le Origini di Bronte

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La tradizione farebbe intuire per Bronte un’esistenza antichissima

Bronte, nascita di un nuovo centro urbano

Una “nobiltà storica” possibile solo se si scava nelle nebbie della favola, ma storicamente improponibile

Appunti sull'origine di Bronte

di Gino Saitta

Anche al Fazello, l’autore con cui inizia indubbiamente la tradizione storiografica siciliana, Bronte appariva nel 1545 “moderno”[1], con buona pace di quanti vorrebbero fare attingere a Bronte maggiore nobiltà storica proprio ricercandone e individuandone la genesi nell’antichità.

Un’operazione questa possibile solo se si scava nelle nebbie della favola, ma storicamente improponibile.A parte il nome che si connette al mito del ciclope omonimo, figlio di Nettuno e di Anfitrite, null’altro soccorre infatti a fare ipotizzare per Bronte antiche origini o nobiltà straordinarie.

Eppure la tradizione farebbe intuire per Bronte un’esistenza antichissima, addirittura fin dal secolo VIII a. C., quando i Siculi, uomini di razza italica, tentando di sfuggire ai Greci, passarono lo stretto di Messina, servendosi di otri, e vennero a stabilirsi a Bronte dove si sarebbero dati prevalen­te­mente alla coltivazione dei campi[2].

Tale tradizione troverebbe altresì una sua giustificazione nelle tracce di villaggi rupestri rinvenute nelle grotte tra Maniace e Rocca Calanna, quest’ultima nel tavolato tra Bronte e Maletto[3].

Ma le tracce di tali villaggi, se ci fanno pensare ad abitatori primitivi, non ci illuminano né sulla consistenza di Bronte né sul sito originario di un abitato che, almeno sino al provvedimento di riunione ordinato, come vedremo, da Carlo V, fu uno dei tanti casali[4] presenti nella zona.

E non certo il più importante: già nel secolo XII, ad esempio, Maniace era indubbiamente di maggior pre­stigio che Bronte, stando a quanto scriveva il geografo arabo Edrisi, vissuto alla corte di re Ruggero: “Que­sto (Maniace), che si chiama altresì Gîrân-’ad-Daqîq (le grotte della farina) è villaggio in pianura, ben popolato, ed ha un mercato e dei mercatanti; (territorio) ferace ed abbondanza d’ogni maniera”[5].

Nè questo appare l’unico elemento distintivo della maggiore visibilità di Maniace rispetto a Bronte nel secolo dodicesimo: nel 1174 la regina Margherita, vedova di Guglielmo il Malo e reggente di Guglielmo II, vi fon­dava un monastero che faceva occupare dai Benedettini ai quali la regola del fondatore imponeva, tra l’altro, di istruire anche i secolari[6].

Tutto lascia supporre che la frequentazione con Maniace abbia fatto conoscere ed apprezzare ai Brontesi le scuole dell’Abbazia e soprattutto abbia fatto loro recepire in qualche modo l’influenza della comunità araba stabilitasi in quel luogo già nei primi anni del secolo XI, quando il primitivo nome, Simeto, era stato trasformato in quello arabo di Gîrân-’ad-Daqîq[7].

Tracce incontrovertibili di questa influenza si colgono nel gran numero di parole arabe presenti nel dialetto bron­tese:
ammàtula = invano, ammucciari = nascondere, annacari = cullare, balata = pietra levigata per lastricare le strade, babbaluci = chiocciola, babbu = babbeo, bàgghiu = cortile, bbunaca = giacca, bucali = caraffa, cafisu = misura da olio, caiordu = sporco, càlia = ceci abbrustoliti, cammisa = amicia, canziari = scansare, ddammusu = copertura a volta, frastuca = pistacchio, gèbbia = serbatoio per scorte d’acqua irrigua, rraccamari = ricamare , sàia = canale di trasporto idrico etc..

Nè questo fu un momento sporadico nei rapporti tra Bronte e Maniace: in Palermo era sorto nel 1431 il Nuovo e Grande Ospedale e s’imponevano, per una sua presenza efficace, rendite cospicue.

A tal proposito, al fine di venire incontro alle esigenze della fondazione, nel 1491, il pontefice Innocenzo VIII donava all’Ospedale le Abbazie di Maniace e di S. Filippo di Fragalà e provocava così l’ulteriore impo­verimento dei cittadini di Bronte i quali dai vasti territori di Maniace ricavavano per gran parte il loro sostentamento.

Intorno a Maniace vivevano altre realtà: il vescovo di Messina, Niccolò, in un Diploma del 1178, trascritto da Rocco Pirro nella sua Sicilia Sacra, ampliava, su richiesta della regina Margherita, fondatrice del Monastero, la dignità dell’abate di Maniace, rendendogli soggette molte chiese e località che venivano così tolte alla sua ordinaria giurisdizione:
«…praesenti privilegio ingerentes et partim nominatim subtitulantes Ecclesias, quae ipsi Abbati et successoribus ejus de munificentia sanctae Messanensis Eclesiae largiuntur: scilicet in Maniacio…Ecclesiam S. Leonis, et omnes Ecclesias quae sunt in eodem burgo; Ecclesiam S. Parasceven, et tam omnes Ecclesias, quae in eodem casali constructae permanent,quam omnes Ecclesias Casalis de Corvo, nostro Dominio pertinentes; et Ecclesias Rotuli sicut ad praesens constructae permanent…».

Vengono quindi nominati nel documento il borgo di S. Leone, i casali di S. Parasceve (S. Venera), Corvo e Rotolo; più defilato appare il casale di S. Maria delle Vigne.

In prosieguo di tempo, con Regi Decreti del 17 aprile e 14 agosto 1392 fu ordinato che “omnes concives et habitatores casalium Spanò, Canachi, S. Michaeli, Cattaini, Boli, S. Theodori, Chisarò, Sanctae Luciae, Maniachi et Brontis, conveniri debeant in nostra Curia, coram Capitanio, sive Iustitiario dictae terrae Randacii”, ossia che tutte queste popolazioni nelle loro cause criminali dovessero convenire innanzi al Capitano giustiziere della terra di Randazzo.

Altre realtà abitative quindi come S. Michele, lo stesso che Vito Amico nel suo Dizionario topografico della Sicilia chiama Placa Bajana, borgo adiacente a Bronte, Cattaino, Bolo e Spanò.

Il Casale Cattaino secondo il D’Amico era un casale di S. Lucia, ai confini quindi di Adernò: “Casale un tempo circa i confini di S. Lucia, appartenentesi a Giovanni di Manna ed agli eredi di lui sotto Federico III”(1296).

Per Benedetto Radice, che non contesta l’appartenenza primitiva ai Di Manna e poi nel censimento dei feudi ordi­nato da re Martino nel 1408, al barone del Cattaino don Nicolò Crisafi, “il Cattaino è sito invece nei confini tra Bolo e Troina; il nome può derivare dall’arabo Galat, castello, fortezza munita naturalmente; e il castello che sorge sulla roccia del Cattaino, parrebbe confermare questa etimologia.

In tempi antichissimi fu abitato dagli indigeni come testimoniano i sarcofagi costruiti con grandi lastre di pietra e mattoni, con dentro vasi funebri.

Nel 1501, su ordine del capitano di Randazzo, fu luogo di carcerazione per Antonino Spitaleri rure Brontis.

 
 


I ciclopi  Bronte, Sterope, Piracmon e Polifemo


Tracce di antichi insediamenti (adia­centi alla Ss 120, in contra­da Balze - Mangia­sar­de ai piedi di Maletto)

La chiesa di Santa Maria ed il chiostro
Cortile interno dell'Abbazia di Maniace

Il portale in pietra arena­ria del­la Chie­sa di Maria SS. Annun­ziata. Nei rilievi in bronzo della porta sono ripor­tati i nomi di tutte le contrade e dei 24 Casali che dal 1535 al 1548  si riu­nirono per ordine di Carlo V nel­l'an­tica Bronte

Il casale Spanò nei tempi antichi secondo il Plumari, autore nel 1847 di una ponderosa Storia di Randazzo, purtroppo ancora inedita, pare corrispondesse all’Alesa mediterranea, appunto nel così detto Castello di Spanò, in territorio di Randazzo: “sito intermedio a Centuripe e Immacara, oggi nomata Troina”.

Ma come nacque Alesa? E comunque si può identificare col casale Spanò?

Diodoro Siculo, parlando di Arconide, signore di Herbita, dice che, divenuto egli capo di una colonia di Erbitesi, si sia recato a fondare su di un colle 8 stadii distante dal mare la città di Alesa. Ma per distinguerla dalle altre città aventi lo stesso nome in Sicilia, è sempre Diodoro che parla, chiamò questa da lui fondata Alesa d’Arconide.

Non riteniamo sia possibile l’identificazione con Spanò, per l’estrema vicinanza dal mare di Alesa, 8 stadii (x mt. 174-184). E’ più probabile l’identificazione con Enatus, posta tra i casali Carcaci e Regalbuto e soggetta alla corte capitaniale di Randazzo.

Di tutti questi ultimi casali antichità maggiore pare avere il casale “Bolo” e non per le favole nate intorno a un re Bolo che lo avrebbe fondato, ma per un preciso documento fattoci conoscere dal Cusa il quale nei Diplomi della chiesa di Messina riferisce di un atto di vendita per 200 tarì di oro di alcuni poderi siti nel casale di Bolo stipulato nel 1139 tra il venditore Nicola da Troina e il compratore Notaio Costantino.

L’Abate Amico scrive di Bolo: “Casale un tempo del vescovo di Messina, di cui non rimane oggi giorno che la rocca nell’alto di una rupe, rimpetto a Bronte, e sotto l’Etna, quasi a Nord-Ovest”. Dovette godere di una qualche importanza se partecipò alla guerra del Vespro inviando contro i Francesi l’aiuto di sei arcieri e alcuni fanti.

Alla distanza di quasi 1 Km da Bronte sulla strada di Maletto è Borgo Nuovo. Nella piccola parte di tale territorio non coperto da lava sono state trovate ossa umane e stoviglie; indizi di antiche abitazioni (P. Gesualdo De Luca); continuando sulla strada dopo circa altro Km vi è una contrada detta Cisterna. Sepolcri di cadaveri rinvenuti in questo luogo fanno congetturare l’esistenza di un altro piccolo casale in tale sito.

Bronte in effetti crebbe dalle rovine di Maniace e dalla riunione dei borghi e dei casali (24 secondo le tradizioni patrie) che sino al sec. XV esistettero nelle adiacenze dell’uno e dell’altro e si aggredivano a vicenda.

Nel 1535 Carlo V veniva ricevuto “nell’isola di Sicilia pomposamente” come scrive nel 1591 Giuseppe Carnevale nella sua Historie et descrittione del Regno di Sicilia e… “doppo ‘haver visitato Trapano, Monreale, Palermo, Termini, Polizzi, Nicosia, Traina, Rendazo, Tauromina, San Placido e Messina, per terra in Napoli se ne venne…”.

Prima comunque di lasciare l’isola, nella sua breve permanenza in Randazzo, onde fare cessare i disordini ordinò che, abbandonate le proprie abitazioni, tutti si riunissero in Bronte come un solo popolo. Quali fossero comunque tali luoghi non sappiamo con sicurezza: non ce ne parla il Fazello, che pure era contemporaneo di Carlo V, né ce ne parlerà successivamente l’abate Vito Amico.

Sulla scorta di un Diploma che si conserverebbe nell’Archivio di Stato di Palermo, Mario Mandalari riferisce che in quell’occasione Carlo affidava inoltre alla giurisdizione del giustiziere di Randazzo “tuguria Brontis”[8]. Benedetto Radice, “uomo colto, di studi severi e di indipendente giudizio” (L. Sciascia), assicura che per quante ricerche abbia fatto non è riuscito a rintracciare tale documento citato dal Mandalari ma senza le necessarie indicazioni.

Può forse non esistere questo Diploma del quale peraltro il Mandalari non dà indicazioni sicure, e tuttavia appare fuor di dubbio che il 1535, anno del passaggio di Carlo V da Randazzo[9], sia anche l’anno nel quale lo stesso imperatore, onde evitare gli inevitabili conflitti d’interesse tra i vari casali della zona e anche per rispondere alle istanze di Randazzo, che poteva così più agevolmente esercitare il suo diritto di giusti­zierato per le cause criminali risalente alla metà del secolo XIV e confermato da Martino il Giovane nel 1392[10], ordinava la riunione in Bronte dei vari popoli circostanti e dava così origine al nucleo originario della città attuale.

Il 1535 è peraltro l’unico anno storicamente sicuro, come è evidenziato dalla datazione incisa su una campana della Chiesa dell’Annunziata che risulta così, forse, la Chiesa più antica della terra di Bronte[11] e, con ogni verosimi­glianza, malgrado il recentissimo discutibile restauro esterno, fra le meglio dotate di opere d’arte: valgano per tutte le due bellissime statue della Vergine e dell’Arcangelo Gabriele, opera dello scultore Antonio Gagini, consegnate in Bronte intorno al 1543.



Note:

[1] T. Fazello, Della Storia di Sicilia deche due, trad. di R. Fiorentino, Catania 1978 (rist. anast. Palermo 1817), Deca I, libro X, vol. I, p. 551: ”Da man sinistra del predetto chiostro(di Maniace), camminando per le radici del monte Etna, otto miglia lontano si trova il castel di Bronte, il quale è moderno”.

[2] Per l’epoca favolosa di Bronte, cfr. G. de Luca, Storia della città di Bronte, Milano 1883, pp. 15-84. Vd. pure sul tema, Radice, Memorie storiche di Bronte cit., p. 15 sgg.

[3] A. Holm, Storia della Sicilia nell’antichità, tr. it., I, Sala Bolognese 1974 (rist. anast. ed. Torino 1896-1901), p. 221: «...s’incon­trano grotte...tra Bronte e Maletto vicinissimo all’Etna».

[4] Per il significato di casale, vd. du Cange, Glossarium Mediae et infimae latinitatis, Graz 1954, (rist. anast. ed. 1883-1887), vol. II, p. 198, s. v. casale, dove è sottolineata la stessa significazione del termine in testi della seconda metà del secolo XII quali Ugo Falcando e in un documento religioso marsigliese del 1184.

[5] Edrisi, Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo, cap. VII, in M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, vol. I, Torino 1880.

[6] Sul tema vd. B. Radice, Il casale e l’abbazia di S. Maria di Maniace. Appunti storici, in “Archivio Storico Siciliano”, 33(1909), p. 43 sgg. Ma vd. su talune questioni controverse relative soprattutto al primo abate di Maniace, L. T. White, jr., For the Biography of William of Blois, in “English Historical Review”, 50 (1935), pp. 487-490 (dove si sostiene che Guglielmo di Blois è stato abate di Matina in Calabria e quindi solo per errore ritenuto abate di Maniace). La stessa tesi il White ha sostenuto non molto dopo in Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, tr. it., Catania 1984, pp. 222-227. Sul tema si vd. comunque, ultimamente, l’ottimo contributo di L. Gatto, L’Abbazia di Santa Maria di Maniace, ovvero storia di una difficile sopravvivenza, in Sicilia medievale, Roma 1992, pp. 224-241 e note alle pp. 344-347.

[7] A giudizio del Fazello (Della storia cit., Deca I, libro III, vol. I, p. 186) Simeto era il nome dato dai fondatori greci, secondo l’abitudine di assegnare alle città edificate sulle rive dei fiumi il nome del fiume stesso, a quello che dopo il 1040 sarebbe divenuto Maniace.

[8] M. Mandalari, Ricordi di Sicilia, II: Randazzo, Catania 1897, p. 31.

[9] Una dettagliata ricostruzione del passaggio di Carlo V da Randazzo in Mandalari, Randazzo cit., p. 22 sgg. Ma vd., ultimamente, sullo stesso argomento, S. Agati, Randazzo, una città medievale, Catania 1988, pp.49-50.

[10] Di questa conferma tuttavia non si trova traccia nei Registri della Cancelleria e del Protonotaro conservati all’Archivio Storico di Palermo; nè ho potuto rintracciare copia di essa in Spagna, nell’Archivio della Corona d’Aragona di Barcellona, dove ho rinvenuto parecchio materiale relativo a Catania nell’età aragonese. Un esame esaustivo del problema in B. Radice, Memorie storiche di Bronte, Adrano 1984 (rist. anast. ed. Bronte 1928), p. 145 sgg.

[11] Vd. la leggenda impressa sulla campana: Ave gratia plena. Antoninus Sagla mi fecit, MCCCCCXXXV.

   

«La leggenda narra che costrette le va­rie borgate a riunirsi in Bron­te, ogni capo di famiglia pian­tava il suo basto­ne ferrato sul luogo dove dove­va sorgere la sua casa: come il sol­dato romano pian­tava la sua lancia sul suolo che si appropriava. Ogni contadino, ogni pastore la­scia­ta la vanga e la zappa, preso il mar­tello e la cazzuola, costruì il suo tugurio; onde è vano cercarvi l’ar­te edilizia, se ne togli le case di po­chi ricchi, fabbricate solidal­mente.
Gli antichi cortili che ancora si ve­dono sparsi per l’abitato, accoglie­va­no, credo, parecchie famiglie uni­te da parentela, o venute dalla stes­sa borgata per essere più al si­cu­ro dai banditi che di quei tempi infe­sta­vano frequentemente la cam­pa­gna e il paese».

(B. Radice, Memorie storiche di Bronte, pag. 52)

Tombe in Contrada Cisterna, uno dei 24 Casali che nel 1535, per ordine di Carlo V, riunendosi costi­tui­rono Bronte. In merito a queste due tombe, lo storico B. Radice così scrive: «In quest'an­no 1926 al serro del­la Cisterna è sta­ta trovata una piccola necro­poli di circa 20 tombe, coperte di lastre di pietra bianca.

Il cadavere posa­va in terra. In una di esse è stata tro­vata un'an­fora giudicata di epoca clas­sica. Sono state scoperte pure due tom­be una accanto all'altra, a volta reale, senza alcuna suppel­lettile, e anche avanzi di abita­zio­ni» (Memo­rie sto­riche di Bronte).

Il Casale della Placa Bajana. Così si presentava alcuni anni fa la Chie­sa dedicata a San Michele del Casa­le di Placa Bajana, l'ultimo casale a riunirsi in Bronte. L'an­tico portale in pietra lavica era stato già "scip­pa­to" dai "soliti noti" una notte di al­cu­ni anni prima. Accan­to alla chiesa è il piccolo cimi­tero, dove fino al 1730 si seppellivano i cadaveri, come rilevasi dai registri della chiesa Madre di Bronte.


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