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Suscitano ancora curiosità reverenziale e religioso timore

Le Grotte dei Saraceni

Le “Grotte dei Saraceni” sono una delle tante tracce dell’esistenza di antichi popoli (probabilmente i Sicani) che abitavano le nostre contrade.

Sono ambienti scavati nella roccia, in una alta rupe di arenaria adiacente un’ansa del Fiume della Saracena, un affluente del Simeto che scorre a pochi chilometri della Strada statale 120 a pochi chilometri da Maniace.

Probabilmente sono di origine preistorica, usati in epoche diverse, ora per abitazioni ora per fini militari.

Gli arabi, e in particolare Allah Ibn Idris (1099 ca. – 1164) geografo e viaggiatore, le denominavano come Grotte della farina poiché nella zona esistevano numerosi mulini ad acqua e proprio nelle vicinanze, nel 1040, ebbe luogo, dopo una cruenta battaglia, la loro sconfitta ad opera del generale bizantino Giorgio Maniace.

Di queste grotte ecco cosa scrive Benedetto Radice nella sue Memorie Storiche di Bronte: «Notevoli sono pure le grotte di Maniaci, che il Cavallari chiama le grotte dei Giganti, e il popolo le grotte dei Saraceni. Di queste grotte, a un chilometro dall’Abazia, sulla riva destra del Simeto, il Cavallari ne aveva già dato notizia al Duca di Lugues e le credeva molto importanti.

«Anche l’Amari parla di queste grotte come di lavoro antichissimo. A queste e a quelle della Rocca Calanna accenna l'Holm: «grotte antichissime, scrive, egli, scavate dall'uomo trovansi tra Bronte e Maletto».

«Sono tre: Una a piè della rocca ha la forma di un corridoio, è alta due metri, larga un metro e mezzo.
La seconda, più in alto, è divisa in due stanze, con pilastri scavati intorno intorno; all'altezza di due metri vi sono scavate delle mensolette, ha forma quadrata ed è larga circa quattro metri quadrati; all'ingresso vedonsi altri due pilastri di pietra bianca.
La terza è in alto; ha forma quasi quadrata con tre aperture laterali a mezzogiorno; è lunga otto metri e larga sei.

«Più che tombe sono stanze di vivi: vedette ove forse nell'alto medio-evo dal VI al XII sec. abitava gente rusticana, dedita all’agricoltura o alla pastorizia, per la sicurezza delle campagne; specie di trogloditi dipendenti dagli antichi Siculi, di cui rimasero sempre dei nuclei semi-barbari. Il lavoro di escavazione ha somiglianza colle grotte del famoso castello di Sperlinga».



Le Grotte dei Giganti

di Salvo Nibali

La gente del luogo le conosce col nome di “Saracina” ma lo studioso brontese Be­nedetto Radice le chiamò le “Grotte dei Giganti” mentre El Idrisi, il geografo arabo vissuto durante il regno di re Ruggero, le aveva definite “Grotte della farina” per la presenza, nei pressi, di numerosi mulini ad acqua e identificate tout court col ben popolato villaggio di Maniace, “territorio ferace e abbon­dante di ogni maniera”.

Il roccione tufaceo in cui, come orbite cieche, si aprono si trova vicino Maniace, su una sponda del torrente Saraceno che più a valle lambisce l'antica abbazia bene­det­tina di Santa Maria, meglio conosciuta come Castello Nelson, e guarda alla terrazza naturale dei “Balzi”, le antichissime lave su cui nel passato scorreva la via di comunicazione più sfruttata per secoli per andare da Messina a Catania o per raggiungere, dalla costa ionica, Palermo.

Di cellette sepolcrali d'epoca genericamente definita pre-greca, tutta la zona da Bronte a Randazzo e fino alla montagna di Bolo, dalla Rocca Calanna a Fontana­murata al Margiogrande, è ricca: minime Pantaliche che non suscitano mai, tut­tavia, la curiosità reverenziale e il religioso timore che invece producono le “Grotte dei giganti” a Maniace.

Tre delle quattro cellette della “Saracina” si aprono sui fianchi del roccione mentre una quarta, sull'orlo del torrente, è piuttosto un corridoio con tracce di opera umana, un cunicolo che nasconde ancora qualche mistero, se è vero che andava a sboccare nella parte diametralmente opposta, e che viene regolarmente allagato dall'acqua.

Delle altre, la più vasta presenta un vano di circa 24 metri quadrati e pressappoco delle stesse dimensioni è anche un'altra, mentre la più bassa, sul fianco della collinetta, quasi inaccessibile, è sensibilmente più piccola e non presenta le mensole scavate nella roccia che hanno le altre due.

Alla luce anche degli scavi clandestini che negli ultimi anni hanno interessato la zona e considerato che una di esse presenta all'imboccatura un incastro tipico delle tombe castellucciane, si può forse dire che la piramide tufacea della “Sara­cina” ospitò in epoca preellenica un sepolcreto per pochi personaggi d'alto rango e che nei secoli successivi essa divenne la parte più avanzata, una sorta di torre di avvistamento, per il nucleo umano che in epoca greca intorno a questa fortezza naturale costruì poi un insediamento difeso da forti mura.

E' un'ípotesi che, in assenza dei necessari saggi archeologici, sorge spontanea esaminando i tratti di fortificazione in pietra lavica ben lavorata venuti alla luce qualche anno fa anche per l'erosione dei terreno, insieme a numerosi frammenti di manufatti ceramici, proprio a ridosso della collinetta calcarea delle Grotte.

Non è poi escluso che queste celle scavate nel tufo, dal IX al XII secolo, in pieno Medio Evo e dopo la liberazione dalla dominazione araba della Sicilia, siano state abitate da monaci ed eremiti in quel tempo molto diffusi in questo territorio.

Di una “grangia”, cioè di una dipendenza basiliana situata in questa zona, infatti, non si sono mai trovate tracce ma alcuni oggetti rinvenuti dai cosiddetti “tombaroli” proprio all'interno di una delle grotte di Maniace, fra cui un piccolo e bellissimo crocefisso in bronzo, fanno pensare anche ad una utilizzazione religiosa di queste cavità, come accadde d'altronde su scala più vasta, dai primi secoli dell'era cristiana in poi, per le chiesette rupestri del Siracusano. Ma sono ipotesi.

Ciò che è necessario, da tempo, è invece una seria ricognizione archeologica di questa zona, che fra l'altro, è una delle più belle della vallata anche dal punto di vista naturalistico.

Dalle “Grotte della Saracina” giù giù fino alle sponde dell'alto corso del Simeto, dove il buon Radice aveva individuato anche i mosaici di una villa romana, la vallata di Maniace è ricca di tesori sepolti. E di verità ancora da svelare.

 


 
Bronte, Grotte dei Saraceni

La rupe calcarea dove sono state scavate in epoca antichissima le tre grotte "dei Giganti" o "dei Saraceni" (una è indicata dalla freccia). Il fiume della Saracena che scorre ai piedi della rupe, scende  dai Ne­brodi (dal Lago Trearie, 1.420 m.) e pochi chilo­metri dopo, dopo aver lambito le mura del Castello Nelson sfocia nel Simeto.
In estate è facilmente guadabile. La grotta in alto (la terza, per il Ra­dice) è quella più grande.

Nella grotta più grande, quella po­sta nella parte alta della roc­ca, l'erosione degli agenti atmosferici ha in parte modifi­cato la origi­nale configurazione delle aperture laterali. Dalla rupe si domi­na l'ampia vallata di Maniace.



Il patrimonio archeologico

Esplorazioni e saggi di scavo archeologico

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Antichi insediamentiAltre testimonianze consimili

Altre testimonianze consimili alle Grotte dei Saraceni, sparse nel territo­rio di Bronte, sono le “cellette sepolcra­li”, per lo più piccole, «ove - scrive il Radice - i cadaveri mettevansi accoc­co­lati, colle mani distese sulle ginocchia. Esse hanno molta somiglianza colle cellette della necropoli rinvenuta a Pantalica, in quel di Siracusa ricche di suppellettile funebre, che attesta la civiltà dei Siculi del secondo periodo».

Le nostre di Bronte, più che ai Siculi si devono attribuire ai Sicani, primi rozzi abitatori della Sicilia.

Notevoli ed interessanti sono "i gruttitti" scavati nella Rocca Calanna e alla Contura, alla Primaria soprana, sotto la Colla, nella contrada Cisterna, a Fontanamurata, al Margiogrande, altre alla Placa Baiana e a Macchiafava.

A pochi chilometri dalle Grotte, quasi adiacenti alla SS. 120, in contrada Balze - Mangiasarde ai piedi di Maletto trovansi ulteriori tracce di antichi insediamenti: si intravedono facilmente una cinta muraria (che si snoda per quasi due Km.) e annessi ambienti in pietra a secco rettangolari e circolari. Si reputa che vanno dal VI - V secolo a.C., fino al periodo tardo romano (III -IV secolo dopo Cristo).

L'estensione delle rovine delle mura, la perfetta realizzazione del basamento e del rialzo fatto con grosse pietre laviche, la vicinanza di altri siti di interesse archeologico (Tartaraci, Grotte dei Saraceni, Santa Venera, ecc.) fanno di questo luogo un importante motivo di studio e di analisi della presenza del popolo siculo nella nostra zona.

«Il sito di contrada "Tartaraci",  - scrive G. M. Luca - nei Comuni di Bronte e Maletto, è indicato di interesse storico ed archeologico in quanto "sito di insediamenti abitativi e di necropoli di età greca e romana" e dalla constatazione di "frammenti ceramici e di altri manufatti visibili sul soprassuolo".»


 

     

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