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Real Collegio Capizzi

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Pinacoteca Nunzio Sciavarrello

Bronte è diventata un punto di riferimento importante per la cultura e le arti figurative

Questa nuova e importante realtà del patrimonio storico culturale di Bronte è nata dopo un lungo e impegnativo cammino nel segno della progressiva rifunzio­naliz­zazione del Real Collegio Capizzi, la presti­giosa istituzione fondata da Ignazio Capizzi nel 1778, con l'obiettivo di «promuovere un'of­ferta culturale al passo con i tempi e in grado di parlare al cuore dei giovani per promuovere l'elevazione spirituale e la conoscenza della dimensione etica della persona umana».

E' sorta grazie all'intuizione ed al costante impegno del prof. Nunzio Scia­varrello illustre artista brontese (nella foto a destra dell'ottobre 2010, mentre sfoglia il catalogo il giorno dell'inaugu­ra­zione della Pinacoteca), che ha donato al Collegio la ricca e preziosa collezione di opere grafiche e pittoriche frutto della personale raccolta nel corso della sua attività professionale ed ha contribuito, con instancabile generosità e sollecitudine, al defini­tivo allestimento riponendo in esso i frutti del suo sapere e della sua esperien­za, dell’impegno artistico e sociale che hanno caratterizzato il percorso della sua vita.

Per dare degna ed organica allocazione alla raccolta delle opere sono stati ristrut­turati i locali del piano terra del Collegio, con accesso autonomo dalla via Card. De Luca, ed è stata costituita tra il Real Collegio Capizzi ed il Comune l’“Associazione Culturale di Studi, Formazione Ricerche e Servizi Nicola Spedalieri” che è il mezzo di gestione della Pinacoteca e della Biblioteca e di altre attività che sono in cantiere.

Il corposo nucleo di opere, raccolte e acquisite con dedizione e lungi­miranza da Sciavarrello e donate al Collegio con atto del 22 Marzo 2001, rappresen­ta un significativo exursus artistico dei maestri del 900 ed una preziosa testimonianza del panorama artistico siciliano e nazionale fra secondo e nono decennio del ‘900.

Sono, infatti, presenti, per citarne solo alcune, opere di Alessandro e Car­melo Abate, Sebastiano Formica, Rosario Frazzetto, M. M. Lazzaro, Concet­to Marchese, Sebastiano Milluzzo, Francesco Ranno, Elio Romano, Domenico Tudisco, Carla Accardi, Concetto Maugeri, Filippo Scroppo, Remo Brindisi, Ernesto Treccani, Gastone Breddo, Carlo Levi, Emilio Isgrò, Mirella Benti­voglio, Alberto Abate, Adriano Altamira, Marco Nereo Rotelli, Antonio e Tano Brancato, Franco Vaccari, Enzo Indaco e di molti altri pittori e scultori del panorama artistico siciliano.
Per Giuseppe Frazzetto trattasi di «un nucleo importante di opere che in pratica assegnano alla raccolta lo status di unicum, considerato che nes­sun’altra collezione esistente propone alla considerazione degli storici un repertorio analogo (qualche collezione sita nella zona occidentale dell’isola documenta l’attività artistica in Sicilia negli anni precedenti o negli anni successivi)».

Per doveroso omaggio e riconoscimento la Pinacoteca è stata intitolata a Nunzio Sciavarrello ed è stata ufficialmente aperta dome­nica 10 Ottobre 2010 alla presenza dello stesso Sciavarrello e di numerosi artisti ed autorità. Uno staff qualificato della Accademia di Belle Arti di Catania, ha contribuito ad orga­nizzare nei vari aspetti (archiviazione, catalo­gazio­ne, documen­tazione, comunica­zione, etc...) l’avvio della “Pina­coteca Nunzio Sciavar­rello”.

«Se la Pinacoteca – ha affermato il primo respon­sabile Avv. Enrico Ciraldo - saprà dare ai suoi visitatori, che ci auguriamo numerosi, la ricreazione dello spirito e dell'animo nella ammirazione del Bello avrà raggiunto il proprio scopo, appagando di tante attese e fatiche tutti coloro che hanno lavorato per raggiungere tale fine.»


La Pinacoteca Nunzio Sciavarrello

di Giuseppe Frazzetto

Un discorso sulla Pinacoteca Nunzio Sciavarrello del Reale Collegio Capizzi di Bronte implica inevitabilmente un riferimento al suo promo­tore, Nunzio Sciavarrello(1).

Beninteso, non intendo riproporre qui le analisi storiche e critiche della sua figura artistica che ho avuto modo di articolare in varie occasioni (ad esempio nel libro Solitari come nuvole e nella mostra e nel relativo catalogo La questione siciliana)(2).

È però opportuno notare come questa collezione sia da un lato con­trasse­gnata dalla singolare natura del suo determinarsi, e come dall’altro lato in essa sia riscontrabile un legame profondo con le motivazioni complessive dell’intellettuale e organizzatore di cultura Sciavarrello.

Comincerò spiegando perché ho scritto “singolare natura” del deter­minarsi della collezione. Ovviamente, le collezioni d’arte iniziano e si sviluppano per volere d’un privato oppure di un’istituzione; il privato di norma segue motivazioni appunto private, laddove le istituzioni dovrebbero agire in vista d’un interesse più astratto, impersonale.

In altri termini, il privato è quasi sempre un collezionista, più o meno compe­tente, più o meno benestante, più o meno illuminato; la sua collezione riflette il suo specifico gusto e/o la direzione culturale che ad un certo momento deve pur avere intrapreso consapevolmente.

Il collezionista può avere l’orientamento esclusivista, appassionato, talvolta fazioso che nel suo celebre libro Occhio critico Guido Ballo assegnava agli artisti: l’Occhio assolutista, capace di cogliere nelle opere congeniali il minimo e appena accennato fremito, e all’opposto del tutto freddo se non ottuso di fronte alle opere escluse dalla luce accecante di quell’interesse da fan.

Di conseguenza una raccolta da collezionista è spesso intensiva, e altret­tanto spesso è soggettiva, perfino umorale, riflettendo con grande somi­glianza la fisionomia culturale ed umana di colui che la mise insieme. D’altro canto, le raccolte organizzate dalle istituzioni hanno (o dovrebbero avere) un carattere più estensivo, focalizzandosi su finalità scientifiche e/o didattiche, perfino staccandosi dall’individualità dei curatori pro tempore.

Quanto appena ricordato è ovviamente assai generico: in non pochi casi il collezio­nista ha anche una lucidità da storico, in non pochi casi le collezioni pubbliche risultano casuali e disorganiche.

Tuttavia non è difficile cogliere la validità generale dell’argomentazione, almeno dal punto di vista per così dire statistico. Ora, bisogna notare che questa collezione (di cui non ricostruisco la vicen­da) non ha avuto quelle caratteristiche. Sciavarrello non si è mosso da collezionista: ancora oggi, la prima cosa che afferma, parlando della sua raccolta, è che la sua motiva­zione è stata documentaria.

Documentaria, quindi assimilabile a una collezione pubblica; tutta­via, sebbe­ne la sua attività si leghi inestricabilmente alla fondazione di un’Istitu­zione pubblica, l’Accademia di Belle Arti di Catania, Sciavarrello è pur sempre un privato.

Insomma, non bisogna chiedere alla raccolta Sciavarrello quello che eviden­temente non poteva avere, ad esempio “completezza”; d’altra parte, non ha nemmeno lo stigma spesso monotematico delle collezioni private.

In più, la raccolta rivela l’origine delle singole opere, non di rado donate o acquisite per una cifra simbolica sulla base di rapporti di stima, d’amicizia e perfino d’affetto (per cui a volte le opere sono quasi pagine di diario, veloci appunti a matita o a penna, o sono contrassegnate da dediche).

L’intento di Sciavarrello del resto risulta particolarmente chiaro là dove si consideri che uno dei nuclei di interesse della raccolta è la documen­tazione dell’attività arti­stica in Sicilia e in particolare nella zona etnea nel periodo che va dagli anni ‘30 agli anni ‘60.

Un nucleo importante di opere che in pratica assegnano alla raccol­ta lo status di unicum, considerato che nessun’altra collezione esistente propone alla considera­zione degli storici un repertorio analogo (qual­che collezione sita nella zona occi­dentale dell’isola documenta l’attività artistica in Sicilia negli anni precedenti o negli anni successivi).

Di là dalla considerazione critica é delle singole opere, il valore appunto di documentazione storica di quel corpus appare insosti­tuibile. Tuttavia la raccolta Sciavarrello non è soltanto una collezione di dipinti e sculture prodotti da artisti siciliani.

Al contrario, un gruppo ancora più numeroso di opere documenta, sia pure in termini sintetici e non esaustivi, la produzione di alcuni fra i protagonisti della ricerca artistica italiana della seconda metà del ‘900.

Un altro nucleo documenta alcune fra le tendenze emergenti nell’arte fra gli anni ‘70 e ‘80, con specifico risalto assegnato alla generazione nata negli anni ‘50. (Un discorso a parte andrebbe poi fatto per la corposa collezione di grafica, di provenienza in questo caso internazionale).

La collezione documenta alcuni aspetti del ‘900 italiano. Qui si presen­tano circa cento quaranta opere, selezionate fra le oltre trecentocin­quanta della raccolta completa (esclusa la grafica).

Parlarne pone l’opportunità di una riflessione complessiva; d’altra parte, sarebbe francamente incomprensibile non cogliere l’occasione offerta dalla collocazione definitiva della raccolta per rilanciare una campagna di nuove acquisizioni, con tempi e modalità di cui qui ovviamente non è il caso di discutere, ma che di certo potrebbe e dovrebbe orientarsi verso un’integra­zione dell’indagine sul recente passato, e verso un interesse per l’attualità e per la produzione dei giovani artisti.

Come si è detto, un gruppo di opere documenta l’attività degli artisti siciliani nati nei primi due decenni del ‘900, o poco prima (fra gli altri Alessandro e Carmelo Abate, Sebastiano Formica, Rosario Frazzetto, M. M. Lazzaro, Concetto Marchese, Sebastiano Milluz­zo, Francesco Ranno, Elio Romano, Eugenio Russo, Domenico Tudisco).

Pittori e scultori attivi in una fase delicatissima della vita culturale e sociale dell’isola: si tratta infatti dell’ultima stagione nella quale gli artisti siciliani non avvertono un distacco effettivo dal dibattito nazionale, interpretandosi non come testimoni d’una realtà provinciale ed emarginata, bensì come

La nozione di “rinnovamento” è anzi quella centrale, là dove si voglia comprendere il senso complessivo dell’attività di questi artisti porta­bandiera di un’efficace volontà di “rinnovamento”.

Un aggiornamento culturale ed esistenziale che significava da un lato con­sa­pevolezza dell’urgenza del Moderno, in ogni sua forma (non solo artistica, intendo), e dall’altro lato comportava l’acquisi­zione delle “novità” con una sorta di beneficio di inventario, per cui il susseguirsi degli “ismi” non veniva registrato come semplice dato a cui adeguarsi, e al contrario appariva punto di partenza su cui commisurare, rinnovare ed eventualmente modificare la propria identità artistica.

Tale tensione verso il Moderno può cogliersi quasi in ogni testimo­nianza, artistica e critica, dell’operato e delle intenzioni di questi artisti. E talvolta quella tensione veniva vissuta come rischio o come opportunità d’un distacco dall’opinione comune, e dunque come rivendicazione d’essere specialisti, portatori d’un vessillo ancora misconosciuto ma vincente.
Un esempio. Così recita uno scritto di Lazzaro, del ‘32: “La nostra mostra [...] ha avuto il mandato di far cono­scere alla cittadinanza catanese il Martirologio, vita passione peccati e miracoli degli artisti catanesi.

Dopo la Mostra Sindacale di Palermo, il nostro sforzo è stato vagliato da tutta la stampa della Penisola, auspice il ‘Popolo di Sicilia’ nonché la cortesia del direttore della Galleria Arbiter, si è voluto mostrare in blocco, come non si vedeva da parecchi anni, tutto il fiore della Passione catanese, [...] cinquantasei opere di ben quindici artisti tutti distinti e separati. Proprio tutti distinti e separati anche quando il grosso del pubblico classifica in blocco due intere pareti, dal primo al diciassettesimo pezzo, come prodotto di una scuola o tendenza di ‘Novecento’, insomma solo, matematico, indiscutibile e certo come la morte”.

Dopo aver esaminato alcune fra le opere presentate Lazzaro passa alle opere ‘novecentiste’, fra cui le proprie: “Del Lazzaro, naturalmente, ci piace tutto checché ne pensi tanta gente che abbiamo udita.

Solamente teniamo a dichiarare che le male parole che riguardano lui e i suoi amici modernisti lasciano il tempo che trovano, e sono destinate a percor­rere, in effettivo, quei quindici o venti centimetri che distanziano in linea retta gli orecchi di ognuno: dal sinistro al destro e viceversa. Alla gente, si sa, non piacciono mai gli artisti modernisti, a qualsiasi secolo appartengano, solo perché li tocca, li vede e possibilmente ci gioca a biliardo”(3).

Il tema della ‘incomprensione’, ovvio risultato dell’intento rinno­vatore degli artisti, riecheggiava del resto in molte riflessioni del­l’epoca. Incomprensione, in primo luogo, fra gli artisti e quelli che avrebbero dovuto essere i loro naturali interlocutori, i letterati.
Da questo punto di vista, il caso isolano è esemplare, come esplicita manifestazione di una costante che ha caratteriz­zato la situazione della cultura italiana dai primi del ‘900 fino ad oggi, ovvero la scarsa collaborazione se non la reciproca diffidenza fra il sistema dell’arte e il sistema della letteratura.

Questi artisti affrontarono il travaglio d’un passaggio epocale, durante cui si consumò la transizione fra due modi radicalmente diversi e forse opposti d’intendere e di realizzare l’arte.

 



 

Pinacoteca N. Sciavarrello (Bronte)
Pinacoteca N. Sciavarrello (Bronte)

La Pinacoteca Nunzio Sciavarrello è aperta tutti i giorni (escluso il lunedì) dalle ore 8.30 alle 13.30 e dalle 15.30 alle 18.30. E' stata inaugurata alla presenza del Maestro Sciavarrello nel mese di ottobre 2010. Annamaria Dimino, moglie di Nunzio Sciavarrello ha tagliato il nastro inaugurale.


 

Prof. Nunzio Sciavarrello

Nunzio Sciavarrello«Sono trascorsi più di dieci anni da quan­do, con il consenso del compian­to rettore Giuseppe Calanna e del­l’attuale rettore don Giuseppe Zingale, l’Ente Morale Real Collegio Capizzi accettò la mia offerta, d’accordo con i miei familiari, del patrimonio di cui dispone­vamo, per far sorgere una Pinacoteca d’arte italiana del ‘900 nell’ambito della storica istitu­zione che per secoli ha dato lustro a Bronte.

Le premure del Collegio furono im­me­diata­mente poste in atto e l’ammini­strazione dispo­se gli atti necessari per ordi­nare l’intero piano terra, affinché tale inten­dimento si verifi­casse, attuando anche un indi­spensabile centro di restauro per le esigenze della pinacoteca, di enti e di istituzioni varie (delle chiese della Sicilia in modo particolare).

Nonostante le remore e le lungaggini burocra­tiche, final­men­te oggi apre la Pinacoteca, e presto, ci auguriamo, il resto. La Pinacoteca nasce con il patrimonio donato dallo scrivente e dalla fami­glia Sciavar­rello, nelle persone di Annamaria Dimino in Sciavar­rello, Patri­zia e Teo Raciti, Clelia e Duilio Adamo, Andrea e Clemen­tina Lo Nigro, An­na Sciavarrello.

Per l’attuazione della pinacoteca ho avuto la valida collabo­ra­zione dei miei amici pittori Nunzio Urzì e il compianto Giuseppe Finoc­chiaro D’Inessa, ai quali esprimo la mia gratitudine.

Questa pinacoteca è da considerarsi la prima parte della dona­zione. Un altro settore dedicato all’arte in Sicilia, già in possesso del Col­le­gio, sarà sistemato negli spazi che l’am­mi­ni­strazione del Collegio re­puterà oppor­tuni, affinché tutta la sede della storica istitu­zione diven­ga un grande centro d’arte, collegato alla storica biblio­teca, al grande auditorium e alla prezio­sa chiesa.

Intanto, finalmente, per quanto concerne l’arte, apre la pinaco­teca, con l’auspicio di un’acco­glienza benevola dei concittadini, che hanno tutti i crismi della cul­tura.

Siamo ben onorati, perché molti figli illustri hanno contribuito a dare pre­stigio a questo centro. Auguriamo che questo avvio possa essere di auspicio per incre­mentare il futuro della nostra Bronte.»

Nunzio Sciavarrello

Opere di N. Siavarrello esposte nella Pinacoteca

Opere di Nunzio Sciavarrello esposte nella Pinacoteca che porta il suo nome: Volo sul mare (1990), L'arco della pace (2002), Il mare (1992); nella foto sotto un momento della inaugurazione del dicembre 2007.


 

Aprile 1990

L'offerta di opere di grafica internazionale, dipinti e sculture per far sorgere la Pinacoteca di Bronte


Ill.mo Sac. Don Giuseppe Calanna
Rettore del Real Collegio Capizzi, Bronte

In varie occasioni, durante le conversazioni intercorse per favorire la rinnovata attività culturale del Real Collegio Ca­pizzi, dalla S. V. retto con squisita sensibilità a favore del­la comunità brontese, lo scrivente ha manifestato il suo intendimento di far confluire, dietro le decisioni del Consi­glio di Amministrazione dell'Istituto per la cultura e l'arte di Cata­nia un congruo numero di opere grafiche internazio­nali della raccolta dell'ICA con altre opere grafiche signifi­cative realizzate nell'arco di un cinquan­tennio dallo scri­vente e ancora di altre opere (dipinti, sculture e disegni) comprese quelle ispirate alla "Libertà", e ciò per favorire la istitu­zione in seno al glorioso Collegio di una galleria d'arte pubblica denominata "Pinacoteca di Bronte", dove oltre alle opere predette dovranno trovare po­sto i dipinti più qualificati di proprietà del Collegio medesimo.

Certo di fare cosa gradita al Collegio e alla comunità bron­tese, in attesa di riscontro la prego di gradire devoti ossequi.

Nunzio Sciavarrello
20 aprile 1990

Salvacondotto, durante quel difficile e rischioso transito, fu per alcuni l’idea dell’oltranza linguistica, prima futurista poi novecentista; per altri fu la rielaborazione d’un modernismo “spiritualizzato”, spesso consen­taneo ai modi del Liberty; per altri (soprattutto per gli scultori) fu la nozione d’un “classicismo moderno” che riuscisse a saldare in unità la maestria del fare e l’inquietudine dei tempi nuovi.

A tutti fu comune un disagio e un disincanto, che per qualcuno diven­nero amaro rinserrarsi nella dignità della propria cifra stilistica, mentre per altri si sublimarono in fervore didattico e organizzativo.

Del resto, è il caso di ricordare che se l’inizio degli anni ‘30 vide apparire alla ribalta il palermitano “Gruppo dei Quattro” (Guttuso, Pasqualino Noto, Franchina, Barbera), caso esemplare del colloquio fra attitudini culturali di origine locale e istanze di respiro europeo, viceversa alla fine degli anni ‘30 o subito dopo la Seconda Guerra Mondiale molti giovani protagonisti della cultura artistica isolana decisero di emigrare.

E la presenza rilevante degli “emigrati” nell’ambito della cultura artistica nazionale è uno degli elementi specifici di quella che altrove ho definito “la questione siciliana”. La vicenda del Moderno nell’isola va contestualiz­zata nell’ambito d’un discorso più ampio.

Dato il carattere composito della collezione, che propone documenti artistici contrassegnati anche dalla compresenza di (e/o dalla dialettica fra) globale e locale, ovvero di “stile interna­zionale” e di sviluppi regio­nali, si dovranno ricordare alcune peculiarità del Moderno, consi­derato sia nelle sue motivazioni e nei suoi esiti “alti” che nelle sue dislocazioni diffuse, inavvertite, perfino di secondo grado.

In particolare, non poche testimonianze qui proposte (ad esempio quelle di Carla Accardi, Concetto Maugeri, Filippo Scroppo, da un lato; Remo Brindisi, Ernesto Treccani, Gastone Breddo, Carlo Levi dall’altro) richiedono una riflessione sul tema, così presente (così ossessivo, per essere precisi) nel dibattito artistico italiano, dell’alternativa fra astratto e figurativo.

Per quanto concerne il ‘900 italiano, le origini di tale dibattito possono cogliersi già nella pulsione macchinica del Futurismo, e dell’avanguardia “sommersa” fra le due guerre; ma è nel dopoguerra che la questione si pone all’ordine del giorno, implicando anatemi, rotture, fraintendimenti.

La polemica fra “astratto” e “figurativo” è la manifestazione del contra­sto fra una concezione dell’arte come correlato narrativo d’una “realtà” che si suppone conoscibile agli occhi ed alla mente del pittore (oppure: alla sua ideologia), e una diversa idea dell’arte, che sospende o revoca il giudizio di conoscibilità dell’esterno, concentrandosi piuttosto sulla considerazione del proprio modularsi, e scommettendo talvolta sulla connessione o identità fra quel modularsi delle forme/colori e un ipotetico affiorare della “autenticità” del Singolo, giusta la vulgata esistenzialista.

Ma ci si può chiedere se, pur essendo non più pensate come segnale d’un individuo, d’un oggetto o di una storia, le “forme” possano (o debbano) conservare un legame col visibile.

E qualcuno ipotizza che sia impossibile immaginare forme che non ne siano derivate.

Lucia, di Rosario Frazzetto (1970, bronzo)
Lucia, di Rosario Frazzetto (1970, bronzo)

Elio Romano, Autoritratto con la moglie, 1980
Elio Romano, Autoritratto con la moglie, 1980

D’altra parte, si può decidere d’abolire il racconto; ma allora, a cosa si do­vrà affidare il Singolo, per manifestarsi? Dovrà azzerarsi, muoven­dosi verso un’arte oggettiva, che è quanto dire “disumana”?

La soggettività dovrà scomparire, dato che le forme, nella loro carte­siana ed astratta chiarezza o nel loro sconfinamento simpatetico, rivelano lo strutturarsi d’un più alto, immateriale piano dell’esistenza? Oppure all’emozione dovrà sostituirsi la mera percezione?

Beninteso, si tratta di tematiche che attraversano l’intero percorso dell’arte dalla fine dell’800, e che so stanziano prima il Simbolismo, poi l’Avanguardia Storica, poi l’apparente ripiegamento del cosiddetto “Ritorno all’ordine”; tematiche che nel Dopoguerra italiano vengono tuttavia riprese con speci­fiche tonalità (ad esempio esplicitamente ideologiche, oppure di impostazio­ne cattolica).

Non a caso, la koinè informale italiana si configura con movenze assai diverse rispetto a quella francese e più in generale a quella europea.

Nel passaggio fra gli anni ‘50 e i ‘60 si osserva una ulteriore vaporiz­zazione delle poetiche e degli stili.

La nuova cesura è legata all’avvento della società “dei consumi”; e il linguaggio più comune tende a diventare il Pop, sedotto dall’artificialità mediatica (ascendenze Pop possono cogliersi anche in molti protagonisti di quella che si chiamò “Nuova Figurazione”).

Allo stesso tempo si registra il diffondersi di esperienze oggettuali e proto­con­cettuali. In questione è talvolta la stessa nozione di opera, “aperta” e/o destrutturata da tattiche intertestuali e infratestuali di relativizzazione mentalizzata dei linguaggi.

È in certo senso una risposta al primo apparire del Nuovo Mondo Este­tico, che continuamente consuma e rianima parole e immagini, sfiorando l’entro­pia dell’assenza di senso per eccesso di senso. I linguaggi sem­pre più spesso appaiono rovine d’una costruzione che forse in origine fu razionale e comunicativa, ma che è ormai inabitabile per l’uso reiterato e maldestro.

Se l'indagine del nesso significan­te/significato (o significante/signifi­cante) si confronta col campo dell'artificiale, del mediale, del simulato, altre espe­rienze fanno i conti col rapporto critico fra Singolo e Collettivo.

La prassi analitica, esplicitamente mentalizzata, attraversa gli anni dalla metà dei '60 alla fine dei '70. La scommessa analitica muove dal credito assegnato all'idea d'un soggetto saldamente legato ad un progetto forte, tanto forte da sopportare perfino la propria sostanziale eclisse.

E l'indagine metalinguistica ha per oggetto talvolta anche la pittura, della quale si rimettono in gioco le articolazioni primarie, destruttu­rando il rappor­to fra stesura superficie, cromatismo e segnicità, quasi per verificare se e come pittura possa ancora farsi. Quella fase sembra concludersi negli anni '80.

E un altro gruppo di opere della raccolta (ad esempio quelle di artisti diseguali per intenti e per gene­razione, come Emilio Isgrò, Mirella Ben­tivoglio, Alberto Abate, Adriano Altamira, Marco Nereo Rotelli, Antonio e Tano Brancato, Franco Vaccari, Enzo Indaco), acquisite durante quel decennio, propongono un'ulteriore riflessione storico-critica.

Gli anni '80 appaiono una fase decisiva di snodo: se da un lato in essi sembra concludersi e allo stesso tempo estremizzarsi il percorso iniziato negli anni '60, nella moltiplicazione di istanze di poetica e di prassi (dal Pop alla costellazione molteplice della Neoavanguardia, senza dimen­ticare la pre­senza della pittura), dall'altro gli anni '80 ci appaiono come la fase aurorale di un confronto col Nuovo Mondo Estetico, ultratecno­logico e affollato di quelle che Flusser definiva "tecnoimmagini" (technischen Bilder).

Già dalla fine degli anni '70 emerge una questione, ancora attuale, che per qualche tempo fu indicata con l'ambiguo termine “postmoderno”.

Qui risulta chiarificatore il riferimento a qualche argomentazione d'un autore che qualcuno fraintende come apologeta del postmoderno, laddove tentava d'essere un estremo e forse disperato difensore del Moderno.

Lyotard notava che nello iato moderno/postmoderno in arte era in questio­ne uno specifico rapporto fra la “presentazione” e ciò che viene “presen­tato”: “l'estetica moderna [...] permette che l'impresen­tabile sia messo avanti solo come un contenuto assente, ma la forma conti­nua a offrire al lettore o allo spettatore, grazie alla sua consistenza riconosci­bile, motivo di consolazione e di piacere”; viceversa “il postmo­derno sarebbe ciò che nel moderno mette avanti l’impresentabile nella presen­tazione stessa; ciò che si sottrae alla consolazione delle buone forme, al consenso di un gusto che permetterebbe di provare in comu­ne la nostalgia dell’impossibile; ciò che cerca presentazioni nuove, non per goderne ma per far meglio sentire che c’e dell’impresentabile”(4).


 
Spiaggia, di Giovanni Alicò
Un uomo, di Remo Brindisi

Il maestro e la modella, di Salvatore Fiume

Il maestro e la modella, di Salvatore Fiume (1985). A sinistra, Spiaggia, di Giovanni Alicò (1938) e Un uomo, di Remo Brindisi (1984)

Suonatore di violino, di Alessandro AbateIl cappello di paglia, di Sebastiano MilluzzoPaesaggio, di Gastone Breddo

Suonatore di violino, di Alessandro Abate (1927); Il cappello di paglia, di Sebastiano Milluzzo (1999); Paesaggio, di Gastone Breddo (2005)

Maternità, di Ernesto TreccaniPanico, di Francesco RannoE così ho cercato di fare debordare il fumo dal comignolo, di Tano Brancato

Maternità, di Ernesto Treccani (1980); Panico, di Francesco Ranno (1946) e E così ho cercato di fare debordare il fumo dal comignolo, di Tano Brancato (2005)

Ritratto, di Carlo LeviAutoritratto di M. M. Lazzaro

Ritratto, di Carlo Levi (senza data)

Autoritratto, di M. M. Lazzaro (1934)

L'arciere, di Rosario Frazzetto (1949)

Capra che allatta, di Concetto Marchesi

Aci e Galatea, di A. Portale (part.)

Figura femminile e Capra che allatta, di Concetto Marchesi (1983)

Fiori secchi, di G. Fichera (1948)Figura, di Emilio Greco (1984)

A destra
Interno a via Ripetta, tempera di Concetto Maugeri (1951) e
Mare, pastello e olio di Vincenzo Indaco (1980)

Interno a via Ripetta, tempera di Concetto MaugeriMare, pastello e olio di Vincenzo Indaco

 

Quel brano riproponeva in fondo una notazione di Benjamin (in Il dramma barocco tedesco): problema essenziale della “modernità” è la “rappresen­tazione”, anche o soprattutto perché il Singolo stenta a “fare esperienza” di se stesso e del mondo.

Di conseguenza l’arte sembra doversi orientare verso il riconosci­mento della negazione, dell’as­senza, manifestandosi nelle forme “tragiche” a cui alludeva Benjamin. In altri termini, un esito della Modernità, in arte, è la messa in questione della possibilità di confrontarsi con la “realtà”, distin­guendo reale da simulato, possibile da esistente, e avvicinandosi dunque all’“ideale barocco del sapere, l’immagazzinaggio”(5).

La soggettività estetica sembra allora tentare altre vie, ancora più tortuose e improbabili, accet­tando il proprio essere decentrata e dispersa e/o presentificando l’assenza, sia che ne accetti l’ineliminabilità, sia che la esorcizzi col sovrabbondante, con la citazione, con la ripetizione diffe­rente; e l’inestinguibile contrasto fra il Singolo e l’esterno (emblematizzato in quegli anni dal ritorno di interesse per la nozione di Sublime) appare l’ambito ambivalente di un “non luogo a procedere”(6). Gli anni ‘80, quindi.

Secondo non pochi interpreti, si tratta degli anni in cui in effetti si conclude il ‘900. Il secolo breve. Tuttavia si potrebbe proporre un’argomentazione opposta. Il ‘900: ne siamo usciti? In termini meramente cronologici non c’è dubbio.

Ma si mostrano elementi diversi, sopravvivenze e anticipazioni. Se si dovesse allora accennare a qualche linea di tendenza che gli sviluppi ulteriori della collezione potrebbero o dovrebbero fare propri, senz’altro si dovrebbe indicare l’opportunità di mantenere il suo carattere variegato e documentario, in un’apertura spregiudicata alle nuove opzioni connesse a quello che chiamo il “terzo stato dell’arte”, al ritorno della soggettività o al suo ipotetico oltrepassamento, nonché al proporsi di nuove tecniche e di tecniche ormai consolidate (e penso alle prassi fotografiche e video) che tuttavia attraversano una feconda fase di verifica.
Giuseppe Frazzetto

[tratto dal Catalogo della Pinacoteca Nunzio Sciavarrello - Bronte]



NOTE

1) Nunzio Sciavarrello (Bronte 1918) nel ‘32 si trasferisce a Roma per proseguire gli studi iniziati presso la scuola comunale di disegno della città natale. A partire dal ’43 racconta i “disastri della guerra” in una serie di incisioni.
Nel ‘46 si trasferisce a Catania dove si segnala come attivissimo organizzatore culturale. È fondatore, con Lazzaro, Giuffrida, Ranno dell’Istituto Statale d’Arte (1950); quindi dà impulso determinante alla fondazione del Liceo Artistico (1964) e nel 1967 all’Accademia di Belle Arti di cui per molti anni sarà Direttore.
Nel ‘75 è premiato dalla Presidenza della Repubblica quale benemerito della cultura. All’attività di pittore e incisore si affian­ca quella di scenografo e costumista. Numerose le “personali” e le parteci­pazioni alle più importanti mostre nazionali e internazionali. È presente alla 25° e 26° Biennale, e alla VI, VII, VIII e IX Quadriennale.

 
Mons. Carmelo Patanè, di A. Brancato. Sullo sfondo il cortile racchiuso dai corridoi della Pinacoteca

Mons. Carmelo Patanè, di A. Brancato e, a destra, Antonio Corsaro di Guglielmo Volpe(1984)

Sileno, gesso di Domenico Tudisco (1983)
Sileno
, gesso di Domenico Tudisco (1983)

2) Mi sia consentito ricordare alcuni miei saggi dedicati alla storia dell’arte in Sicilia: Arte a Catania 1921-1950, Pellicanolibri, Catania 1984; Elio Romano, Mazzotta, Milano 1986; Solitari come nuvole. Arte e artisti in Sicilia nel ‘900, Giuseppe Maimone Editore, Catania 1988; La danza e la conchiglia, in AA.VV.; Emilio Greco. Catalogo generale dell’opera incisoria, Il Cigno Galileo Galilei, Roma 1994; La questione siciliana, Giuseppe Maimone Editore, Catania 1997; Tracce di una storia naturale, in AA.VV., Museum, Artecontemporanea, Bagheria 1997; L’affare Guttuso. Appunti per una fenomenologia dell’emigrazione intellettuale, in AA.VV.; Renato Guttuso. Gli anni della formazione 1925-1940, Silvana Editoriale, Milano 2001; Accanto all’origine. Attualità del Gruppo di Scicli, in AA.VV., Il Gruppo di Scicli, Silvana editoriale, Milano 2004; Lo scirocco e l’Etna, Maimone Editore, Catania 2005; Il gioco dei contrasti, in Le ferite dell’essere. Solitudine e meditazione nell’arte siciliana degli anni Trenta, Ed. Amici della pittura siciliana dell’Ottocento, Agrigento 2006; Il Gruppo di Scicli, Ed. Amici della pittura siciliana dell’Ottocento, Agrigento 2008.

3) M. M. Lazzaro, La mostra d’arte alla Galleria Arbiter, in “Il popolo di Sicilia”, 8 Aprile 1932, p.3. Qualche refuso dell’originale qui è stato corretto.

4) Jean-François Lyotard, Il postmoderno spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano 1987, p. 23.

5) Walter Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Einaudi,Torino 1971, p.195.

6) Ho proposto la nozione di “non luogo a procedere” in L’implosione postcontemporanea. L’arte all’epoca del Web globale, Città Aperta, Troina 2002. Sulla situazione tardo-moderna dell’immagine fra arte e sviluppo dei nuovi media, utili suggestioni vengono ad esempio da V Flusser, La cultura dei media, Bruno Mondadori, Milano 2004.
 

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