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Bronte-Cesarò |
Cenni storici sulla Città di Bronte I CONFLITTI TERRITORIALI
Vertenza Bronte-Cesarò
Una rivendicazione territoriale
durata oltre 150 anni
Sotto tale nome è comunemente intesa
una causa lunga e dispendiosa che il Comune di Bronte, con l’intervento anche
della Provincia di Catania e del Duca Nelson, intraprese per oltre mezzo secolo
col limitrofo Comune di Cesarò, la Provincia di Messina e il Duca di Cesarò.
La vertenza riguardava la giurisdizione territoriale, sia amministrativa che
giudiziaria, di circa 15 mila ettari di territorio che il Comune messinese
reclamava come di sua pertinenza.
Si è protratta inizialmente per circa
75 anni in campo giudiziario e negli anni seguenti (parliamo soprattutto del
primo decennio del 1900) anche in campo amministrativo e, soprattutto, politico
per poi spegnersi gradualmente senza trovare mai sbocco definitivo in un
giudizio finale per arrivare fino ai nostri giorni (2009) e morire fra
l’indifferenza generale.
Ebbe origine con la scomparsa delle tre
antiche Valli (Valdemone, Val di Noto e Val di Mazara) con le quali era divisa
territorialmente la Sicilia e che la costituzione del Regno di Sicilia del 1812
eliminò disponendo una nuova divisione in sette Valli minori (residenza di un
Intendente), suddivise in 23 Distretti.
Ciascun Distretto era delimitato con una mappa con la descrizione completa.
Nella mappa del Distretto di Mistretta i confini, che sono in parte quelli di
Cesarò essendo questo l’estremo comune che divide la provincia di Messina da
quella di Catania, erano così indicati: (Il distretto di Mistretta) “confina a
Levante con la Comarca (oggi circondario) di Patti sino al Fondachello:
quindi la linea di demarcazione incontra il fiume
di Bronte (il Simeto) con cui scende fino all’unione di questo col
fiume di Troina. Si accompagna con questo sino alla terra dei Voti e sotto la
masseria di Monastra passa tra Capizzi e Cerami. Rade le falde boreali del Monte Campanito, passa a mezzo di Castelluccio e lungo le falde del monte Gallina,
s’imbatte nel fiume di Pollina, nel corso del quale se ne scende sino al mare e
bagna le coste a tramontana”.
Quindi per il Comune di Cesarò quasi 15 mila ettari di territorio situato a
monte del “fiume di Bronte” (da Cesarò identificato nel Torrente Saracena) doveva essere considerato di propria competenza
territoriale e non del Comune etneo. Insomma dall'oggi al domani Bronte si
trovava a perdere oltre la metà del suo territorio e proprio quello composto da lucrosi boschi
(per l'epoca erano una vera ricchezza), pascoli e terre seminative.
Nel 1921 il cesarese Francesco Schifani nel suo libro “Cesarò, Cenno
geografico – storico – demografico (Tipografia Stesicoro Simeone,
Giardinetto a Toledo 8, Napoli, 1921, pag. 85) scriveva che «la vertenza con
Bronte, nella quale sono rispettivamente intervenuti la provincia di Messina e
di Catania, il Duca Nelson e il Duca di Cesarò, si è agitata da circa 75 anni,
prima in campo giudiziario e poi di recente, nel campo amministrativo.»
Mentre Bronte sosteneva che il limite
territoriale fosse segnato dai torrenti Cutò e Semantile, S. Nicola, dalla Rocca
di Rapiti e da una retta dal Torrente Cutò al bosco Barrilà, come tracciato
sulla Carta dello Stato Maggiore e del Touring Club, Cesarò sosteneva invece che
il confine era dato dal "fiume di Bronte" e dal torrente Saracena sino ad
arrivare a Monte Trearie e Serra del Re così come l’indicava la carta dello
Schmettau.
In altri termini si trattava di risolvere sotto quale giurisdizione
amministrativa e giudiziaria erano gli ex feudi di Sant’Andrea, Pizzo, S.
Nicolò, Semantile, Grappidà, Petrosino, Boschetto, Porticelli, Cavallaro,
Foresta Vecchia e terre seminative di Maniaci, per una estensione di circa
15.000 ettari (vedi in merito
Contrade Brontesi).
1841, l'inizio
Il dissidio, la prima
volta, sorse nel 1841 in occasione di una semplice contesa di giurisdizione
giudiziaria: un conflitto di competenza fra il giudice
di Bronte e quello di Cesarò per l’accertamento di un reato penale commesso nell’ex
feudo di Sant’Andrea (un tentativo di omicidio commesso dai fratelli Zito). «Avvenne che - scrivono nel 1847 gli
avvocati del Comune ("Difesa del Comune di
Bronte contro il Comune di Cesarò presso la Consulta del Regno per gli Affari di
Sicilia") - ai giudici regi del Circondario di Cesarò (Comune del
Distretto di Mistretta in Provincia di Messina) argomentando sulla ripartizione
distrettuale del 1812, saltò in capo il grillo di voler esercitare
giurisdizione giudiziaria su taluni ex-feudi di Bronte e sulle foreste di Troina
per reati ivi occorsi. Dal canto suo il Regio Giudice di Bronte non se ne
restava indifferente, e nel medesimo tempo procedendo alla istruzione di quel
reato istesso cui occorso avea il Giudice di Cesarò, la sua legale e naturale
giurisdizione spiegava. D'onde ne sorsero conflitti di giurisdizione recati
alla cognizione della Corte Suprema di Giustizia in linea di regolamento di
giudici.»
La Gran Corte Suprema di Giustizia di
Palermo, richiamando la legge del 1812, il Decreto del 1817 e la legge del 1819,
ritenendo erroneamente Bronte appartenere al Distretto di Nicosia (e non di
Catania)
e ricordando che il fiume di Bronte costituisce la linea di demarcazione fra il
Distretto di Mistretta e quello di Catania, risolvendo il conflitto, ritenne la
competenza dei R. Giudice del Circondario di Cesarò cui rinviò la causa.
«Attesochè – scriveva la Suprema Corte di Cassazione di Palermo nella sentenza
del 1° Maggio, 1841 - è costante che l’ex feudo S. Andrea è dentro la
demarcazione che la Divisione attribuì al Distretto di Mistretta, perchè situato
alla riva diritta del fiume di Bronte, limite divisorio certo e inalterabile
..., invia la causa al Giudice di Cesarò.»
Ma - si legge sul "Ricorso a S.M. il
Re
d'Italia (Ministero dell'Interno) dal Comune di Bronte (Catania) contro il
Comune di Cesarò (Messina), Biancavilla, Tip. Marzagalli, 1890 - «questa sentenza è erronea nel concetto giuridico non solo ma anche nell'esposizione del fatto.»
«La leggerezza con cui allora si decise il conflitto emerge dal colossale errore con cui la Corte Suprema ritenne Bronte appartenere al Distretto di Nicosia, mentre è appartenuto sempre a quello di Catania. Del resto la sentenza non fa altro che ammettere principii errati per venire a conseguenze evidentemente assurde. E pure su questa sentenza si modellarono le altre che seguirono, emesse dalla stessa Corte il 23 Maggio 1843 e il 14 Agosto 1873.»
Ancora il cesarese Francesco Schifani
ci ricorda anche le numerose sentenze che intervennero nella questione: «nello
stesso anno (10 Agosto 1841) anche la Gran Corte Civile di Catania fu dello
stesso avviso in altra analoga questione, e quella di Messina il 3 Maggio 1842,
ritenne che gli ex feudi Grappidà e S. Nicolò facevano parte del Circondario di
Cesarò, accennando che il confine fra i due Distretti di Catania e Mistretta è
dato “dalla linea di demarcazione formata dall’alveo del fiume detto della
Saracena, che si unisce e continua coi fiume denominato di Bronte e quindi
coll’altro appellato di Traina”. Con altre sentenze del 5 Luglio 1842
e del 27 Agosto 1845, la stessa Corte di
Messina ritenne che gli ex feudi S. Niccolò e Semantile erano compresi nel
territorio di Cesarò; e per il solo ex feudo Semantile decisero anche la Gran
Corte di Catania il 16 Maggio 1846 e 10 Maggio 1852 e quella di Messina il 1
Giugno 1852. Infine la Cassazione di Palermo, con sentenza del 1873, ebbe ancora occasione di occuparsi della controversia decidendo a favore
di Cesarò che, prendendo
occasione dalle sentenze deliberò d'imporre a suo profitto la tassa sul bestiame
pascolante sugli ex feudi oggetto della disputa ma soggetti alla giurisdizione amministrativa e
tributaria di Bronte dove risultavano catastati. A farne le spese furono, anche e soprattutto,
i contadini e gli allevatori anche perchè poco dopo, nel 1885, Bronte
deliberò d'imporre la stessa tassa, e - scriveva il sindaco Placido De Luca nel
citato "Ricorso a S.M. il Re d'Italia" del 1890 - «avanzò due ricorsi
documentati in data 8 Maggio e 10 Giugno 1885, a. S. E. il Ministero dell'Interno
contro il conato d'usurpazione del Comune di Cesarò», che per aver pagata
l'irrituale tassa sul bestiame procedeva intanto a pignoramenti e
vendite di animali, biancheria e oggetti di casa di poverissimi
contadini del territorio contestato. Un provvedimento del R. Governo sospese l'esecutorietà di tutti i ruoli.
La tassa sul bestiame,
quindi, non fu riscossa da nessuno dei due Comuni», ma non fu preso alcun
provvedimento definitivo e la vertenza continuò
sempre più accesa e violenta. In seguito al ricorso presentato dal Comune di Bronte
il 30 settembre 1899 il Ministro dell'Interno
dispose che un Ispettore Generale, il cav. Carlo Chiaro, accedesse sui luoghi in
controversia, in contraddittorio delle parti.
Giugno 1901, il Decreto Giolitti
Nel 1899 Bronte non volle più
sopportare che su quei feudi, in parte di sua proprietà e in parte di proprietà
dei Duca Nelson, venisse imposta dal comune di Cesarò la tassa bestiame e
rinnovò la lite. Anche la Ducea infatti era stata chiamata in causa e molte
notizie le abbiamo tratte proprio dai volumi dell'Archivio
storico Nelson (in particolare il Vol. 297-E, 1 e 2) contenenti
atti e documenti relativi alla vertenza. |
La Ducea era stata interessata nel mese giugno del 1891
quando l'Esattore Consorziale del Comune di Cesarò e San Teodoro, Sig. Cirillo Gusmano,
aveva intimato al Duca Nelson il pagamento della tassa bestiame e, un anno dopo, il messo esattoriale del Comune di Cesarò - scrivono gli avvocati
della Ducea (Comparsa conclusionale per il Sig. Duca Nelson contro l'Esattore
ed il Sindaco di Cesarò, Catania Tip. Pastore, 1893) - «si recò nella di costui casa rurale sita nell'ex-feudo Boschetto, territorio mandamentale,
comunale ed amministrativo di Bronte, provincia e distretto giudiziario di
Catania per procedere al pignoramento per L. 25,75 tassa bestiame 1890 e 1891;
L. 10,19 multa, e L. 20 spese di esecuzione, in tutto L. 285. 92, pignorando una
mula, che trovò attaccata ad un carro nel detto ex feudo Boschetto».
La Giunta Provinciale amministrativa di Messina accolse in pieno il reclamo
del Duca cancellando dal ruolo la tassa.
Dall'inizio della vertenza erano trascorsi decenni di ricorsi, pareri legali,
perizie e sopralluoghi, polemiche infinite (per illegittimità ed incostituzionalità) ed un nugolo ben
nutrito di avvocati e periti al servizio delle parti. Sentenze diverse emesse in varie epoche da autorità giudiziarie. Per citarne
alcune una della Corte Suprema in data 1 maggio 1841, altra del 14 agosto 1873, altra del 3 luglio 1889 e del 22 novembre 1899,
anche un parere
sfavorevole a Bronte del Consiglio di Stato – Sezione interni del 12 Aprile 1895.
Il 13
Giugno 1901, intervenne il Governo e la vertenza territoriale sembrò
risolversi in modo positivo ancora a favore del Comune di Cesarò. Per porre termine all’annosa questione,
il Ministero Giolitti, con Decreto Reale, uniformandosi alla legge organica
del Parlamento Siciliano del 1812, che allora reggeva le circoscrizioni
territoriali in Sicilia, rettificò definitivamente i confini fra Cesarò e Bronte
dichiarando che i feudi in contestazione facevano parte del territorio di
Cesarò.
Giolitti “con un sol tratto di penna”
- scrissero alcuni giornali - distaccava oltre 12.000 ettari di territorio
brontese (dodici ex “feudi” fra cui quello di Forestavecchia) per darlo a Cesarò
impoverendo e spogliando il Comune di una parte molto produttiva del suo
territorio.
Il parere del 17 Maggio 1901 N. 2515
che veniva richiamato a far parte integrante del Decreto, “premesse le dotte e
savie considerazioni”, arrivava nella conclusione che il territorio in
controversia apparteneva nei riguardi della Circoscrizione giudiziaria,
amministrativa e finanziaria non del Comune di Bronte, ma di quello di Cesarò.
Una conclusione gravemente lesiva degli
interessi del Comune etneo e può ben immaginarsi lo sconcerto e lo sgomento che suscitò fra la
popolazione e le violenti polemiche politiche che ne seguirono.
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Una vignetta contro l’on. Giolitti
che con una forbice ("truffa politica: Ho truffato
Dante e posso truffare anche Bronte!") taglia in due il
territorio brontese.
E' stata pubblicata da La
Montagna (Organo dei Paesi della Montagna,
Catania 22 marzo 1903), ed accusava il Ministro di aver firmato – si legge
nell’articolo - «così irragionevolmente il decreto 13
Giugno, giacchè egli volle calpestare anzi addirittura
sopprimere tutte le garenzia territoriali della Provincia,
rischiando di compromettere gli interessi nostri più vitali,
pur di favorire gli amici politici della Provincia di
Messina e nello stesso tempo sfogare il suo livore contro
qualche rappresentante politico della nostra Provincia.
Contro un decreto così violento Bronte e la Provincia
ricorsero alla IV Sezione del Consiglio di Stato che,
riservando il merito, sospese l’esecuzione dell’ingiusto
provvedimento».
L'omino che abbraccia la gamba di Giolitti è l'on. Francesco
Cimbali. |
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Il Governo - scrivevano i giornali dell'epoca - prima di pubblicare
il decreto, «che avrebbe dovuto essere destinato a pacificare gli animi,
ma che invece ha bisogno di essere preannunziato dalla baionette»
inviava a Bronte 80 carabinieri, tre compagnie di soldati, ispettori e
delegati di pubblica sicurezza.
La notizia giunse a Bronte con un telegramma inviato da una
commissione di brontesi capeggiata dal sindaco che vi era recata. Ma non successe nulla.
La popolazione si mantenne calma. Solo
proteste verbali, telegrammi a deputati ed a S. M. il Re e lunghe
adunate del Consiglio comunale.
Sindaco
dell’epoca era
il cav. uff. avv. Placido De Luca
(foto a destra),
discendente (erano suoi zii) dai più famosi
cardinale
Antonio Saverio e dal prof. Placido.
Un personaggio molto discusso specie per i suoi rapporti con l'ambiente
della Ducea (era in ottime relazioni con monsieur Fabre e l’avv. notaro
Luigi Saitta, rispettivamente amministratore e procuratore e difensore
del duca Nelson).
Era stato eletto nel 1895 ed aveva vinto anche le successive elezioni del
1902 ma per durare nella carica solo pochi mesi, fino al Gennaio 1903,
quando il Consiglio comunale, dopo un’ispezione amministrativa,
fu
sciolto con regio decreto controfirmato da Giolitti
per «abusi e irregolarità gravi».
«Non bisogna
dimenticare - scrivevano con ironia in un manifesto i suoi avversari
politici – che il consesso municipale nella vertenza con Cesarò ebbe un
aiuto inspirato in S. E. il Duca
Alexander Nelson Hood (foto a destra), che, per affetto a Bronte,
mise a disposizione del Comune la sua borsa e la sua influenza;
che telegrafò al Re per non firmare il decreto, e che da quel momento
tra il detto duca e quindi tra il suo procuratore Signor Luigi Saitta ed
i capoccia municipali, fu fatta la pace, solennemente confermata con la
transazione tra il comune di Bronte ed il duca, sulle diverse questioni
su cui pendevano litigi…».
Immediatamente dopo il Decreto Giolitti fu formato un collegio di difesa per
contestarlo: lo componevano ben 5 avvocati: Angelo Majorana, Nicolò Gallo,
Giovanni Perrotta, Antonio Salandra e Giannetto Casavola. Furono anche
presentate interpellanze alla Camera (dal randazzese on. Vagliasindi). Lo
stesso on. Vagliasindi, in una seduta della Camera dei Deputati del 21 giugno
1901, portava all’attenzione dei deputati la questione Bronte-Cesarò,
interrompendo il discorso sul bilancio dell'on. Giolitti (all'epoca ministro
dell’interno) con un vivace scambio di battute e di «vivacissimi apostrofi» e
conseguente sospensione della seduta.
Così La Stampa di Torino riportava l’episodio il giorno dopo:
(Interruzioni dell'on. Vagliasindi.
Vivi rumori. Approvazioni a Sinistra)
Giolitti: «Sulla questione per la quale l'onorevole Vagliasindi si agita per
partito, il Consiglio di Stato … (nuova e violenta interruzione dell'on.
Vagliasindi. Rumori vivissimi)
Giolitti: «Sì, vi ha una questione a proposito di Bronte, che riguarda il
collega Vagliasindi.» (applausi a Sinistra)
Vagliasindi: «Non è vero!»
Giolitti (battendo forte il pugno sul banco) ripete: «Sì, è vero; e su
questa questione il Ministero consultò il Consiglio di Stato.»
Vagliasindi: «Lo so; il Consiglio di Stato è stato consultato, ma il Consiglio
di Stato è stato truffato.» (Scoppio di altissime urla di disapprovazioni a
Sinistra).
Niccolini, sottosegretario di Stato, ed altri deputati, gridano: «Basta!
Ritirate quelle parole!»
Qui succede uno scambio di vivacissimi apostrofi, che per la dignità del
Parlamento non vi telegrafo.
Vagliasindi (in preda a grande agitazione): «Sì, sì, truffato!»
Molti colleghi vicini gli sgridano: «Smettila, taci!»
Vagliasindi continua a gridare: «Fu proprio truffato» (Nuove altissime
interruzioni con grida infernali di: «Basta! Fuori! Ritiri! Fategli ritirare
le parole!»)
Presidente: «Richiamo vivamente all'ordine l'on. Vagliasindi. Il suo contegno è
indegno della solennità del momento e della dignità dell'Assemblea. Sospendo la
seduta.»
Bronte, unitamente alla Provincia di Catania ed alla Ducea dei Nelson, impugnò
il R. Decreto 13 Giugno 1901 innanzi la IV Sezione del Consiglio di Stato.
«Oggi alla IV Sezione del Consiglio di Stato - scriveva sempre La
Stampa sabato 24 Agosto 1901 - si è discusso il ricorso della provincia di
Catania, del Comune di Bronte e di lord Nelson, duca di Bronte, contro il
Comune di Cesarò, in provincia di Messina, per la sospensione del decreto 13
giugno, col quale si distraevano 12,000 ettari di terreno dal Comune di Bronte
per aggregarli al Comune di Cesarò. Sostennero le ragioni dei ricorrenti gli
onorevoli Cavatola, Gallo e l'avv. Giovanni Martini.
Il ricorso fu accolto e il decreto sospeso. Gli opponenti erano difesi da
Nocito. Ricorderete come, durante la discussione del bilancio degli interni, la
questione dette luogo a un incidente fra Giolitti e Vagliasindi.»
«La soluzione del secolare problema - scrive Franca Spatafora (Notabili e
lotte politiche a Bronte 1860-1914, T.L. 1991) - venne anche affidata al
prof. F. S. Giardina, eminente studioso modicano e ordinario di Geografia nella
R. Università di Catania.
Questi, seguendo dei rigidi criteri geografici e dopo aver consultato la carta
di Sicilia del Barone Schmettau, conclude il suo studio attribuendo il
territorio contestato al comune di Bronte, poiché come è chiaramente detto
nella legge del 1812 (che abolì la feudalità e divise la Sicilia in 23 comarche
o distretti: "I territori non vanno smembrati dalle linee del Distretto, se
non quando queste linee segnano grandi fiumi. E' però da avvertirsi che questa
linea, spesso tagliando in due e feudi e territori, il feudo o territorio così
diviso apparterrà per intero alla Comarca in cui trovasse la maggior parte".
Poiché il territorio contestato è parte minore rispetto a quello che resterebbe
a Bronte, non può separarsi da questa città.»
Dicembre 1901, la sentenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato con una prima discussione, il 20 Dicembre 1901,
respinse “tutte le eccezioni di nullità, per incompetenza, per vizi istruttorii,
ed ogni altra qualunque menda formale” e pur ammettendo la validità del Decreto
fortunatamente lo “sospese pel resto di definitivamente pronunziare”.
La sentenza
(estensore della sentenza fu il
referendario consigliere Valli) constava di ben trentacinque fogli. In
alcune parti decideva definitivamente (cioè per le eccezioni di forma) e per
il resto rimandava il tutto in attesa di ulteriori accertamenti.
Il Consiglio di Stato – scrive il cesarese Schifani - «con
l’elaborate e dotte decisioni respingeva tutte le eccezioni di nullità
per incompetenza e vizi istruttorii ed altra qualunque emenda formale
rimproverata dai ricorrenti al R. Decreto, dichiarando che in virtù del
medesimo giustamente la linea di confine tra Bronte e la Provincia di
Catania da una parte e Cesarò e la Provincia di Messina dall’altra
rimase determinata in consonanza al disposto della legge del Parlamento
Siculo del 1812, legge tuttora in pieno vigore.
Sospendeva, pel resto, di definitivamente pronunciarsi disponendo che i
rilievi tecnici fossero affidati ad una commissione composta: di un
professore universitario di geografia, di un membro del Consiglio
Supremo dei Lavori Pubblici e di un ufficiale dello Stato Maggiore
dell’Esercito.»
Fu quindi nominata dallo stesso Consiglio una Commissione tecnica composta
“dagli illustri geografi e tecnici” prof. Porena della Regia Università di
Napoli, dal colonnello Ripamonti dello stato maggiore dell'esercito e
dall’ingegnere Navà del consiglio superiore dei LL. PP.” che, sei mesi dopo la
sentenza, nel Giugno 1902, visitava i luoghi contesi per
identificare i punti di confine, previo invito alle parti in causa di assistere
e dedurre quanto reputassero di loro interesse.
Intanto a Bronte la controversia, con l’esito poco favorevole dell’iter
giudiziario, assumeva sempre più valenza di lotta politica. Era diventata terreno di scontri polemici e di lotta fra
il sindaco
dell’epoca Placido De Luca e l’opposizione
capeggiata dal deputato
Francesco Cimbali (foto a destra, militava nel
gruppo politico dell'on. Giolitti) che si accusavano a vicenda di indifferenza e
di disinteresse nei confronti della vertenza pur in mezzo all’enorme dispendio
di risorse che la lite comportava per le casse comunali.
Fra l'altro in un momento così delicato sopraggiungeva per la politica locale
il colpo di grazia: un’inchiesta amministrativa, disposta da Giolitti nel 1902 e
fatta dal commissario prefettizio Poidomani, riscontrò gravi irregolarità e
malversazioni sia nella gestione amministrativa del Comune sia a carico anche
del Tesoriere comunale del tempo, Pietro Margaglio, tanto che Giolitti a
febbraio 1903 firmò un
Decreto di scioglimento del Consiglio
comunale.
«Per le liti - si legge nella relazione che accompagnava il Decreto di
scioglimento - il Comune stipendiava prima due avvocati senza nomina
regolare, ma sopravvenute due vertenze col duca Nelson e col comune di Cesarò
si sono aggiunti altri nove avvocati, numero esagerato per quanto sia
l'importanza delle due questioni.
La prima di esse poi si è affrettatamente transatta senza neppure
sentire la difesa del Comune a condizione che ritengonsi poco
vantaggiose. Per la seconda pendente innanzi la quarta sezione del Consiglio di
Stato gli amministratori per tutto lo scorso mese di settembre senza
alcuna deliberazione che li autorizzasse, spesero circa L. 6000 per soli
viaggi fra Catania e Roma.» (Giornale di Sicilia, anno XLIII n. 39,
Palermo, Domenica-Lunedì 8-9 Febbraio 1903)
Nonostante queste folli spese le due fazioni politiche brontesi si accusavano
reciprocamente di non aver fatto nulla o quanto meno di aver fatto poco per
evitare prima l'emanazione del Decreto Giolitti e poi un pronunciamento così
disastroso per il Comune da parte della Consiglio di Stato. Sorsero comitati popolari per la difesa del territorio, si organizzarono
manifestazioni d’ambo gli schieramenti.
«Stamane – scriveva un giornale vicino al
sindaco Placido De Luca, Il Corriere di Catania
(n. 34 del 3 Febbraio 1902) in un articolo dal titolo Il comizio
di Bronte per la vertenza territoriale -
apparve affisso alle cantonate un manifesto che invitava il popolo a
riunirsi in comizio alle ore 15 nel nostro teatro per propugnare i
diritti di Bronte nella quistione territoriale con Cesarò e per far voti
d'esacrazione contro chi trasandò i diritti del comune.
Essendosi giudicato che il manifesto nella
forma alludesse alla amministrazione comunale, il Sindaco e i
consiglieri non furono invitati sebbene cortesemente avessero concesso
il teatro. Ma essi nondimeno intervennero e furono accolti con applausi
dalla folla che gremiva il teatro e che attendeva impaziente l'arrivo
del Comitato promotore. Il Comitato giunse alle ore 16, ma gli oratori
non furono fatti parlare sopraffatti da urli e fischi.
Il Sindaco inutilmente invocò che si
ascoltassero in silenzio le accuse per potersi difendere. Il delegato fu
costretto a far dare gli squilli e sciogliere il comizio. La folla sgombrato il teatro si riversò nella via e si recò applaudendo al
Municipio donde parlarono il Sindaco De Luca e il Cav. Pace esortando la
popolazione a fidare nella giustizia della causa e nel Governo del Re. Al municipio venne distribuito uno stampato rifacente la storia della vertenza Bronte-Cesarò e invitante alla calma. Frattanto il comitato promotore del comizio seguito dagli aderenti si recò in
piazza Castiglione (di fronte il Circolo di cultura, ndr) dove furono
dette parole invocanti la soluzione della vertenza. Il contegno del delegato e
dei carabinieri fu corretto. Diverbi piccoli, incidenti nessuno.»
Alla decisione della IV Sezione del
Consiglio di Stato il Comune di Bronte e la Provincia di Catania proponevano
ulteriore ricorso alla Corte di Cassazione di Roma - Sezioni Unite, per
incompetenza ed eccesso di potere.
«Ma dall’alto Consesso giudiziario – scrive
Schifani - furono dichiarati inammissibili i ricorsi con sentenza 21 Marzo
1903». «Col succedersi delle vicende
amministrative – conclude - la lite non ha avuto ulteriore seguito,
quantunque la Commissione dei Tre saggi abbia presentato fin dal Luglio 1903
la relazione dei suoi lavori eseguiti.»
Il parere della Commissione Tecnica in qualche modo fu favorevole a Bronte ed
anno dopo anno la vertenza territoriale perse sempre più vigore ed interesse
fino a spegnersi completamente per essere dimenticata. In assenza di definito
pronunciamento, già nel 1904, il Comune di Bronte
continuava a decidere sul taglio dei boschi di Foresta Vecchia.
Poi la vertenza si arenò in un
cassetto della IV Sezione del Consiglio di Stato, in attesa di essere
trattata fra migliaia di altre pratiche (nel 1908 erano pendenti
in quella Sezione ben 4 mila ricorsi).
Nel 1909 il giornale catanese “Il Fuoco” si chiedeva come mai gli
amministratori del Comune (sindaco dell’epoca era il
Pace De Luca Vincenzo) “sempre per gli interessi della collettività paesana
hanno lasciato a dormire per anni la questione territoriale Bronte–Cesarò?” (Il
fuoco, Catania 6 gennaio 1909, anno II, n. 7).
Ma furono le ultime sporadiche notizie, dopo è calato il silenzio; l’aspro
conflitto territoriale sembrava aver perso slancio e vigore, qualsiasi stimolo
ed ogni significato di rivendicazione territoriale.
Dal 1841, anno in cui erano sorte le
prime contestazioni, era stato un susseguirsi di conflitti di competenza, pareri
legali, cause, sentenze, ispezioni sui luoghi di esperti mandati dal Ministero,
pareri del Consiglio di Stato, (non sempre favorevoli per Bronte) che per
decenni fecero la fortuna degli avvocati delle parti in causa (Comuni, Province,
Ducea Nelson ed altri) e contribuivano a dissanguare ancor più le esigue casse
comunali di Bronte sempre impegnato anche nell’altra secolare questione
amministrativa-territoriale con la Ducea dei Nelson.
Poi la questione anche se non risolta
anno dopo anno morì lentamente, dopo il parere espresso dalla Commissione
tecnica cadde nel dimenticatoio; Cesarò sembrò riporre le armi ed i territori
contestati continuarono a far parte del patrimonio del Comune di Bronte fino ai
giorni nostri.
Maggio 2009, la fine
Ai giorni nostri solo l’Istituto Nazionale di Statistica
teneva ancora in piedi la pratica ma per motivi esclusivamente statistici e
burocratici. Ogni 10 anni era costretto a scrivere ai due Comuni chiedendo di
segnalare lo stato della vertenza e confermare il persistere della contestazione
territoriale, per avere chiaro chi fosse il vero proprietario del “Zona
territoriale: Codice 352 denominazione area Sant’Andrea-Porticelle". |
L’ultima volta nel
Febbraio del 2009 quando finalmente ricevuta l’ultima segnalazione dall’Istat,
il sindaco di Bronte, Pino Firrarello, ha deciso di porre fine a questa
incredibile contestazione.
Dava mandato al dirigente del Comune dott. Antonio Minio ed al geometra
dell’ufficio tecnico Angelo Spitaleri di individuare i terreni e trovare la
soluzione che permettesse un accordo.
In pochi giorni, dopo oltre 150
anni,
la controversia trovava
finalmente una soluzione che rimarcava esattamente la situazione
esistente all’inizio della secolare vertenza.
Il lavoro di manipoli di avvocati (solo il comune di Bronte ne stipendiava
nove agli inizi del '900), di periti, saggi, giudici trovava sbocco e fine
in un mezza paginetta di carta riportante gli stemmi dei due comuni e le
firme dei due sindaci.
Il verbale di accordo porta la data
del 15 Maggio 2009, centosessantotto anni dopo l’inizio della controversia
quando il sindaco di Bronte, sen. Pino Firrarello, e quello di Cesarò,
Antonio Caputo, sottoscrivevano un documento con il quale «ritenuto
opportuno chiarire che non sussistono contestazioni territoriali tra i
comuni di Bronte e Cesarò, e, che il territorio oggetto della contestazione
comunicata dall'Istat, di cui al “Codice Istat 352” denominazione area Sant’Andrea-Porticelle,
di cui alla planimetria allegata (in giallo nella planimetria, ndr),
facente parte integrante e sostanziale del presente verbale, debitamente
timbrata e firmata dalle parti, è territorio facente parte il Comune di
Bronte». |
I due documenti che chiudono la secolare vertenza
fra Bronte e Cesarò
sulla “Zona territoriale: Codice 352 denominazione
area Sant’Andrea-Porticelle" |
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“Si definisce
una contestazione – affermava in un comunicato il senatore Firrarello – che
mi dicono risale addirittura ai tempi dell’unione dei 24 casali che
formarono Bronte”. Soddisfatto anche il sindaco di Cesarò, per Antonio Caputo: “Il contenzioso
era inutile anche perché nella pratica i territori erano già assegnati”.
E poi tutti a
festeggiare con la secolare controversia questa volta davvero finita “a
tarallucci e vino”.
(nL, Settembre 2009)
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13 Giugno 1901 Il Regio Decreto «Vittorio Emanuele
III, ecc.
Sulla proposta del nostro Ministro Segretario di Stato per gli
affari dell’interno:
vedute le
deliberazioni 30 Settembre 1877, 8 Agosto 1883 e 5 Dicembre
1891 del Comune di Cesarò (Messina) per la rettificazione del
confine fra lo stesso Comune di Cesarò e quello di Bronte
(Catania) nel senso che fosse dichiarato formar parte del suo
territorio gli ex feudi di S. Andrea, Pizzo, S. Nicolò, Semantile, Grappidà, Petrosino, Boschetto, Porticelli,
Cavallaro, Foresta Vecchia e terre seminative di Maniaci;
vedute le controdeduzioni del Comune di Bronte;
vedute le deliberazioni del 22 Aprile 1891 e 21 Gennaio 1893
dei Consigli Provinciali di Catania e di Messina, vedute le
varie memorie susseguenti presentate dai due Comuni
interessati e gli atti tutti alle vertenze riferenti, veduti i
pareri emessi dal Consiglio di Stato nell’adunanza del 12 Aprile 1895 e 17 Maggio 1901, le considerazioni del quale
ottimo parere s’intendono qui riportate, veduta la legge
Comunale e Provinciale, abbiamo decretato e decretiamo:
Art. 1 — Il territorio costituente gli ex feudi di S. Andrea,
Pizzo, S. Nicolò, Semantile, Grappidà, Petrosino, Boschetto, Porticelli, Cavallaro, Foresta Vecchia e terre seminative di
Maniaci formano parte nei riguardi amministrativi e finanziarii del Comune di Cesarò.
Art. 2 — In conformità della suddetta delimitazione saranno
corrette le mappe catastali dei Comuni di Bronte e di Cesarò.
Ordiniamo ecc.
Dato a Roma addì 13 Giugno 1901
Vittorio Emanuele — Giolitti». |
20 Dicembre 1901 La sentenza del Consiglio di Stato
Il dispositivo (...)
«La sezione, previa, in quanto ancora possa occorrere,
dichiarazione di riunione dei ricorsi sovraspecificati: 1. Fermo ritiene, a tutti rispettivi effetti di ragione,
l'intervento in causa di lord Nelson duca di Bronte e di don
Giovanni Antonio Colonna Romano, duca di Cesarò, alle cui
eccezioni d'immobilità dei ricorsi di cui si tratta, punto non
attende. 2. Respinge tutte le eccezioni di nullità per incompetenza e
per vizii istruttori ed altra qualunque menda formale,
rimproverate dai ricorrenti al R. D. 13 giugno 1901. 3. Dichiara che in virtù di quel regio decreto giustamente la
linea di confine tra Bronte e la provincia di Catania da una
parte e Cesarò e la provincia di Messina dall'altra, rimane
determinata in consonanza del disposto della legge del
Parlamento siculo del 1812, legge tuttora in pieno vigore. 4. Sospende pel resto, di definitivamente pronunciare e
dispone intanto che il Ministero dell'Interno:
a) faccia innanzi tutto ricerca dello esemplare della carta della Sicilia dello Schmettau, annesso alla legge del 1812 e rinvenendolo, se ne procuri copia integra ed autentica.
b) nomini in ogni ipotesi non più tardi del primo maggio 1902, una commissione composta di professori universitari di geografia, di un membro del Consiglio superiore dei lavori pubblici e di un ufficiale dello stato maggiore dell'esercito, commissione la quale dovrà recarsi sui luoghi contesi e, previo invito alle parti in causa di assistere e dedurre i quanto reputassero di loro interesse,
- identificare i punti di confine risultanti dalla
legge del 1812 ed annessa sua mappa; - indicare i
tratti in linea che fossero necessari a stabilire la
continuità della delimitazione ed istituire quindi gli
opportuni confronti tecnici fra il risultato del suo lavoro e
le dichiarazioni di pertinenze territoriali fatte dal R. D.
anzidetto.
Dovranno alla commissione essere dal ministero consegnati
tutti gli atti e documenti relativi alla controversia. 5. La commissione anzi detta sarà tenuta a riferire entro
quattro mesi dalla data della sua nomina. 6. Entro quindici giorni successivi a quello nel quale
perverrà al ministero la relazione di cui sopra, dovrà questa,
con tutte le carte tenute presenti dai commissari, essere
depositata nella segreteria di questa IV Sezione del Consiglio
di Stato. 7. Le spese per la commissione saranno anticipate dal comune
di Bronte e dalla provincia di Catania, ciascuno per la metà e
su carico definitivo di esse, come di qualunque altra spesa
ripetibile, verrà provvisto nell'ulteriore decisione.»
Febbraio 1902 Un
animato comizio per la vertenza territoriale
Fischi ed atroci invettive nel Teatro comunale
«Ecco la cronaca fedele del Comizio tenutosi in Bronte l'altro
ieri e che noi non preannunziammo per evitare falsi allarmi.
Nelle prime ore di domenica scorsa apparve affisso alle
cantonate della tranquillissima città di Bronte il seguente
manifesto: Cittadini! I diritti, da più secoli esercitati dal nostro Comune sul
territorio, pericolano.
E' nostro, grande interesse, è sacrosanto dovere di tutti noi
concorrere perchè essi, pur troppo trasandati, ci rimangono
illesi.
Uniti nel santo amore alla terra che ci vide nascere, che ci
ha cresciuti, che ci ha educati, mostriamo che è ingiusto,
sleale, lo attentato ai nostri diritti ultra secolari, e
tenaci nei propositi, non ci arresteranno la pertinacia, la
prepotenza di chicchessia. Cittadini,
Oggi alle ore 3 p. m. raduniamoci tutti, in solenne
Comizio, nel nostro Teatro Comunale, per affidare al governo
del Re Leale la tutela dei nostri diritti. Unanimi esecriamo
chiunque ad essi possa esser funesto; scongiurando la grave
tremenda sciagura che ci sovrasta.
Bronte, 2 febbraio 1902. Il Comitato Quel manifesto, che in altri tempi avrebbe potuto
ritenersi cosa di nessun conto in seguito alla decisione della
IV Sez. del Cons. di St., variamente interpretata sui giornali
della capitale e sui nostri, parve una manifesta allusione
all'opera della Amm. Comunale che aveva dato ampio mandato di
fiducia al sindaco Cav. Placido De Luca ed al Cons. Prov. cav.
Salvatore Pace Dibella.
Ciò produsse malumori che circolarono durante la giornata;
tanto che il sindaco, il cav. Pace e tutti i Consiglieri, non
volendo restare sotto l'incubo di una accusa indeterminata, si
presentarono alle ore 15, sebbene non invitati, e sebbene
avevano già concesso il teatro e la musica cittadina, in
teatro.
Ma in quell'ora non si trovarono i membri del comitato
promotore, mentre il teatro si mano mano andato affollando.
L'attesa parve lunga ed alle 15 1/2 il popolo cominciò a
rumoreggiare; anzi; avendo visto entrare in un palchetto il
Cons. Prov. Cav. Pace, il Cav. De Luca sindaco ed alcuni
consiglieri ed assessori li fece segno ad una manifestazione
vivissima di simpatia, tanto che il Sindaco fu costretto a
prendere la parola e ringraziare.
Ma l'attesa si prolungava, tanto che i presenti volevano
salire sul palcoscenico per compiere l'opera del Comitato che facevasi attendere. Il Sindaco fu costretto a riprendere la parola e far rilevare
come convenienza richiedeva di attendere almeno un’ora.
Alle ore 16 apparve la musica, mentre dalla porta
secondaria entrò il Comitato che prese posto con il delegato
di P. S. ed alcuni carabinieri, sul palcoscenico.
Ma un
immenso urlo, accompagnato da fischi assordanti, accolse il
Comitato; il teatro pareva dovesse crollare. Il Presidente del
Comitato dottor Cimbali, circondato dai suoi amici e da due
bandiere, fece invano segni di voler parlare; gli urli, i
fischi e le invettive non cessavano. Invettive furono lanciati
ai fischianti della platea e dei palchi da quelli che
occupavano il palcoscenico.
La scena è indescrivibile, il momento assai grave. Il delegato
invocò silenzio, chiedendo lasciare parlare. Ma le sue parole
riuscirono inascoltate, anzi furono coperti di fischi ed urli. Altri fischi ed urli scoppiarono quando con voce altissima un
avvocato cieco, sig. Liuzzo, riuscì a dire: Cittadini
brontesi. Ed ai fischi si aggiunsero invettive atroci. Qualche
altro oratore tentò invano di parlare. Anche il Sindaco da un palchetto prese la parola invocando
silenzio; affinchè gli accusatori del palcoscenico
formulassero le accuse. Ma le sue parole vennero seguite da un
altro urlo interminabile e da continui fischi che impedirono,
ad un oratore del quale ci sfugge il nome, di continuare la
seguente frase incominciata: Noi non veniamo qui per ….
E poichè gli urli continuavano e le raccomandazioni del
Sindaco non riuscivano a calmare gli animi eccitati tanto di
quelli della platea e dei palchi, che di quelli del
palcoscenico, reputandosi dal delegato inutile rimanere là,
dopo circa un'ora di fischi ed urli, vennero ordinati i soliti
tre squilli, che da qualcuno furono ritenuti come preludio di
qualche inno o marcia. Ma quando il delegato mise fuori la
sciarpa e le baionette dei soldati e dei carabinieri apparirono sulle scene, il popolo si riversò fischiando ed
urlando fuori trovavasi il sindaco ed i consiglieri che furono
fatti segno ad una manifestazione di simpatia e furono coperti
di applausi. Intanto il Comitato coi suoi aderenti uscì per ultimo dal
Teatro, gridando viva Cimbali rispondendo altri con altri
evviva.
Avvenne uno scambio di parole vivaci; il delegato fece
caricare la folla per evitare che si venisse alle mani.
Un
carabiniere inciampò e trasse con se a terra alcuni del
Comitato, ma nulla di grave si deplorò.
Per opportuna misura di prudenza le bandiere apparse sul
palcoscenico vennero riposti in un sito sicuro e non apparvero
in piazza. Intanto chiuso il Teatro la folla preceduta dal Sindaco, dal
cav. Pace Di Bella e dagli assessori e consiglieri comunali
percorse la via principale del paese acclamando l’Ammin.
Comunale.
Ogni tanto si udì un grido di abbasso i cesarotani
di Bronte; però in piazza Castiglione il Sindaco, da una
gradinata disse alla folla plaudente: abbasso nessuno, viva la
giustizia, viva il Re. La dimostrazione proseguì per via Umberto ed in piazza
della Madonna della Catena parlò il cav. Paci Di Bella
incitando i dimostranti a sciogliersi, fidenti nella giustizia
che non mancherà essere fatta a Bronte ad onta dell'opera di
qualunque avversario del bene. Ma i dimostranti applaudendo ancora non si sciolsero, ma
seguirono fino al Palazzo municipale i rappresentanti del
comune.
Quivi furono distribuiti alcuni fogli volanti che
contenevano in riassunto la storia della vertenza, e mettevano
in evidenza come l’Amministrazione che tiene il potere abbia
fatto risorgere la questione, quale novello Lazzaro, già da
tempo sepolto e dimenticato dall’Amministrazione che l'aveva
preceduto. Il foglio andò a ruba. Frattanto parte del Comitato promotore del Comizio non potuto
riuscire, seguito dagli aderanti giunse fino a piazza
Castiglione dove il Dott. Cimbali inneggiò il Governo del Re e
si augurò che la vertenza Bronte Cesarò fosse risoluta.
L'oratore venne applaudito e quindi anche questa dimostrazione
si sciolse pacificamente. Fino a tarda ora nei circoli, nelle farmacie, nei caffè ed in
tutti i luoghi di riunione si commentò variamente quanto era
accaduto nella giornata.
Noi limitandoci alla pura cronaca
diciamo che mentre gli amici dell'amministrazione dicono che
il comizio di domenica consentito per stigmatizzare la
condotta dell'Amministrazione, è finito con riuscire una solenne,
unanime, trionfale affermazione della fiducia che essa gode
della grandissima maggioranza del paese. Invece i promotori del Comizio si lagnano che siano stati
interpretati male i loro sentimenti; che sono stati
sopraffatti ed è stata impedita la libertà della parola, e che
potendo parlare avrebbero tolto l'equivoco o il malinteso.
In un caffè, da un sentenzioso omaccione abbiamo
raccolto questo giudizio, che può essere anche di un
indifferente: Quello di oggi è stato un referendum sommario
che ha giudicato delle cose del nostro paese!!!» (Il Corriere di Catania, Anno XXIV, n. 35 del 4
Febbraio 1902) |
Agosto 1902 Parere della Commissione Tecnica Roma 7 ore 20.15 Cas.
Ecco le
conclusioni della Commissione Tecnica (Colonnello nti e
sigg. Rava e Pareno) nominata dalla Sez. IV del Consiglio di Stato
che confermano il buon diritto della vostra Provincia e del Comune
di Bronte, di fronte alle assurde ed inutili pretese del Comune di
Cesarò: - Omissis - Come risulta da quanto forma oggetto
dei due numeri precedenti, indipendentemente dal significato che
voglia darsi alle parole, feudo o territorio, la
parte di terreno o di regione contestata, la quale verrebbe a
trovarsi al di fuori della linea di confine della Comarca di
Catania, tracciata dalla legge, non dovrebbe, ad ogni modo,
quando ne fosse esclusa questa Comarca, aggiudicarsi a quella di
Mistretta, come è stabilito dal R. Decreto 13 giugno 1301, ma
bensì a quello di Patti, corrispondente all'attuale circondario di
Patti, salvo piccola porzione a Sud, o meglio sulla destra del
Cutò, costituita dall'ex feudo di S. Nicolò, la quale sola
dovrebbe passare alla comarca o circondario di Mistretta. E ciò attenendosi al compito puramente tecnico imposto alla
Commissione, senza cioè entrare nel merito delle altre ragioni di
ordine giudiziario, per le quali il parere della I Sezione del
Consiglio di Stato, facendo assoluta astrazione del confine
imposto dalla legge del 1812 vorrebbe che la parte di territorio
in questione, malgrado fosse compreso nei limiti della comarca di
Patti, venisse aggiudicata invece a quella di Mistretta, e per
questa al comune di Cesarò. E qui potrebbe ritenersi esaurito il mandato della Commissione,
(…) [L’Imparziale, 7 Agosto 1902] |
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