci, scoprì alquanti sepolcri coperti di grandi lastre e molte monete romane di bronzo […] Sono noti i mosaici scoperti a Maniaci […] con avanzi di mura, di una conduttura di bagno, istoriati di animali e figure umane. […] Questi ritrovamenti di vasi, di monete, di sarcofagi, sono documenti, pagine di storia ignorate.

Quindi con queste notizie il Radice fa la storia del territorio, non quella di Bronte che non esiste, e poi passa a riferire notizie di storici antichi come questa: “Diodoro afferma […] che i Mamertini avevano delle stazioni militari fino ad Adrano, lungo la via fluviale, (trazzera regia) che era l’antica via consolare per chiudere il passo ai Siracusani, a Nord-Ovest dell’Etna. […] Questa via consolare, più tardi, nel 1040, tenne Giorgio Maniaci, capitano bizantino, per dare battaglia agli Arabi […].(2)

L'archeologia nel territorio di Bronte e l'opera di B. Radice

Epoca Saracena

Passando all’Epoca Saracena il Nostro afferma che “si avrebbero notizie precise su Bronte al tempo dell’invasione saracena” e nel suo exursus trova modo di ripetere i due versi di Virgilio citati a pag.17, ma questa volta scritti correttamente.

Arrivato all’Epoca Normanna il Radice si chiede dove fosse Bronte in quell’epoca, per attaccare così Padre De Luca: egli “interpretando ad arbitrio, anzi forzando l’Arezio a dire quel che non pensò né scrisse, pone Bronte alla Nave. Ecco il passo dell’Arezio: “Tres fluvi Teriam faciunt piscorum amnem quo Catinenses agri divisi, ut auctor est Tucidides, vocant Jarrecte Flumen.” E nota: (3)

Continua il Radice a smentire il P. Gesualdo De Luca anche nella data del 1520 per la riunione dei 24 casali che formarono Bronte, mentre egli la fa risalire al 1535, quando Carlo V, venuto a Randazzo, concesse a questa città “i suoi sovrani diritti di mero e misto impero” ai casali riuniti a quello di Bronte.

E conclude: “Non prosapìa dunque di re, di guerrieri, di nobili furono i fondatori dell’antico e nuovo Bronte, ma pastori, zappatori, borghesi; ove non si voglia, coi credenti nel mito, ritenere come fondatore Bronte, operaio celeste, lavoratore di ferro, artefice di civiltà; Dio e Re …”


2. Idrografia e Orografia

Veduta di Bronte dalla "Carbonara"In questo capitolo il Radice, citando il Der Etna di Waltershausen von Sartorius, dice che “Bronte, posta alle falde occidentali dell’Etna è una delle caratteristiche città etnee. Essa giace in una profondità a foggia di conca, tra il monte arenoso del Pizzo di Maletto (m. 1633) e fra le alture più a mezzogiorno dei monti di S. Marco (900 m. ?), Colla (900 m. ?) […] si trova a 793 m. sul livello del mare, alla stazione è m. 854,52.

E’ fabbricata su antichissime lave in pendio ripido e scosceso, quasi appollaiata verso mezzogiorno e ponente.”

Ma continua con una sua poetica descrizione: “La sua veduta, a goderla, nelle prime ore del giorno, dalla stazione o dal convento di S. Vito, nella primavera e nell’autunno, in tutta la sua pompa campestre, è la più variata e pittoresca della Circumetnea.

Di là la vista, spaziando per campi e vigne e pistacchieti, mandorleti, aranceti, oliveti, sorti come per incantagione di mezzo all’orrore della lava, beneficati dal paterno Simeto, e per boschi che a cerchi si prolungano nereggianti su per la chiostra dei monti opposti, i Nebrodi, […] abbraccia come in un quadro tutto il ridente prospetto della campagna e del paese sottostante. Le case, cogli alti slanciati campanili delle chiese, addossandosi le une sulle altre, guardando a valle, paiono di momento in momento precipitare, rotolar giù e coprire con le loro rovine la bellezza di quell’ampia e variata scena circostante.”(4)

Dopo questa lunga introduzione, il Nostro passa a trattare la prima parte del tema: l’idrografia, e, naturalmente parla del Simeto, ripetendo che lo ricorda Tucidide e lo cantano poeti latini come Virgilio e Ovidio(5). Quindi dice che esso nasce dalle Caronie e scende da Nord a Sud fino alle ultime pendici dell’Etna, da dove piega a ponente, passando presso il castello di Maniaci che trovasi a 700 m. s.l.m.; ha un percosso di 88 Km. sino al mare. Il suo primo tronco è formato dal torrente della Saracena, a cui si uniscono il torrente Cutò e il torrente Martello; gli altri affluenti sono il fiume Troina, il Salso e il Dittaino.

Nel corso superiore presenta località, ove è possibile la costruzione di grandi serbatoi, che con le irrigazioni trasformerebbero l’agricoltura nella Sicilia orientale; mentre la natura del sottosuolo delle contrade a valle è arenaria, argillosa, e vi si possono coltivare ortaggi, agrumi e viti.
Il fiume prima che corresse sotto il ponte normanno della Cantera, secondo alcuni geologi, correva più a Est verso l’Etna, dove sono state trovati ciottoli levigati e lisci. Questo primitivo letto fu colmato dalle eruzioni del vulcano, e la lava fu col tempo scavata dalle acque che ora scorrono in una angusta gola, denominata “i balzi della Cantera.

Altra tesi fa supporre che cataclismi spaventosi abbiano deviato il primitivo corso.

Nel Simeto scaturiscono due sorgenti: Maniaci e Malpertuso. […] L’acqua proviene dal gran cono dell’Etna e scorre sotto le lave sulle rocce argillose e sedimentarie che sono la base del vulcano. E’ opinione che delle trincee trasversali potrebbero intercettarla e assicurerebbe a Bronte un’acqua perenne. […] Piccole sorgenti sono sparse qua e là nel territorio dette con voce araba, favare. Vari pozzi danno buone acque potabili, […] oltre ai pozzi privati. Delle fontane […] sono già da un pezzo disseccate. Alcuni privati hanno rotto la conduttura e deviata la corrente e vandalicamente distrutto l’abbeveratoio. Ci pensi il comune a far restituire l’acqua al pubblico. […]

L’acqua sola di Maniaci, che corre sino al ponte Cantera in canali detti saie, disseta il paese. Ora il duca di Bronte per sua benevolenza ha venduto, come cosa propria, la sorgente di Maniaci a vari comuni etnei dimenticando che 20 mila abitanti e gli animali, da secoli, si sono dissetati a quell’acqua, e pretende dal comune di Bronte 400 mila lire.(6)

“I monaci di Maniaci, con violenza e di propria autorità, […] deviarono il corso dell’acqua, per il quale macinava il molino di Gollìa, di proprietà dei monaci di S. Filippo di Fragalà. […] Fu proposta querela contro i monaci di Maniaci. L’Imperatore Federico II, residente allora a Foggia, nel dì ultimo di gennaio dell’indizione quinta, cioè nel 1217, scrisse a Ugo Capassino per rendere pronta giustizia al cenobio e catecumeno di S. Filippo di Fragalà. Costantino di Eufemio[…], avuta la lettera dell’Imperatore, […] citò le parti per comparire alla sua presenza; ma il catecumeno di Maniaci non curò presentarsi né al giorno stabilito, né dopo.
Il terzo giorno, dichiarati rei e figli di disubbidienza i monaci di Maniaci, egli andò sul luogo della controversia, e sentiti i testimoni più anziani di Ucria, Longi, S. Lucia; tenuti presenti i privilegi dei monaci di S. Filippo, ordinò che non fossero più turbati nel loro possesso e dichiarava comune col demanio l’acqua del molino, (che è l’acqua proveniente da Maniaci.)

“Io sollevai la questione della demanialità dell’acqua, aggiunge il Radice, mandando copia del documento al genio civile di Catania. Il governo fascista ancora non ha deciso nulla et adhuc sub sudice lis est. Corre voce, però, che sarà presto dichiarata demaniale. Hoc est in votis.

Passando al “Sistema orografico“ il Radice descrive che “Dai monti Peloritani […] si stacca la gran catena delle Caronie, la quale […] va a riunirsi col gruppo secondario delle Madonie, i Nebrodi.(7) Da questi […] si stacca a Taormina la montagna […] detta monte Pietra Perticato, che giunge allo spartiacque tra l’Alcantera e il Simeto, verso la Placa di Bronte. Il Pizzo di Maletto, la Rocca Calanna, la rocca del Corvo, il Margiogrande e Coccovio sono le cime più sporgenti di questa catena. […] Dal lato occidentale di Bronte, sulla sinistra del Simeto, sono i monti di S. Giulio e monte Suvaro che hanno forma piramidale, anche essi di pietra arenaria. Più a sud di Bronte continua la catena sulla quale sorgono due isole […] una a sud del monte Barca […] e l’altra […] formata dal monte S. Marco e dal monte Colla. […] quasi sullo stesso livello trovasi una serra di terre montuose […] il Santo Cristo, lo Zotto fondo e S. Antonino, sulle quali la tradizione colloca l’antico Bronte. Le due isole predette, divise ora dalla lava, erano un tempo unite al monte di Maletto. Dalla Nave […] si elevava, prima delle eruzioni vulcaniche, un lunghissimo altipiano di montagne argillose simile a quello della Placa e Spanò. […] al di là del Simeto, dirimpetto a Bronte, è la regione della Placa alta 1000 metri […].



3. L’Etna e le sue eruzioni attorno a Bronte

Bronte e l'Etna fumanteQuesto capitolo è introdotto dalla seguente invocazione di Pindaro: “Contingat, Juppiter, contingat, ut ego placeam tibi qui hunc regis montem”(8) e iniziando dalla probabile apparizione dell’Etna nell’epoca quaternaria, dal mare, riporta le opinioni del Lyell, “principe dei geologi moderni”, e del Walthershausen che “concordano”; e descrive, quindi, la forma del vulcano e le sue dimensioni, passando poi a parlare dei numerosi paesi sparsi alle sue pendici, con Catania la bella, capoluogo, ed enumerando i 46 monti, con le relative altezze, che “gli fanno corona come figli intorno al loro vecchio genitore.”

Le eruzioni dell’Etna sono moltissime e delle più antiche non si hanno notizie attendibili, e i diversi vulcanologi danno ognuno i numeri relativi a determinati periodi della storia più recente del vulcano.

Il Nostro parla di quelle storiche che interessano principalmente Bronte e che sono nove: quella della Nave, quella del Passo Zingaro e quindi quelle del 1170, 1536, 1651, 1758,1763, 1832, 1843.


La lava della Nave ha origine probabilmente nella classica antichità o nell’alto medioevo” e arriva a S. Venera da dove un braccio raggiunge il Simeto, “sulla quale, nel 1173, sorse il monastero di S. Maria di Maniaci. […]
Dal piede del Pizzo di Maletto, avvicinandosi a Randazzo, giace fra le lave un piano ricoperto di fango argilloso che nell’autunno e nell’inverno viene in parte inondato dalle acque dell’Etna e in parte dalle acque del fiume Flascio. E’ il lago della Gurrita. Esso è lo spartiacque fra il Simeto e l’Alcantera.
“Tutta la pendice dell’Etna tra Adernò(9) e Bronte non è che ampia lava. Il Walthershausen la chiama la sciara dello Zingaro […] e sulla carta dello stato maggiore è segnata nell’anno 1395”,
ma deve essere molto più antica perché “nella storia delle eruzioni non è cennata. Essa è molto articolata ed estesa e forma qualche “dagala”(10) come Dagala Inchiusa.
Dal “braccio principale della sciara dello Zingaro, largo circa 60 Km.”, si dirama un piccolo braccio laterale che termina in faccia al monte Barca; “esso è sito in un profondo cono non lungi otto metri dalla strada provinciale(11), costruita verso il 1830. Il monte Barca è il più profondo cratere secondario dell’Etna, detto così dalla sua forma a vela latina. E’ ignoto il tempo della sua origine…”
Dalla sciara dello Zingaro un braccio, il più largo, scende a Cardà e Saragoddio, ove è una mirabile e ampia grotta che la plastica liquidità della lava permise di stendersi e formare una amplissima e altissima volta. Poi volge a nord e va sino alla cartiera di Bronte, alla Ricchigia, dove sotto le sue lave scaturisce la sorgente di Malpertuso. A Cardà nel 1832 furono trovate lucernine di creta del tempo greco-romano […] Queste antichità fanno presumere che la sciara dello Zingaro sia dopo l’era volgare.

L’eruzione del 1536, 23 aprile, “è cennata dal Fazello e da altri. […] Sul far della sera un fiume di fuoco corse dal monte sopra Randazzo, consumando greggi di pecore e armenti. Un altro braccio corse sopra Bronte e Adernò. In quel giorno crollò la chiesa di S. Leone sita nel bosco tra Paternò e Catania. I monaci di S. Nicolò dell’Arena abbandonarono quel monastero e si rifugiarono in Catania. […] Questa lava fu coperta da quella del 1785”.

L’eruzione del 1651- 54 “fu una delle più terribili che hanno funestato e danneggiato Bronte. Il 4 di febbraio precipitava giù dal cratere per vie diverse un torrente di fuoco. Un braccio corse sopra Bronte, percorrendo in 24 ore, 16 miglia(12).”
La valle di BronteSeppellì fertili campagne e parecchie case e tre chiese: “Durò quell’incendio infernale tre anni” […] Una descrizione dettagliata l’ha fatta il Walthershausen che, fra l’altro, dice: “Il popolo pianse, pregò, portò in processione la statua dell’Annunziata, ma la lava correva minacciosa.
I giurati invocavano aiuto dal cielo e dal Governo[…]”
il quale, “accogliendo la proposta dei Rettori dell’ospedale, diede incarico a P. Cesare Bonifazio, gesuita, di recarsi alla Gollìa e inviare la pianta della novella Terra; ordinava che l’ospedale fabbricasse a spese proprie la chiesa Maggiore e il carcere, e desse gratuitamente il luogo a ogni cittadino per fabbricarvi la sua casa,” ed esonerava il comune di tanti oneri fiscali e contributivi; e ordinava, altresì, “che nessuno emigrasse in altre terre, sotto la pena di tre anni di carcere, […] minacciava la perdita delle grazie concesse ai trasgressori. Ma gli ordini rimasero ordini. Circa tre mila emigrarono. I Brontesi, per amore alla libertà della terra natìa, rinunziarono di fondare il novello casale nel feudo di Gollìa.

Le lave del 1727-32-35-58-59 “minacciarono, spaventarono con terremoti, ma non recarono molto danno al territorio di Bronte; solo quella del 1727 bruciò il bosco di Vittuddi (betulle), e quella del 1735 danneggiò i boschi di Bronte […] tenendo per circa nove mesi gli abitanti in grande paura. […] La lava del 1732 coprì, scrive il Musumeci, una fonte di limpidissima acqua sopra monte Lepre che sosteneva la pastorizia di quei luoghi.”

La lava del 1763 si presentò, come dice il Recupero(13), ai cinque di febbraio “con un terremoto sussultorio e con frequenti boati, e gettò lo spavento e la paura nell’animo dei Brontesi, i quali passarono la notte a cielo scoperto. […] Altre fortissime e frequenti scosse seguirono nel giorno seguente.
Gli abitanti esterrefatti avevano deciso di abbandonare il paese. La sera stessa un’altra violentissima scossa precedette lo spalancarsi di una ampia voragine al poggio Femina morta, che trovasi tra monte Rosso e monte Lepre, a sei miglia dal cono principale e a cinque da Bronte.
Dalla voragine che aveva la circonferenza di un miglio, ove si erano aperte cinque bocche, zampillavano cinque fontane di fuoco che fra sibili e boati in cinque ruscelli scendevano, anzi precipitavano a valle. […] la mattina seguente, il popolo, in penitenza fra sospiri e pianti, portò in processione la statua dell’Annunziata, sperando nel suo celeste intervento. […] Nella prima metà di marzo il torrente vulcanico fermò il suo cammino, avendo percosso cinque miglia con una larghezza di 5540 palmi.”

L’eruzione del 1787 “fu ad intervalli. Cominciò il 1° di luglio e si estinse il 22 agosto. Nel giorno 17 la lava incendiò parte del bosco di Bronte e le campagne vicine. Il popolo, al solito, la sera andò in processione col Divinissimo(14) a piè del monte. Fu mandato in Bronte un certo Dottor Carbonaro con onze(15) 200 per provvedere ai bisogni e dare ordini ai paesi vicini per aiutare a fare le baracche e portare via le carte dell’università.”(16)

Eruzione dell'etna del 1832 (dipinto di Giuseppe Politi)Eruzione del 1832 - “Anche questa fu una delle più funeste eruzioni che afflisse il troppo tribolato paese. (a destra, l'«Eruzione dell'Etna - la notte del 31 Ottobre 1832», vista da un pittore dell'epoca, Giuseppe Politi).
La sera del 31 ottobre replicate scosse di terremoto nei boschi di Adernò, Bronte e Maletto, dove crollarono molte casupole, annunzia­vano vicino la bufera infernale, l’ira del vulcano che ruppe e aprì le sue ardenti fornaci nella vallata a mezzogiorno di monte Schiavo, proprio nello stesso sito dell’eruzione del 1651, detto Bocche di fuoco […] tre fatali sterminatrici eruzioni nello stesso luogo in due secoli, compresa quella del 1763. […]
Il principe di Manganelli, Intendente della Provincia, accorse con l’ingegnere Musumeci per dare conforto e possibili ripari. Per rendere più facile la caduta della lava nella valle della Barriera ordinò rompersi l’estremità occidentale del serro Lungo, e farsi un muraglione a secco sopra il serro Salice, come a Catania nel 1669; onde impedire qualche movimento laterale della corrente e non invadere i dintorni dell’eremo di S. Antonino il vecchio, già seppellito dalla lava del 1651. […]
L’eruzione percosse in 15 giorni 10 miglia; distrusse più di quattro miglia quadrate di terreni boschivi; più di tre miglia quadrate di vigneti e terreni bonificati; fece saltare in aria con fragorosissimo scoppio un serbatoio di neve vicino all’abitato; si fermò prodigiosamente quasi a un miglio da Bronte.” (17)

L’eruzione del 1843 viene raccontata da Carlo Gemmellaro, in Atti dell’Accademia Gioeni, Tomo XX: “Alle ore 21 del giorno 17 novembre, dopo violente scosse di terremoto, funerei annunziatori, una quindicina di bocche, le une vicine alle altre, da parere una sola gola, si aprirono sul dorso dell’Etna Ovest-Nord-Ovest, nel luogo detto Quadarazzi (grandi caldaie) tra due terzi di miglia sopra il cratere dell’eruzione del 1832. […] sgorgò un fiume di lava, come di metallo liquefatto, che, passando sopra quella del 1832 con una fronte di cinquanta canne sino a mezzo miglio, in poche ore percosse due miglia e, tra monte Egitto e monte Rovere si divise in tre bracci. Quello a destra si dirigeva verso il bosco di Maletto, quello a sinistra verso Adernò, quello di mezzo verso Bronte.
I due bracci laterali presto rallentarono la corsa; quello di mezzo, ingrossato dalle sopravvenienti lave, fiancheggiò prima Dagala Chiusa, e poscia le antiche lave. Né l’aspra ineguale indurata superficie della lava del 1832, né quella più antica di monte Rovere poterono trattenere l’irrompere dell’ infocata lava che […] scendeva minacciosa verso Bronte. Il popolo, in preda a grande turbamento e agitazioni, preparavasi ad abbandonare il paese.

Giunse però in tempo il commendatore Giuseppe Parisi, Intendente della Provincia di Catania, a dare conforti alla popolazione affranta, e a mettere un po’ d’ordine in quello affaccendamento di partenza; ma fortunatamente questo fiume infernale s’arrestò al poggio della Vittoria, a due miglia da Bronte, e piegando a mezzogiorno, invase le antiche lave della Paparìa.
Incalzata da sopravveniente piena, il 23 era a Fiteni nella contrada Tripitò, e in poche ore attraversò la via consolare Palermo- Messina(18) con una fronte di un quarto di miglio.
Lo spavento occupava l’animo degli abitanti accorsi anche dai paesi vicini a mirare quello spettacolo orrendo e bello. […] Donne e bambini genuflessi pregavano il Cielo. Gli uomini, alcuni recidevano a colpi di scure gli alberi, vicina preda alle fiamme divoratrici; altri erano intesi a portar via le tegole e le porte delle casette rustiche. […]
“Nel giorno 26 la lava andava più lenta; nel 27 le bocche cessarono di eruttare; nel 28 si estinse. La superficie invasa nel fianco O- N-O dall’Etna fu della lunghezza di sei miglia in linea retta, larga mezzo miglio, alta da sei a dodici metri.”
Dopo aver riportato due esempi di “virtù civili e patriottiche che il Prof. Placido De Luca ricorda nel suo “Discorso sull’eruzione dell’Etna del 17 novembre 1843 in relazione all’ industria dei Brontesi, la cui opera egli paragona a quella di Sisifo: appena essi occupano un terreno che con amoroso e faticoso lavoro spetrano, coltivano, ecco Mongibello, l’eterno nemico, distruggere le sudate fatiche, cacciare altrove gli arditi colonizzatori del fuoco, che come polipi attaccati allo scoglio con tenace affetto al suolo natìo, vi si abbarbicano, vi si annidano sopportando disagi, non temendo terremoti, portando disagi, non temendo terremoti, sfidando l’ira del gigante”.
Il Radice conclude con questa interrogativa speranzosa e poetica preghiera: “E sarà quest’ultima? E starai tu eternamente, o Mongibello, monte dei monti, mistero dei sofi, sogno dei poeti, tuonando e fiammeggiando nel candore delle tue nevi, quale ara di fuoco, eretta dalla terra al cielo, terrore agli Etnei, irridendo coi tuoi orridi infiniti torrenti di lava alla fatica e alla sorte degli uomini? o non precipiterai giù negli abissi dell’antica gran madre trasformatrice e generatrice eterna di vita? e dove è ora irto e desolante deserto, silenzio tragico e ruina immensa, sarà alle genti future piano verdeggiante o cerulo mare, solcato da navi italiche? Un sacro spavento invade l’animo atterrito dalla fatale cieca arcana, onnipotenza della natura!!! (19)


Note:

(1) Nota del Radice: “Eneide - 1.6.” (A parte il grave refuso tipografico che scrive il “que” enclitico con il dittongo “ae”, la citazione è errata, perché i versi sono il 424 e 425 del libro VIII dell’Eneide. Vedi B. Radice, Memorie… cit. pag.17 e nota (9).

(2) Ibidem cit. pag.30 - Maniaci, o Maniace, come scrive in seguito lo stesso B. Radice, e come scrivono sia il De Luca, che Antonino Cimbali e Biagio Saitta.

(3) Ibidem cit. pag. 41: “Il Teria è il Simeto, di cui parla Tucidide. VI. 6. 5.e Virgilio - Eneide IX 394.”- Ma il termine Teria non esiste in nessun verso di Virgilio, infatti non si trova nell’indice dei nomi dell’edizione critica dell’opera virgiliana di L. Castiglioni.

(4) B. Radice, Memorie…cit. pag. 61 - In questa pagina non è chiaro dove finisce il virgolettato del von Sartorius e il testo del Radice.

(5) Abbiamo visto a pag. 16 nota 30 che la citazione di Virgilio non corrisponde al vero; mentre per Ovidio non fa nessuna citazione specifica.

(6) Ibidem cit. pag. 65 - Ma desidero riportare 2 note di questa pagina: la (82) “A edificazione del paese vo’ qui rammentare che nelle elezioni politiche del 1913 avendo io parlato al pubblico e scritto alle autorità locali della facilità di trovare l’origine delle due sorgenti: Maniaci e Malpertuso, servendosi dell’opera di un rabdomante, che avrebbe risparmiato al comune l’enorme spesa della sopraelevazione per mezzo di motori, mi furon scritte di male parole da certe persone che si gabellano per galantuomini e sono quel che sono. Auguriamo che il comune possa sopportare la spesa, e che l’acqua non giunga inquinata dai serbatoi e che le macchine funzionino sempre.”A questo proposito posso testimoniare le peripezie e i frequenti viaggi a piedi (3 Km.) che il povero Nunzio Schilirò, che aveva la responsabilità della manutenzione delle pompe, dovette sopportare fino al 1944. (Nota dell’A.) e la (83) […] “De Luca a pag. 592 della sua Storia di Bronte, afferma che nell’acqua di Malpertuso c’è Zolfo e che ha servito per bagni minerali.”

(7) Ibidem cit. pag. 67 - e alla nota (86) chiarisce che “ I Nebrodi comunemente diconsi Madonie, correzione dell’aggettivo maroneus…
(8) Ibidem, cit. pag. 71. “Avvenga, o Giove, avvenga che io piaccia a te che reggi questo monte”. Pindaro. E nella nota (89) spiega l’origine del nome Etna che deriverebbe da una radice indoeuropea da cui una parte greca e una latina. […] gli indigeni lo dissero Mongibello, dal latino mons e dall’arabo gibel: monte di monte.

(9) Ora Adrano; B. Radice, Memorie cit. pag. 74.

(10) Ibidem cit. pag.73 - nota (93): “Dagala parola araba: oasi,terreno circondato da lava”

(11) Ora statale 284

(12) Ibidem cit. pag. 76. vd. nota : Secondo il Recupero, mentre il Gemmellaro corregge in 7

(13) Recupero,canonico, Storia dell’Etna, vol II, in B. Radice, Memorie cit. pag. 79

(14) E’ il Santissimo Sacramento che si portava in processione il giorno del Corpus Domini.

(15) Moneta del valore di lire 60

(16) Intesa per Comune. Ibidem cit. pag. 81

(17) Ibidem cit. pag. 82 e nota (109) che recita: “Alessi, Storia dell’eruzione dell’Etna.” Musumeci, Memoria dell’eruzione del 1832 in Atti dell’Accademia Gioeni, Tomo IX, pag. 207. Gemmellaro, Vulcanologia dell’Etna.”

(18) Ibidem, cit. pag. 83 - La via consolare, o fluviale, era quella che correva lungo il Simeto; ma perché il Radice, quasi sempre così preciso, non aggiunge che fu interrotta anche la strada provinciale (ora statale) Adernò-Bronte-Maletto-Randazzo e che questa colata a Bronte era denominata “sciara nova“? A questo proposito devo riportare una mia personale testimonianza: nella camera da letto di mio nonno Nicola, sul comò, era appeso un grande quadro ad olio, di autore ignoto, dai colori foschi: il nero della lava vecchia e il rosso della nuova colata; esso era l’incubo dei miei sogni quando qualche volta dormivo in quella grande camera! Esso scomparve dopo i fatti bellici del 1943.

(19) La prima angosciosa domanda ha avuto, finora, risposta positiva, perché da allora Bronte non è stato né colpito né minacciato da vicino; mentre le eruzioni successive e del secolo scorso sono state orientate verso il mare. E a questo proposito devo riferire una mia esperienza infantile: durante l’eruzione del 1927 che minacciò Giarre e distrusse Mascali, mio padre, che allora insegnava a Randazzo, una sera giunse improvvisamente a casa con una automobile di un amico e convinse mia madre ad accompagnarlo per una visita a Giarre, dove egli aveva frequentato la Scuola Normale per diventare maestro. Allora, lasciati a casa con una zia gli altri tre miei fratelli, portarono me che avevo otto anni. Fu una esperienza faticosa perché tutta notturna, ma io avevo un giovane amico che mi portò quasi sempre in collo e ogni tanto, per tenermi sveglio, mi dava qualcosa da mangiare. Arrivati a Giarre fummo fermati prima di potere attraversare la strada statale Messina - Catania, perché c’era in visita Mussolini, allora capo del Governo. Quando riuscimmo a passare per andare verso Mascali, dove poco dopo la strada sarebbe stata interrotta dalla colata lavica, vedemmo una cosa che non ho mai dimenticato e che conferma quanto è stato descritto anche nelle pagine precedenti: una casa era stata sgombrata di tutto, anche dalle imposte, e sul vano della porta, seduta su uno sgabello, stava immobile la padrona di casa, impietrita dal dolore per l’imminente arrivo della lava che avrebbe distrutto la sua casa. (Dopo tanti anni, studiando la mitologia ho incontrato Niobe, ”pietrificata dal dolore”, che mi ha ricordato quella donna!) Ma quella casa, quasi per miracolo, circondata dalla lava che si fermò a qualche metro, rimase in piedi! 

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