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'U pagghiaru

Architettura rurale

Un monolocale solido, semplice e unitario

L'esempio più primitivo di architettura rurale che si riscontra nelle campagne del versante nord-orientale dell’Etna (di Bronte, Maletto e Randazzo) è una tipica costruzione in muratura a secco di pietrame lavico con pseudo-cupola a forma conica (“u pagghiàru”), unico ingresso in genere di forma rettangolare sormontato da un architrave in pietra lavica disposto a coronamento dell'apertura per reggere la sovrastante parte di muratura.

La costruzione, presente con numerosi esemplari preva­lente­mente all'interno del Nord-ovest del Parco dell'Etna un tempo regno di mandriani e pecorai, è  una forma primitiva di edilizia agricola tipica della zona, semplice ma che utilizzava tecniche edilizie avanzate.

Serviva come rifugio per accogliere in caso di necessità una decina di persone ed aveva soprattutto la funzione di offrire al contadino o al pastore brontese che per motivi di lavoro erano costretti a spostarsi lontano dalle proprie abitazioni, un riparo diurno e, qualche volta, quando le circostanze lo richiedevano, anche notturno.

"U pagghiàru" ("il pagliaio", a Bronte, anche se impropria­mente, così è chiamata questa forma di trullo) fu il primo rifugio degli antichi abitanti di questo versante dell'Etna.

Ricorda le caratteristiche costruzioni circolari del mondo antico (i "tholos") e probabilmente è coevo alla grotta: nacque, infatti, prima dell’altra tipica costruzione etnea “a caszotta” ("la casetta" anch'essa monolocale, però a pianta rettan­golare, in muratura a secco realizzata con pietrame lavico e, a volte, con pietre cantonali grossolanamente squadrate).

“U pagghiaru”, così come il pugliese "trullo" od il sardo "nurago", è un tipo antichissimo di abitazione mediterranea di derivazione protostorica: nacque prima isolatamente e subito dopo, come unità abitativa del primitivo villaggio preistorico o protostorico.

I nostri progenitori, Sicani e Siculi, probabilmente iniziarono così la loro vita di relazione, cercando di copiare ciò che la natura aveva loro offerto con le naturali grotte. L’ubica­zione veniva scelta con cura in modo da assicurarne soprat­tutto la stabilità; in luogo naturalmente protetto dai venti, dalle intemperie e da eventuali inondazioni da piogge o straripamenti di torrenti e fiumi.
Inoltre, in genere, si aveva cura di realizzare la costruzione su banchi di lava affioranti per evitare il contatto diretto con la nuda terra. ospitare tutti i membri della famiglia, esso non perse mai la sua caratteristica di monolocale semplice e unitario.
 

Le due immagini sono state riprese sull'Etna all'interno della conca di Monte Chiuso nelle vicinanze della strada in basolato lavico per Piano dei Grilli. Quello a destra ha anche una particolare forma di sopraelevazione. In questa zona, l'uno vicino all'altro, esistono ancora numerosi "pagghiàri" con forme va­rie, costruiti, a secco, solo con pietre senza alcuna ombra di calce o di malta e per­fettamente conservati nono­stante i continui tremori e terremoti vulcanici. Qualcuno è ancora utiliz­zato come cantina.

 

Costruito in pietrame a secco, «'u pagghiàru 'n petra» si innalza quasi sempre su una pianta circolare, con una sola apertura di accesso ed è coronato da una copertura di pietre disposte a cerchi concentrici di diametro decrescente verso la sommità. Serviva, e serve in qualche caso ancora, come rifugio per accogliere in caso di necessità fino anche ad una decina di persone. Perse raramente la sua caratteristica di monolocale.
Costruito esclusivamente con materiale ricavato sul posto, si mimetizza perfettamente con l'ambiente circostante. Purtroppo, però, quasi tutti questi fab­bricati rurali, di grande interesse storico, culturale ed architet­tonico versa­no in una condizione di abbandono e di progressivo irrime­diabile degrado. Non è stata fatta nessuna politica di recupero o di valorizzazione. E questo anche se ricadono per la maggior parte nel territorio protetto del Parco dell'Etna.

 

Oggi queste rudimentali e primitive costruzioni, an­co­ra presenti in molti esemplari in mezzo ai boschi e alle scia­re dell’Etna, rappresentano una sin­golare specificità, un valore culturale, storico e paesag­gistico di notevole importanza.

Sono una tangibile testimonianza della nostra civiltà conta­dina, del nostro passato ma alcuni stanno per scomparire del tutto, altri malamente restaurati con l'utilizzo di cemento, porte e cancelli in ferro hanno perso l'impronte originale.
Di fatto, versano, purtroppo, in una con­di­zione di totale abbandono e di progressivo ine­sora­bile degrado. Manca del tutto un censi­mento di questi antichi manu­fatti rupestri, di questa antica architettura rurale che potrebbe anche portare all'indivi­dua­zio­ne di un interes­sante itinerario culturale-naturali­stico.

Nell'ottica di valorizzare il territorio ed il suo patrimonio rurale sarebbe infatti inte­ressante un percorso che portandoci indietro nei secoli ci faccia scoprire i segni lasciati dall'uomo sulla roccia sin dalla lontana preistoria come i palmenti rupestri, le tombe e le grotte, gli anfratti ed i ripari sotto roccia.

  

Queste costruzioni, tipico esempio di archi­tettura rurale primitiva, sono co­struite a secco con lastre di pietra lavica, senza uti­lizzo di alcuna malta cemen­tizia. A pianta quasi sempre circolare hanno una co­pertura che forma una sor­ta di cuspide conica, disposta a cerchi con­cen­trici di diametro decre­scente verso la sommità. Una tecnica  costruttiva, sem­plice ed ingegnosa, che sfruttando esclusi­va­mente la pietra del­l'Etna dello stesso luogo dove sorgono consentiva di erigere abitazioni che sfidano ancora il passare dei secoli perfettamente integrate nell'ambiente circostante. Quella a sinistra è ancora in buono stato e si trova quasi adia­cente alla strada statale 284 che da Bronte porta a Randazzo (Contrada Nave).
L'altro "pag­ghiàru 'n petra" (al centro) si trova nella periferia di Bronte, adiacente alla strada che scende dal quartiere di contrada Sciarotta. E' censita e protetta dalla Sovrinten­den­za, ma l'ignoto amministratore (o chi per esso) così ha concepito il recupero, la salvaguardia e la valoriz­zazione del prezioso manufatto.
Con un nuovo tetto "moderno" ed il riutilizzo di un piccolo cancello, l'altro "pagliaio" di contrada Nave (foto a destra) continua a svolgere egregiamente la sua funzione di accogliente riparo in caso di pioggia.
 

I primi due "pagghiari 'n petra" si trovano all'interno del Parco dell'Etna nelle vicinanze della pista altomontana. Il primo rifugio dalla copertura non perfettamente rotondeggiante ne ha, accanto, un'altro parzialmente crollato. Il secondo (visibile nei pressi del bivio Monte Lepre - Monte Egitto, a 1.602 m) ha una copertura "a ciappe" perfettamente conica, con larghi conci accuratamente selezionati perché possano incastrarsi l'uno con l'altro senza alcun utilizzo di malta.
Gli altri due sulla destra resistono ancora nella contrada "Rizzonito-Sara­ceno" a poche centinaia di metri della statale 284 Adrano-Bronte. L'ultimo delle quattro foto, è addirittura costruito su due piani. La contrada Rizzonito, un vero mare di sciara, è stata trasformata dai pazienti contadini brontesi in pistac­chieto; l'unica pianta che riesca a vivere in mezzo queste sterminate pietraie è infatti 'a frastucara.
 

Sempre sull'Etna, ai lati della Pista altomontana, nei pressi dei Monti Peloso e Sellato, è presente questo diverso tipo di abitazione rurale:

i pagliai, in questo caso, hanno una forma perfettamente conica, non sono costruiti con le pietre laviche ma con grossi e alti tronchi che si uniscono in cima ricoperti di arbusti e terra.



 

Architettura Nomade

La memoria nei rifugi circolari dei pastori siciliani

Un'arte prettamente nomade, una tecnica edilizia antica, bagaglio cul­turale di una società scomparsa.

Gli alti monti di Sicilia, là dove il vento sferza la terra per molti giorni all'anno; là dove le tenute agricole cedono il passo al pascolo di ovini e bovini; là dove all'uomo sedentario si sostituisce il nomadismo di pecorai e bovari; proprio in questi luoghi è possibile imbat­tersi in strane strutture dalla pianta circolare, imponenti nella loro mole, curiose per la loro forma.

Si tratta di rifugi temporanei edificati da pastori, utilizzati da essi spesso in casi di emer­genza: rapidi muta­menti del clima o eccessiva lontananza dalla propria abita­zione rurale sono i fattori condizionanti che hanno da sempre spinto questi uomini della terra a creare postazioni temporanee in luoghi strategici e ben studiati.

Si tratta di edifici innalzati per mezzo di una muratura del tutto a secco, i conci non sono ne squadrati, né sbozzati, ma accurata­mente selezionati perché possano incastrarsi l'uno con l'altro, al fine di formare una struttura relativamente solida.

Lo spessore delle mura varia da struttura a struttura, sebbene in generale superi i cm. 50, giungendo in alcuni casi anche a un metro.

Una singola apertura contraddistingue il corpo di fabbrica circolare: essa è quasi sempre bassa, non oltrepassando il metro di altezza. In alcuni casi, al di là del piccolo ingresso, si possono osser­vare altre aperture, le quali, qualora esistano, si prefigurano alla stregua di piccole finestrelle, ubicate in punti predefiniti, per non creare venefiche correnti d'aria all'interno del singolo vano.
Infine la copertura. Pur variando da edificio ad edificio, in quelle costruzioni ancora intatte si può osservare una copertura a "capanna", formata da piatti lastroni di pietra sovrapposti, che si auto reggono senza ausilio di malta cementizia. In alcuni casi alla struttura circolare è stato poggiato un tetto a tegole, sorretto da piccole travi lignee (in genere grossi rami parzialmente lavorati).

Come già detto, si tratta di costruzioni semplici, efficaci, innalzati comunque in una giornata di lavoro con ausilio di mani certa­mente esperte. Come facciano pastori e nomadi a conoscere tali tecniche edilizie così avanzate pur nella loro semplicità, è un mistero. L'unica spiegazione possibile risiede in quel sostrato culturale tramandato di generazione in generazione fin dalla notte dei tempi.

In effetti per quanto alcune di queste strutture non superi il seco­lo di vita, altre certamente sono ben più antiche e probabil­men­te ricalcano tipologie costruttive ancor più remote, la cui memoria storica è stata cancellata dalle nebbie del tempo.

D'altronde il passato della Sicilia è stato scritto da molti popoli, ognuno dei quali ha lasciato un frammento cospicuo della propria cultura. Chi può dire dunque se questi rifugi circolari risalgano all'epoca della dominazione greca, romana, bizantina, araba, normanna, aragonese, spagnola. Essi esistono sulla terra e nella mente di uomini solitari che hanno valicato e forse ancora valicano colline e montagne del tutto o in parte slegati dalla società contemporanea.

Incerto è il loro passato, segnato sembra il loro futuro: come si può preservare una cultura orale, legata ad una genera­zione umana destinata all'estinzione?
[Giuseppe Tropea, Gazzettino di Giarre, 13 Novembre 2004]

'A caszotta

A sinistra, “a caszotta” ("la casetta"): un monolocale a pianta rettangolare, realizzato con pietrame lavico sem­pre in muratura a secco e tetto con le tradizionali tegole curve (i coppi, localmente detti canari).

E' la tipica costru­zione rura­le delle campa­gne bron­tesi perfettamente integrata nell'ambiente circostante. Sulla mura­tura oltre che sopra la porta di ingresso in genere è sempre presente anche una finestra.
Il tetto, ad una sola falda o a capanna, ha un manto di copertura costituito da tegole e coppi in laterizio sostenute da un graticcio di canne che poggia su travi di legno.

Nella foto a destra, un altro esempio di antica architettura rurale: un "pagghiaru" in pietra arenaria dei mon­ti Nebrodi (questo è sulla strada che, dopo il bivio per Floresta, porta a S. Piero Patti (provinciale 121, a 1.200 slm.). E' denomi­nato "cùbburu" o  "tholos" e, come gli altri presenti nei d'intorni, è stato recen­te­mente re­staurato, catalogato e protetto da recinzione.
Ricorda le carat­teristi­che costruzioni circolari del mondo antico. Si contraddistingue oltre che per il materiale con cui è costruito anche per la struttura a cupola sferica e non conica.

Un progetto, realizzato nel 2012, che ha coinvolto i comuni di San Piero Patti, Montalbano Elicona, Raccuja e Floresta, ha restaurato 12 cubburi, valorizzando questi antichi manufatti, censendoli e segnalandoli con pannelli in un apposito percorso.

L'Antico Palmento rupestre

Questo pigiatoio per l'uva interamente scavato nella roccia è una vera testimonianza di archeologia vitivinicola e rupestre del territorio di Bronte. Evidentemente un tempo la zona della Colla era dedicata alla coltivazione della vite ed il rudimentale palmento permetteva la trasformazione dell'uva in mosto nello stesso posto.
Il palmento, dalla struttura semplice ma interessante, è realiz­zato in un blocco di pietra are­naria; formato essen­zialmente da due vasche, situate su piani diversi e collegate tra loro per mezzo di un foro (nella immagine in basso a sinistra indicato dalla freccia).

La vasca principale, più grande, scavata nella parte superiore della roccia, è il pigiatoio, quì era pigiata l'uva; quella più in basso posta a livello del terreno (quasi scomparsa) è il tino dove era raccolto il mosto.
Il liquido defluiva dalla vasca principale alla secondaria attra­ver­so il foro nel tramezzo che mette in comunicazione le due vasche.

Il suo uso risale alla preistoria. Gli antichi "palmenti" costruiti con tecniche diverse, in muratura, presenti in molte zone dell'Etna e che hanno già una storia millenaria, verranno dopo.
Il secolare rupestre manufatto lasciatoci dai nostri antenati è arrivato integro fino a noi solo per la sua fortunata disloca­zione: è stato realizzato, infatti, a poche centi­naia di metri dall'abitato di Bronte, ma sul Monte Colla che lo ha protetto dall'Etna. In questo luogo non sono mai arrivate le devastanti secolari eruzioni vulcaniche.

(Visualizza zona con Google Maps)

Antico palmento (Bronte, c.da Colla)
Antico palmento (Bronte, c.da Colla)


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