«Venerdì siete passato da Bronte. Il nostro Sindaco da un'ora e più
aveva bloccato la via principale del paese ed era inutile sperare che
vi lasciasse proseguire. Vostro malgrado, siete stato costretto a fare
una piccola sosta. I muri cittadini, per ordine del nostro Sindaco
sono stati tappezzati, inneggianti osanna a « S. E. il Presidente Alessi». É furbo il nostro Sindaco; sa che da tempo l'Eccellenzato é stato
abolito, ma, bontà divina, lui è sempre della teoria, di Vittorio
Emanuele II° di trapassata memoria: Un sigaro ed una croce di
cavaliere non si rifiutano mai. Figuratevi se si possa rinunciare a
quel piccolo vellicamento alla vanità umana, dato dall'Eccellenzato, e
che anche Nenni e Togliatti, i sanculotti della riforma, siamo certi,
si faranno attribuire fra le quattro mura del loro gabinetto. Passi dunque per l’Eccellenza.
Anche noi, Eccellenza, vi salutiamo, ma vi preghiamo di essere più
sincero e meno retorico. L'appunto che facciamo a voi è l'appunto che
si può fare a tutta la politica italiana, a tutti gli uomini politici
di oggi. Tutti ragionano ed operano, come avete operato voi, Avv. Alessi!
Non dite, non dite che Bronte è la zona sismica delle vostre
preoccupazioni di governo, perché noi sappiamo che Bronte non era
neppure compreso nel vostro programma escursionistico.
Se vi siete
fermato, la colpa fu del nostro Sindaco che chiese un tangibile pegno
alla comunanza della vostra fede di partito e vi fornì l'occasione per
regalmente farvi elargire dei sussidi al Collegio Maria ed altri pii
istituti. Ma se voi, avv. Alessi, nostro beneamato Presidente, viaggiate con sì
ricco stuolo di macchine al seguito, con due autocarri della Celere
alle vostre calcagna, per proteggere la vostra presidenziale maestà e
tanti carabinieri, scaglionati lungo il percorso, non possiamo fare a
meno dal ricordare altri viaggi, altre cerimonie, altre coreografie.
E poichè tutti i salmi finiscono in gloria, ed i vostri salmi non son
diversi da quelli che s'usavano prima del 1943, la conseguenza è unica
del pari, e noi lo sappiamo e tutti lo sanno: mai potremo sperare un
bene qualsiasi dai nostri uomini che promettono dalla piazza e non
mantengono dalla sede del loro governo, che si dimostrano commossi e
fieri del popolo che li acclama, ma si preoccupano di più dei coperti
che li attendono alla fine della loro escursione politica. Avv. Alessi, avreste meglio meritato della fiducia del popolo
brontese, se invece di dire delle vane parole per calmare le
apprensivo degli acclamanti illusi, aveste detto: So che a voi
Brontesi, in estate, anzi in ogni tempo, manca l'acqua potabile.
So
che fino ad ora uomini politici ed amministratori vi hanno preso in
giro. Io invece, compenetrandomi della vostra situazione, sono andato
a spulciare gli atti delle più recenti promesse fattevi e ho disposto
che le somme da tanto tempo stanziate per l'acquisto dei motori, vi
siano subito concesse. Avv. Alessi, meglio avreste fatto a dire: So che in Bronte si discute
di un progetto pazzo, perchè si vuole costruire la casa Comunale
sfrattando quaranta famiglie; io dispongo invece che prima siano
costruite le nuove case da dare agli sfrattandi e poi la casa
Comunale. Avv. Alessi, meglio avreste fatto a dire: E’ vero che io viaggio in
macchina, ma lo sciopero dei ferrovieri della Circum che tanto danno
sta apportando alla economia e al commercio, mi ha preoccupato oltre
misura e mi sono interessato per far cessare detto sciopero. Tante e tante altre cose avreste potuto dire, avv. Alessi, cosi alla
buona, occhi negli occhi, ma non le avete dette! Ma chi ha il coraggio di far capire tanta elementare verità a S. Ecc. Alessi?»
E' arrivato Sua
Eccellenza Quando scoppiò il primo mortaretto, la gente pensò che c'era
qualche santo in festa e continuò a badare ai fatti suoi. Poi ne
scoppiarono altri e cominciarono ad apparire le prime bandiere
di carta con i colori a rovescio e una certa aria di festa si diffuse. Qualcuno domandò: perché? qualche altro rispose: mah! Finalmente i più
evoluti spiegarono che doveva arrivar il Presidente. I guai cominciarono quando fu ora di far suonare la banda; il trombone
aveva fatto sapere che lui i soldi li voleva prima, altrimenti niente
trombone; la cosa minacciava di diventare grave, ma la faccenda si
accomodò; si misero persone influenti per lo mezzo e la banda fece la
sua prima discesa suonando la marcia di S. Biagio. Intanto l’ora si
avanzava: il Presidente doveva essere vicino ed allora cominciarono a
radunarsi le prime bandiere e le prime bottiglie per il rinfresco; ad
onor del vero si radunarono prima le bottiglie. Verso le undici erano
tutti pronti: le bandiere, una discreta folla, le bottiglie ed i
cartelli di protesta. Poiché non mancavano nemmeno i cartelli di protesta che sotto l’abile
guida di un regista, dovevano dare il giusto tono. Quando l'attesa cominciava a farsi lunga s'alzò una voce: arriva,
arriva! La banda attaccò, le bandiere ondeggiarono, i cartelli si
misero a danzare, la folla gridò; era invece il camioncino del pesce,
e don Vincenzo «u catanisi» a scanso di equivoci gridò ben forte che
il merluzzo era a quattrocento lire. L'entusiasmo si ammosciò ben
presto e la gente se la cominciò a squagliare. Finalmente con staffette, portaordini, seguito e ancora seguito arrivò
il Presidente. Aveva una fretta del diavolo e non volle nemmeno sentir
parlare di rinfresco; disse due parole così alla buona e se ne partì
preceduto da staffette, portaordini, trascinandosi appresso il seguito
che frattanto aumentava. Infatti lo seguimmo anche noi alla volta di
Randazzo. La mezza era già passata da un pezzo e il Presidente, a
giudicare dalla velocità della sua macchina, doveva avere appetito e
così in poco più di mezz'ora arrivammo a Randazzo. Qui v'era meno gente ad aspettarlo, ma in compenso lo trattarono con
più familiarità. Anzitutto i manifesti con cui gli si dava il
benvenuto lo chiamavano fraternamente Peppino, e poi non c'era la
banda, e poi non spararono nemmeno un mortaretto. Anche il Sindaco
doveva star sulle spine perchè aveva fatto preparare il cioccolatto e
si era raffreddato. Nel salone dove il Presidente; teneva il convegno, gran confusione:
consiglieri, preti, guardie municipali, invitati si assiepavano, si
davano gomitate, facevano un baccano del diavolo; dall'alto di una
poltrona una guardia sì sbracciava a far gesti per sapere se poteva
far rimettere al caldo il cioccolatto: il sindaco lo frenò con un
gesto e con un'occhiataccia. Frattanto si faceva sempre più tardi e l'appetito e gli sbadigli del
Presidente aumentavano e quelli di Randazzo non si mettevano mai
d'accordo; quando sembrava che si fosse arrivato alla conclusione sul
problema dell'acquedotto saltava fuori un altro con un altra proposta. Il Presidente guardava l’orologio e cercava di riassumere, ma non
c'era niente da fare; alle due e mezza la discussione continuava
ancora e il cioccolatto non veniva.
Gli sbadigli erano generali. Passò
ancora un'altra mezz'oretta e, come Dio volle, una certa intesa si
raggiunse e il cioccolatto arrivò. In due minuti le tazze furono vuote
e le macchine saettavano verso Acireale... verso il pranzo Sulla via del ritorno, lo stomaco vuoto, il pensiero alle bottiglie
rimaste a Bronte, il dottor Malgioglio era malinconico. [Il Ciclope, numero 10 (29), Domenica 26 Ottobre 1947, direttore
Giuseppe Bonina]
1948
Curiosità elettorali Erano state le
prime elezioni politiche dopo
la caduta del Fascismo e la campagna elettorale era stata tutta improntata
sul pericolo comunista e sull'obbligo di andare a votare (chi non vota
compie peccato mortale, ebbe a dire Pio XII). I candidati brontesi furono l'on.
Vincenzo Saitta, il dott.
Biagio Pecorino e gli avvocati
Luigi Castiglione,
Antonino Isola e
Giovanni Gorgone e il dott. Longhitano.
Il Dott. Pecorino e il 21 - «Non c’è più onestità» Via! L'abbiamo passata bella, il 18 e il 19 Aprile, giornate campali e
fatidiche, sono passati senza aver provocare quel finimondo che era
lecito attendersi, seguendo le parole di certi infuocati oratori,
troppo interessati a far spaurire il povero cittadino, e che ciascuno
in cuor suo ardentemente scongiurava. Noi Brontesi poi non solo l'abbiamo scampata bella, ma anche ce la
siamo un pò spassata, perchè, in certi momenti le votazioni si
trasformarono in un vero e proprio spettacolo di varietà, in cui
l'ignoranza, troppo diffusa, e il sentimento religioso, troppo
sentito, (di questo assai contenti, di quella assai dolenti) giocarono
il ruolo di assoluti protagonisti, a tutto vantaggio della Democrazia
Cristiana, con la conseguente quasi polverizzazione degli altri
partiti in lizza. Non ne sa qualche cosa lei, egregio Dott. Pecorino? Il suo partito, il M.S.I.,
caro dottore, è cattolico, è dell'ordine, di tutto quel che si vuole,
ma non è democratico cristiano. E allora Lei si è preoccupato di trasportare gente malata,
impossibilitata a muoversi, con la sua bella automobile, per farsi
dare un voto di lista ed uno di preferenza, e invece a chi ha dato la
sua fiducia quella gente?
Alla
Democrazia Cristiana e a Scelba e alla Nicotra Fiorini, o almeno,
conciliando l'inconciliabile, il voto di lista allo scudo crociato e
quello di preferenza «o ditturi Picurinu», scrivendo il fatidico 21 e
giovando così al Sig. Santangelo di Adrano che essendo costui il N. 21
della lista del Bianco Fiore, ha preso tanti voti senza aspettarseli. A sentirla parlare questa gente, malata e no, che così aveva votato,
facendo un favore alla Religione e a Pecorino, c’era da ammattire! Una
donna, alle obiezioni mossele, così se ne uscì: E alla fin fine,
Don Pippinu 'Nterdonatu e u dutturi Picurinu, non sunu amici e non si
ponu mittiri r'accordiu? Su spartunu commu du frati, basta chi non
venunu i comonisti. Questi benedetti comunisti! Era tanta la paura di essi che tanti e
tanti non si fidarono per l’occasione della loro magnifica vista
(Lince di certo, non ci vedeva quanto loro) e si fecero fare un
certificato medico «per catarratta» per farsi accompagnare da qualcuno
o qualcuna che sapesse segnare il cerchietto desiderato!
E una donna
addirittura divenne, per virtù di certificato medico, paralitica alle
mani, ma quando il Presidente del Seggio le chiese allora come e con
che cosa mangiasse: «Ma cu chisti» levando le mani verso
l'interlocutore) «signù»! Ma a dare un'idea precisa di quali sentimenti fossero piene le menti
delle nostre donne e dei nostri contadini, basti citare il caso di una
donna che nel mentre che votava, per un caso che riguarda il suo
organismo, venne colpita da paralisi in tutto il lato destro compresa
naturalmente la mano, e allora tutti o tutte a sussurrare che stava
votando per «Garibaldi» e che Gesù Cristo l'aveva per questo punita. E così Garibaldi portando gramo alla lista recante la sua effige,
portò gran fortuna allo scudo perché nessuno (esclusi, logicamente i
compagni) si azzardò a guardare la faccia dell'eroe dei due mondi.
A
guardare la faccia dei compagni, smontati dall’atmosfera bianco-rosea
(dov'era andato a finire l'80 per cento dei voti per la faccia di
Baffone, poveri seguaci del Prode) c'era far ridere Gennaro Talamo,
persino, notoriamente restio al riso, chissà perchè! Uno gridava continuamente: «Non c'è onestità più così, sono tutti
voti incoscienti (diceva proprio così) quelli che vanno alla
democrazia una volta facendosi il segno della croce (aveva
lasciata la porta della cabina aperta), un'altra per il Papa,
un'altra ancora per Padre Longhitano! non c'è più onestità!»
Consolati, compagno, come si consolò quell'altro tuo compagno
scrutatore che si vendicava della vittoria della Reazione (in agguato,
sempre, vero?) non nominando mai il nome di Scelba e non gridando i
suoi voti di preferenza e pensa a sperare sempre, perchè la speranza è
l'ultima a morire e se anche non verrà mai il giorno da te sospirato,
avrai sempre l’illusione che esso possa prima o dopo arrivare. Che
vuoi di più? [emme] [Il Ciclope, anno III - numero 9, Domenica 2 Maggio 1948,
direttore Giuseppe Bonina]
1948: L'asfalto dell'epoca: ghiaia e creta
«Miscellanea Cose fatte, cose da non farsi, cose da farsi |