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VOCABOLARIO POPOLARE BRONTESE

Parliamo brontese, archeologia lessicale

a cura di Nino Liuzzo
 

AFORISMI, PROVERBI, MASSIME, MODI DI DIRE

 

P

Pàgghia mògghia
E’ detto di persone senza carattere, insignificanti che non prendono mai posizione e sono come la paglia umida che al fuoco non si accende (LC) | Un'altra frase con identico significato potrebbe essere (cu rispettu parrandu) "mìnchia babba".

P'amùri ra fìgghja 'a mamma si ripìgghja
Per amore della figlia la mamma si rinforza. Il detto si riferisce a chi, con la scusa di badare o pensare agli altri, in realtà agisce solo per un suo tornaconto, pensando solo al proprio interesse. (LC)





 

Pani e cutellu non rìnchji ‘u burellu
Un modo di dire che ci ricorda l'estrema povertà della popolazione brontese nei secoli passati: il coltello che tagliava il pane era l'unica cosa che si accompagnava al pane durante i pasti; si mangiava, infatti, sempre pani e cutellu; peraltro, dicevano, “pani ruru e cutellu chi non tàgghja”. Poi, ovviamente, si arrivò all'agosto del 1860.

Pani e sagramentu ci nd’è ogni cunventu
Pane e sacramento se ne trovano in ogni convento.

Pani e tumazzu e llibbettà ri cazzu!
Il motto degli anarchici brontesi. Poveri ma... liberi!

Pani e vinu s'invita 'u parrinu
Esprime l’essenzialità della vita, la festa quando si ha il necessario per vivere e si riesce a soddisfare i bisogni elementari. (V. Il Pane, di N. Lupo)

Panza e prisenza
Bolla ironicamente chi approfitta e sfrutta il lavoro o l’impegno degli altri. E’ detto di chi non collabora o non partecipa ma si fa avanti e si presenta ugual­mente solo per approfittare di quello che hanno fatto gli altri o per mangiare a sbafo: Ci menti suru panza e presenza! ed arriva, calcolando con esattezza il momento, solo quando ‘a tàvura è cunzata..

Pari babbu ma ccià fa jri 'nda fussetta
Il classico finto tonto, ipocrita e dissimulatore, finge di non capire ma solo per i propri interessi | 'A fussetta era il nome di un gioco dei bambini, una specie di piccolo minigolf, che consisteva nel far entrare, con sapienti colpi del pollice o dell'indice, in minuscoli buchi del pavimento semini di carrube o nocciole ed anche soldini.

Pari chillu chi non ci cuppa
Pare... ma è un finto tonto, un santarellino e, come nel modo di dire precedente, ccià nsetta 'nda fussetta!

Parrandu cu crianza (o cu rispettu)
Un modo di dire per chiedere scusa prima di dire qualcosa di sboccato o scurrile; come a dire, ci si consenta la licenza, scusate il linguaggio che segue. Ma intanto scuse o non scuse, con una buona dose di ipocrisia, lo si dice liberamente.

Parrari a carcarara
Parlare il dialetto stretto.

Paru e sparu
Non continuare la discussione e "la guerra" ma risolvere una questione a pari e dispari utilizzando le dita della mano (facimmu paru e sparu e non s'indi parra cchiù!).

Pa saruti non c’è prezzu
La salute non ha un prezzo, non si può comprare. Il detto fa rima con l'altro "quantu va 'a saruti non vanu i rinari" (quanto vale la salute non valgono i denari). Oggi questi antichi detti non rispecchiano più la saggezza e la vita sociale, hanno un senso più limitato a casi estremi. Infatti, sono sempre di più coloro che per problemi economici non riescono a curarsi adeguatamente.

Passata a cinquantina un malannu ogni matina
Come si è allungata la vita! Oggi i malanni cominciano a ottanta anni.

Pèccia e 'nfira
Persona industriosa, ingegnosa ed intraprendente. La classica figura che una ne fa e cento ne pensa, che riesce sempre a escogitare nuovi trucchi, astuzie, idee.

Piddì ‘u sceccu e va ciccandu 'u crapistu
A volte ci preoccupiamo delle cose minime o più appariscenti tralasciando quelle importanti o principali come fa chi smarrisce l’asino e cerca la cavezza.

Peri peri
Dappertutto, a zonzo per Bronte (Ma undi ha statu? Peri peri!).

Pessu pi pessu
Tentiamo lo stesso, o la va o la spacca.

Petri petri
Una ripetizione di parole (epizeusi?) usata prevalentemente nell'espressione "viririsilla (o ma/sa visti) petri petri", salvarsi a stento, per miracolo, uscire fuori da una difficile situazione con molta difficoltà e pericolo.

Picca e nenti sunu parenti
Poco e niente sono parenti. Pessimistica considerazione che contrasta con quella che dice "meglio poco che niente" anche perchè - dice qualche altro - chistu è picca ma sicuru! e il modesto rincara la dose: ‘U picca mi bbasta, assà mi ssuvècchia. Chi si accontenta, insomma, gode.

Picchì ddù non fanu trì
E' la scherzosa risposta ad un "picchì?" quando l'argomento è ovvio e la giusta risposta sarebbe inutile e superflua oppure non la si vuol dare.

Pigghjàri cu bbonu
Cercare di calmare qualcuno | Pìgghjaru cu bbonu tu, ca i' non ci rinèsciu!

Pìgghia e ppòtta
(lett. prende e porta) chi (per abitudine ma anche a volte quasi "per mestiere") quando sente o apprende qualcosa non ne può fare a meno di divulgarla subito, anche se il farlo è sgradevole od inopportuno.

Pìgghja e potta a casza
Bolla chi subisce un sopruso, sopporta pazientemente e non reagisce per nulla e non sa che è "meggghju ‘na vota russicàri chi centu voti gianniàri".

Pìgghjara cu ccori la muntata, ca la pindina tutti i santi aiùtanu
Sembra suggerirci di affrontare e non temere le difficoltà della vita. Infatti c'è sempre una fine e poi tutto sarà più facile e meno faticoso. Ma sarà? Qualche altro suggerisce che tantu su i cchianati e tanti su i scinduti.

Pigghjàri peri
(lett. prendere piede) introdursi in un ambiente o in un affare e allargarsi a poco a poco (commu 'u poccuspinu).

Pigghjàrisi 'u jìritu ccu tutt’a manu
Abusare, approfittare della bontà o della pazienza altrui.

Ppi motti ‘a nivi arretu i potti
(V. mesi dell'anno)

Pi 'na mangiata ‘i pani
Cosa fatta veramente per poco, quasi nulla | ‘U locu cci’ù vindì pi ‘na mangiata ‘i pani.

Pi’ non fari piacìri a la motti, vurissi mòriri cu’ l’ucchiuzzi avetti
Poetico irrazionale desiderio.

Ppi non sapiri lèggiri e scriviri
Forma scherzosa di dire che ci si vuol mettere al sicuro o in regola.

Pipita gallinara
Zitto!!

Pisciari fora r’u rinari
Il motto è riferito a chi va oltre i suoi compiti, fa o dice cose che non gli competono, travalicando od esagerando limiti e funzioni. (LC)

Pistàri l’acqua ‘nto muttàru
Significa fare una cosa inutile e perdere tempo.

Vi sono aforismi e modi di dire che sem­bra­no adat­tar­si ad ogni tempo e ad ogni cir­co­stan­za; dopo seco­li tanti sono an­cora usati nelle con­ver­sa­zioni di tutti i giorni, nel par­lare comu­ne; altri hanno solo valore sto­rico, sono “da­ta­ti” perché ricon­du­cibili a preci­se epo­che e condizioni sociolo­giche.

Riflettono un processo di osservazione di compor­ta­men­ti e fatti, talora i pregiudizi e i con­di­zio­na­men­ti di natura socio-econo­mica dei brontesi ma soprat­tutto la fede gran­de nella vita e la salda difesa di alcuni valori quali la reli­gio­sità, il profondo senso della famiglia, l’amo­re per la ca­sa, l’im­por­tanza del­l’ami­cizia e del­l’one­stà, la cen­tralità del lavo­ro.

Toccano temi ed argomenti più svariati e, nel com­ples­so, ci danno l’immagine di una co­mu­nità fon­data su una cul­tura arcaica, che la civiltà con­tadina ha trasci­nato con se, una civiltà sva­nita con la famiglia patriar­cale.

Ci dan­no altresì un’immagine viva del nostro pae­se tra passato e avvenire, certamente non classifi­ca­bile in poche e super­ficiali bat­tute.

Pizzicari i minni o riàvuru
Compiere un'azione azzardata che provoca una reazione immediata e decisa da parte della persona offesa. (A. F.)

Prega a Ddiu e futti o pròssimu
Il modo ambiguo perfetto di comportarsi, doppiezza ed ipocrisia; il dottor Jekyll e il signor Hyde.

Primmu jetta a petra e po' si mmùccia 'a mani
Scaglia la pietra ma subito nasconde la mano per evitare di esporsi e farsi carico della propria responsabilità. Il vizio di chi, vigliacco e poco coraggioso, agisce contro gli altri ma non vuole apparire. Il solito incolpevole che, però, ccià fa jri ndà fussetta

Primma ‘i parrari màstica ‘i parori
Un buon consiglio per non sbagliare mai: non parlare a vanvera, rifletti ed accendi il cervello su quel che vuoi dire.


Q

Quandu ‘a gatta non c’è i suggi trìppanu
Quando non c’è sorveglianza ognuno fa ciò che vuole (n.l.).

Quandu ‘a pira è matura casca sura
Col trascorrere del tempo le situazioni si chiariscono da sole, basta avere un pò di pazienza ed aspettare.

Quandu a ssiccu e quandu a ssaccu
Come a dire quandu nenti e quandu assà. Il mancato equilibrio nei comportamenti e gli estremi che si toccano.

Quandu llesti ri mangiari chiamma a tutti i so cumpari
Il solito avaro egoista che mangia da solo, e chiama gli amici solo quando ha finito (quando non cc'è cchiù nenti pa gatta). Vedi un altro esempio di bieco egoismo in Mastru Peppi piricùllu…VEDI

Quandu u bbò va o macellu tutti cùrrunu cu’ cutellu
Il detto bolla gli sciacalli, coloro che approfittano di chi cade in disgrazia. In politica si dice in modo corretto "scendere dal carro".

Quandu 'u patruni è avaru 'u sevvu è latru
La contrapposizione: non mi dai la giusta mercede ed io ti frego.

Quandu u rìavuru t’accarizza vori l’amma
Le lusinghe mirano sempre a fare del male (n.l.).

Quantu capi a biszazza non capi a sacchìna
Non tutti abbiamo le stesse capacità (LC).

Quantu è llària 'a vista 'i l'occhi
"Fatti gli affari tuoi!", "Non guardarmi!".

Quantu sapi un’obbu a so casza no sapi chillu chi cci-avi cent’occhi
Come dire che a casa sua ognuno è il re (A. Car.).

Quantu si rici a ttàvura ha ristari intra 'a tuvàgghja
I segreti confidati quando si è in compagnia e si mangia insieme (specie se c'è buon vino) devono restare secreti, bisogna che non si svelino agli altri.

Quantu tira un firu 'i piru non tira un carru ri bbò
La forza del sesso (aL).

Quantu va 'a saruti non vanu i rinari
Quanto vale la salute non valgono i denari. Il detto fa rima con l'altro "pa saruti non cc'è prezzu".

Quazàri e papìti
Quanto ero più piccolo, sentivo dire un detto “Chi facìti?” e l'altro rispondeva «Quazàri e Papìti». Probabilmente il detto si riferiva alle calzette (“Quazàri”) e agli zoccoli di una volta (“Papìti”). (S. P.) | Quasàrisi in qualche zona della Sicilia significa mettersi le scarpe, calzarsi.


R

Rammi tempu chi ti pecciu
Rissi ‘u suggi a nuci (disse il topo alla noce). Corrisponde al latino “gutta cavat lapidem” = la goccia buca la roccia.

Riàvuru mi ti pìgghia e mi ti potta (N. Sc.).
Una delle tanti invettive brontesi. “Vai al diavolo” è notevolmente più gentile.

Riddugìrisi pòviru e pazzu
Sprofondare nella completa rovina, subire un tracollo finanziario.

Riciannòvi soddi cu na lira
Come dire che "se non è zuppa e pan bagnato" (o meglio llà pi llà) o, ancora alla brontese, "un pani menu ddu menzi", quasi identici, senza alcuna differenza, simili ma insignificanti tutti e due. (aL)

Rici 'u cappillanu a batissa: “senza rinari non si canta missa!”
Dice il cappellano alla badessa che senza soldi non si canta messa (e, rispose pronta Lei, mancu senza stola si cunfessa). “Religiosa” massima sulla diffidenza, che la prostituta traduceva così: “soddi supra u bancùni e mìnchia intr'o picciùni!” Ogni cosa ha un suo prezzo e bisogna pagare per averla (nl).

Ricugnìrisi i pupa
Raccogliere le proprie cose ed andarsene via: "Ma quandu ti ricògghj 'i pupa e tindi va?"

Ri n’orìcchia cci traszi e ri l’atra cci nesci
Parole che entrano da un orecchio ed immediatamente escono dall’altro senza provocare alcuna riflessione o conseguenza. Parori jttati o ventu. Richiama anche il detto che non c’è più sordo di chi non vuol sentire.

Ri patrùni a gazzùni
Osservazione su chi, non avendo saputo amministrare i propri beni, si era ridotto in povertà (tanto per dire non ha più nemmeno un cavallo da strigliare perchè si dice che cu strigghia 'u so cavallu, non si chiamma gazzùni).

Rispammia a farina quandu a càscia è chjna
Si può risparmiare quando si sta bene o si ha qualcosa da mettere da parte; infatti "quandu u fundu pari non ccè cchiù nenti 'i fari" (F.C.). Il rovescio della medaglia sta nell'altro aforismo che recita che "cu savva ppi rumàni savva ppi cani".

Rissi u vermi a nuci: rammi tempu chi ti pecciu
(lett. disse il verme alla noce: dammi tempo che ti perforo). E' l'antico detto dei latini "Gutta cavat lapidem" riproposto in una delle tante versioni dai dialetti.

Ristari cu l'occhi pi ciàngiri
Restare solo con gli occhi per piangere. La sfortuna più nera, rimanere all'osso privati di tutto. Ciàngiri c'un òcchiu sarebbe molto meglio.

Ristari cu ‘na mani ravanti e l’atra rarrèri
Non riuscire a concludere nulla, restare con un pugno di mosche o essere nella miseria più assoluta. Quanto meno, meglio “‘Na mani ravanti e una rarreri e ‘ndo menzu San Micheri”, almeno c’è qualcosa che in qualche modo conforta!

Ri undi vegnu? vegnu ru murinu
cioè “...da qualsiasi luogo stia arrivando, vengo dal mulino!”. A parte il significato letterale di cui non saprei indivi­duare l'origine, il detto si usa di persona che dopo aver pazientato a lungo su una determinata questione, si lascia andare “cu tuttu u sceccu” tralasciando le formalità e le buone maniere in uno sfogo repentino e a volte violento. Almeno credo... (G. D. B.) | Forse un tempo tornando dal mulino si era sempre arrabbiati per la tassa da pagare sul macinato e perché il mugnaio non sempre risultava onestissimo e l'espressione vorrebbe dirci la rabbia e la voglia di dare mazzate sorde, solenni e senza alcuna discrezione | L’aforisma è una espressione che indica comunque soddisfazione di portare a casa la farina per il pane quotidiano! Altri tempi in cui si era soddisfatti del necessario! (nl)

Rrobba, mugghjeri e rinari ri tutta 'na manu han'a passari
Robe d'altri tempi quando il marito era padrone incontrastato di tutto; la parità di genere è venuta dopo.

Rùmpiti 'u collu chi i gambi i fanu 'i lignu
Un modo di dire ed un augurio veramente "simpatico": se si vuole augurare del male a qualcuno bisogna infatti farlo bene. Meglio che si rompa il collo perchè non esistono protesi. (LC)

Rundi ci chiovi ci scìllica
Indifferente a tutto.

R'un latu 'u sceccu r'un latu 'a cullana
Gli affari del contadino che, si sa, sa essere cauto e prudente, non dando nulla per scontato e non cantando mai vittoria troppo presto; niente quindi mezze misure o sotterfugi o espedienti ingannevoli: io ti do i soldi e tu mi dai da un lato l'asino e dall'altro briglia e redini per portarmelo via e... si fa l'affare.


S

Sa chi cci passà pa testa
Chissà cosa avrà pensato, cosa gli è frullato in testa per aver avuto questo momento di follia.

Saccu vacanti non po’ stari addritta
Sacco vuoto non può reggersi in piedi. Ogni tanto qualcosa bisogna pur mangiarla.

San Giuseppi primma si fici a so babba
S. Giuseppe prima di qualunque cosa si è fatta la sua barba | Per dire di qualcuno che prima di far qualcosa pensa al suo tornaconto, prima bada agli affari suoi e poi ... 

Sant’Antoniu gran friddura, San Lorenzu gran calura: l’unu e l’atru picca rura
Per sant’Antonio (17 Gennaio) gran freddo, san Lorenzo (10 Agosto) gran caldo: l’uno e l’altro, però, durano poco. L'aforisma è certamente secolare; oggi, in tempo di radicali cambiamenti climatici, non è detto che sia ancora così.

Sapiri ri picca
Si dice quando quel qualcosa che si è mangiato era così poco da non riuscire a capirne il sapore (Commè? Ti piacì? è la domanda. Sapi ri picca!, la risposta).

Sari (o Mistùra) menticcìndi ‘na biszàzza, cònsira commu vo’ sempri è cucuzza!
E’ inutile voler cambiare uomini e cose con vari espedienti. E' inutile insistere con gli zucconi! (nl) | E' il corrispettivo del detto "Chi nasce tondo non può morir quadrato" (A. P.) | Una donna si può imbellettare come vuole ma se è brutta brutta resta (LC).

Saruti e figghj màscuri!
Un auspicio di buone nuove e di partecipazione ad un matrimonio. Ed i figli dovranno nascere maschi così potranno lavorare i terri.

Savva ‘a pezza pi quandu cc'è 'u pittuszu
Chi la fà l'aspetti (V. S.). Ma anche: essere previdenti (nl) | O mettere da parte risorse per i tempi di crisi (LC).

Sbrugghjari 'na marrella
Lett. dipanare una matassa, ma ci si riferisce alla risoluzione di una complicata faccenda.

Sceccu truppicaròru
Una persona che inciampa sempre e che i guai sembra volerseli cercare.

Sciucàrisi ‘u mussu
Lett. asciugarsi il muso ma si vuole dire di non chiedere altro o di più, picchì non cc’è cchiù nenti pa gatta! La festa è finita!

Sconza brìgghja (LC)
Detto di chi per sua abitudine (o per malizia) è portato sempre a scombinare o a mandare all’aria i progetti (birilli) degli altri. “Chillu ci scunzà i brìgghja!”

Scrìviri ndò muru e cancèllari cu curu
Il “consiglio” che si dà a chi ha prestato soldi e non li vede restituiti. Una cosa prestata, si sa!, “si chiamma tonna” e quasi sempre viene restituita ma quando si tratta di “soddi” il pericolo è in agguato ed il consiglio è categorico e non lascia alcuna speranza | Una frase consimile è Cci po scriviri canni i poccu! Insomma hai prestato qualcosa? Dimenticala, non ti verrà mai restituita, può scordartela definitivamente.

Scunsari i brìgghja
Impedire un’azione, una marachella od un comportamento anche legittimo frapponendo ostacoli alla sua realizzazione. E' c'è anche una precisa figura professionale che lo fa per abitudine e predisposizione: 'U sconsabrìgghia!

Scupa nova scrùsciu fa
Le novità fanno rumore ma dopo tutto rientra nella norma e niente cambia.

Scupriri a' Mèrica
Affermare qualcosa come una grande novità e sentirsene orgoglioso, ma, purtroppo, è già nota a tutti.

Scuràrici u cori
Rabbuiarsi, immalinconirsi, diventare tristi per una brutta notizia.

Sempri chi cci ‘mpingi
Il modo di dire si riferisce al tizio perennemente irritato, contrariato ed infastidito da tutto. Non c’è niente che gli possa andar bene. Il compagno “ideale” per un fine settimana,di riposo dal lavoro e di svago.

Sempri scuru non ppò fari!
O, nella variante, Cchiù scuru 'i menzanotti non ppo fari! In qualche modo sono l'esaltazione della rassegnazione ed insieme dell'ottimismo.

Senza mangiàrici o bivìricci
Un presunto innocente accusato senza alcuna prova concreta (almeno così dice lui).

Senza rururi so tìranu ganghi
Senza provar alcun dolore tirano denti agli altri, come a dire che quando sono gli altri a soffrire od a subire le conseguenze di un fatto tanti non ne fanno un dramma e forse approfittano anche delle occasioni che si presentano.

Sevvi l’ommu tò secundu u vìzziu sò
La raccomandazione della mamma dei tempi andati: assecondare l’uomo che si ama anche nei suoi vizi; il che asseconda anche la supina sottomissione della donna all’uomo (tempo fà naturalmente!?!).

Si càscanu anelli non càscanu i jiritelli
Coraggio! E' andata male ma si può sempre ritentare la fortuna | La dignità (se uno ce l’ha) rimane sempre anche se cambia lo stato sociale, come il nobile che perde i beni ma non il titolo.

Si ccì rici 'a testa
Se ne ha voglia, ed è contento di fare qualcosa

Si chiamma tonna
Una raccomandazione molto spesso opportuna: le cose prestate non sempre, infatti, ritornano al legittimo proprietario (e non parliamo di soldi). Quindi te lo presto ma si chiamma tonna.

Si chiuri 'na potta e si grapi un putticatu
Non scoraggiarti se perdi un’occasione ne arriverà un’altra nettamente migliore (LC). E’ la frase che si rivolge nel tentativo di consolare, in qualche modo e con un briciolo di ottimismo, chi ha fallito qualche obiettivo.

Si commu l’ovu, chiù coci cchiù duru diventi (LC)
La cocciutaggine non ha limiti. Cchiù crisci e cchiù nicu resti, nessuna esperienza riesce a farti riflettere! A volte la maturazione di un individuo è proprio un optional.

Si fici mèntiri i cugghjùni ‘nda càscia
Assoggettare qualcuno (privandolo degli ...attributi e facendoglieli mettere in una cassapanca).

Si jungìnu, a fàmmi cà sìti
Connubbio tra due persone poco raccomandabili o di bassa estrazione sociale (M.G.P.) | Il danno e le beffe | Od anche unione di persone o cose incompatibili fra loro o poco omogenee.

Si lavora (o si campa) e si fatica pi la panza e ppi la fica (LC)
Una visione prettamente materialistica della vita, limitata a due sole alternative e vissuta senza altri orizzonti.  Non è, però, un detto propriamente brontese: il termine "fica", infatti, (per indicare i genitali femminili) non è per niente caratteristico del parlare brontese che usualmente preferisce utilizzare le parole stìcchiu o pàcchiu o picciuni.

Simàna rutta pèddira tutta
Era un detto che evidenziava che una festa o malattia infrasettimanale rovinava il lavoro.

Simmu ricchi e no sapi nullu
E' tutta apparenza.

Si miszi l’acqua ‘n casza
Si è messo in casa una cosa utile e piacevole. Una volta era un avvenimento avere l’acqua nei rubinetti e non nella cisterna (LC) | Forse la frase fa riferimento a chi con il proprio comportamento crea una situazione spiacevole o facilità un avvenimento inopportuno. (aL)

Si ‘ndi sèntunu ri tutti i cururi
La molteplicità di fatti e di opinioni, assai vari e complessi. Chi la racconta in un modo chi in un altro. Strano ma efficace modo di dire che, trattandosi di colori, utilizza stranamente il verbo “sentire” e non “vedere”.  

Si non ci criri, ci‘ngàgghj oppure Cu non ci criri ci ‘ngàgghja!
Credici! Perché se non ci credi, vedrai che un giorno la stessa cosa potrà capitare a te.

Si non è bbella è vitella!
Lo si dice quando si va al sodo non badando alle apparenze e scegliendo qualcosa che non è l'optimum ma è perfettamente adatta allo scopo.

Sintìrisi un cacòcciuru
E' la caratteristica del tipo altero, tronfio, tutto pieno di sè. Testa alta e petto in fuori, vistutu ri canni ‘nfunnata.

Si u cchiù nicu vori ciangìri, cu cchiù randi s’a mintìri
Una verità lapalissiana: il più debole (“u cchiù nicu”) non può sfidare il più forte (“u cchiù randi”). Ma rassegnazione e sussitanza non sempre premiano, Davide dimostrò che era possibile battere Golia (n.l.).

Si vvo' mpuvirìri manda l'ommu e non ci jri
Chi vuole vada e chi non vuole manda o in altri termini, come si dice in Italia, “l’occhio del padrone ingrassa il cavallo”. (A. Car.)

Si vvo stari bbonu, lamèntati
Lamentarsi per stare bene, senza farsi invidiare (V. S.) | Elogio alla ipocrisia e alla superstizione! (n.l.) | Invito ad approfittare della bontà altrui senza averne alcun bisogno.

Sòggira e nora gatta e cagnora
La tradizionale e sempreverde incomunicabilità tra suocera e nuora è come quella del gatto col cane (LC). E se ci fosse anche una pur minima intesa quanto dura? Una altro aforisma ci da la risposta: sono come la neve di marzo, infatti «nivi mazzaròra rura quantu a sòggira ca nora» o, rimarcando ancora «A nivi ri mazzu e aprili rura quantu me nora gentili». Un altro saggio consiglio dei nostri anziani taglia la testa al toro: Vo’ stari ‘n paci? Marìtati luntanu ri sòggiri e cugnati!

Spaccari u capillu n quattru
Dividere un capello in quattro: il non plus ultra del pignolo o del cavilloso.

Spara a ccu viri e ‘nsetta a ccu non viri
Lett. spara a chi vede ma colpisce chi non vede. Il tizio non è strabico ma sbaglia facilmente bersaglio od obiettivo, molte volte si incavola con chi non c’entra nulla. A meno che… non voglia parlare a nuora perché suocera intenda.

Spassu i fora e trìvuru 'n casza.
Fuori di casa è lo spasso degli amici ma dentro le mura domestiche diventa tribolazione dei familiari. Giusta osservazione sul comportamento di alcuni uomini (o donne) che fuori sono allegri/e e in casa parlano solo di guai, sempri mutunghi e ca fùngia.

Spìritu 'i patati
(lett. spirito di patate) detto con riferimento a chi fa dell'umorismo o del sarcasmo fuori luogo e che per quanti sforzi faccia non fa per niente ridere (Ma finìscira cu su spiritu 'i patati!).

Stari potta cu potta
Abitare vicinissimi, in due appartamenti limitrofi e, naturalmente, avere le stesse idee e inclinazioni.

Stendi u peri pi quantu teni
Fare il passo a misura della gamba, altra esortazione alla prudenza nel fare spese.

Stricari mussu mussu
Mettere ostentatamente a disposizione | Oh! Mi ra stricatu mussu mussu e i' non m'in dè dunatu mai.

Strurendu e migliorandu
E’ un augurio a consumare vestiti o scarpe e comprarne altri in vista di migliorare la propria posizione. "Struriri" (consumare) è uguale a "spaddari" che c'è nel vocabolario brontese (LC).

Stùiati u mussu!
Pulisciti il muso! Non cc’è cchiù nenti pa gatta! Per te è tutto finito!

Sunu guai e tacchi r'ògghju
(lett. sono guai e macchie d’olio, son problemi seri. Il non plus ultra delle sventure o della scalogna. La frase in genere si utilizza per suscitare un briciolo di compassione. Come a dire "non parlate a me di sventure o di difficoltà" perche io mi trovo già nella peggiore delle situazioni ed in mezzo a mille problemi: «'ndaiu guai e tacchi r'ògghju...!» (aL)

Sunu Rapìti cu Maniàci

Detto di persone sempre in lotta fra di loro. Gli abitanti di Rapiti o meglio della Rocca o Casale Rapiti che sorgeva fra Bolo e Maniace, furono nemici accaniti ed instancabili con quel­li di Maniace. Della Rocca – scriveva lo storico B. Radice un secolo fa - «non resta che qualche avanzo, il nome e il detto tradizionale che si ode spesso nella bocca dei Brontesi, quando si parla di due nemici irreconciliabili e feroci: Sono come Mania­ce e Rapiti. Ecco tutta una storia di delitti e di sangue!»
La Rocca di Rapiti continua a vivere nella tradizione dei bronte­si perché vista da Bronte assume un aspetto particolare: la sua cresta frastagliata si trasforma nella testa di un gigante adagiato sui monti, il cui profilo nella fantasia popolare asso­mi­glia a quello di Mussolini, tanto che ancor oggi dagli anziani è denominata «’A testa ’i Mussolini!». (aL)

Rocca di Rapiti, «'A testa 'i Mussolini»

Sutta a ccu sa ràriri
chi è di turno?, diceva il barbiere indicando la poltrona.

 

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