LE CARTE, LE PERSONE,  LA MEMORIA...

Il ven. Ignazio Eustachio Capizzi

I personaggi illustri di Bronte, insieme

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Umile sacerdote, coraggioso ed ardito, dedicò gran parte della sua vita a favore degli ammalati, dei poveri e della gioventù

Ignazio Capizzi e il suo tempo

di Adolfo Longhitano

Ignazio Capizzi

 

1. Chi legge le biografie del venerabile Ignazio Capizzi, e le commemorazioni che si sono avute a scadenza regolare per ricordare la sua nascita o la sua morte, nota con disappunto la mancanza di contestualizzazione storica negli studi su questo sacerdote, che ha segnato nel ’700 la vita sociale e religiosa di Palermo, Bronte e di diverse città della Sicilia(1).

Se non ci fossero le date o alcuni scarni riferimenti ai vescovi e alle autorità civili con cui il Capizzi durante la sua vita entrò in rapporto, potremmo indifferentemente collocare la sua figura nel ’600, nel ’700 o nell’800.
Si ha l’impressione che gli autori diano per scontato che il lettore conosca il modello di società e le vicende storiche che fanno da cornice al personaggio di cui descrivono la vita e soprattutto che considerino ininfluente la matrice culturale di un periodo storico sui personaggi che vi operano.

In realtà nessun uomo è il frutto del caso o può essere considerato al di fuori del contesto sociale e storico in cui è vissuto. La nostra persona è al centro di una fitta rete di rapporti che ci legano alla nostra famiglia, al paese in cui viviamo, sono condizionati dagli eventi che si sono verificati prima di noi e attorno a noi.

Fra la nostra persona e la società, oltre ad esserci un rapporto di causalità (esistiamo perché qualcuno ci ha messi al mondo e ci ha aiutato nella nostra crescita) c’è un rapporto di identità (in ognuno di noi ci sono tracce dei nostri avi, dei concittadini, degli avvenimenti in cui siamo stati coinvolti).
Guardando la figura di Ignazio Capizzi ci si rende subito conto che i luoghi nei quali è vissuto, le diverse persone di varia estrazione sociale e cultura che ha incontrato, gli avvenimenti nei quali è stato coinvolto hanno inciso profondamente nella sua personalità.

Mons. Adolfo LonghitanoRelazione tenu­ta da mons. Adolfo Longhi­tano, presi­dente del Tribu­nale eccle­siastico dioce­sano, in occasione dei festeggia­menti che Bronte, unita­mente all'arci­dio­cesi di Cata­nia, sabato 20 settem­bre 2008, ha organizzato in occasione del tricentenario della nascita del venerabile sac. Ignazio Capizzi.

I. Capizzi e il suo tempo
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Di mons. Adolfo Longhitano leggi pure
 - La chiesa Madre e l'identità dei brontesi
 - Il gruppo marmoreo dell'Annunziata

Un discorso di commemorazione non è certamente il momento più idoneo per contestualizzare il nostro venerabile nel periodo storico in cui è vissuto; ma è l’unica opportunità che mi si offre e volentieri la colgo, nella piena consapevolezza dei suoi limiti.


2. Questa celebrazione intende ricordare i trecento anni della nascita di Ignazio Capizzi, avvenuta a Bronte il 20 settembre del 1708.
Bronte non era un centro abitato rinomato per antica fondazione o per numero di abitanti. Il documento più sicuro che ne accerta l’esistenza come casale — almeno per quanto mi risulta — è dell’inizio del ’300: negli elenchi di coloro che pagavano le decime a Roma nel 1308-1310 è indicato il «presbiter Nicolaus graecus de casali Bronti», che pagò 6 tarì(2).

Com’è noto, solo verso nella prima metà del ’500, con la riunione dei casali al tempo di Carlo V, Bronte raggiunse una popolazione di circa 3.000 abitanti, costituita da pastori, boscaioli, contadini e artigiani. Di fatto non aveva autonomia amministrativa, dipendendo o dall’abbazia di Maniace o dal marchesato di Randazzo(3).

Il territorio di Bronte, come parte della circoscrizione territoriale dell’abbazia di Maniace, nel 1174 fu assoggettato all’abbazia di Monreale, che nel 1183 divenne capoluogo di una nuova diocesi. Nei piani del re Guglielmo II l’abbazia e la diocesi di Monreale dovevano costituire un argine politico contro le popolazioni musulmane superstiti e una testimonianza delle glorie normanne in Sicilia(4).

Per secoli a Bronte gli unici centri di istruzione primaria, ai quali gli abitanti potevano accedere, erano quelli gestiti dalle chiese o dai conventi. Chi voleva frequentare i corsi di istruzione superiore doveva emigrare altrove.
La laurea poteva essere conseguita solo a Catania o a Messina fino al 1679, data in cui l’università fu chiusa dopo la rivoluzione antispa­gnola. Bronte, nonostante la sua marginalità, diede alla cultura e alla società civile e religiosa non pochi personaggi, formatisi nei collegi dei gesuiti, negli studi interni degli ordini religiosi, nel seminario di Monreale, nelle due università di Catania e di Messina o nelle università delle regioni continentali italiane(5).

Ignazio Capizzi è certamente uno dei personaggi di maggiore spicco che Bronte diede alla società del ’700, un periodo storico ricco di avvenimenti e di fermenti culturali, che hanno determinato il passaggio della Sicilia dall’Ancien régime all’età contemporanea.

Proprio in quegli anni, dopo rivolte e contestazioni, la dominazione spagnola in Sicilia si avviava alla fine. Nell’arco di un trentennio la Sicilia fu soggetta a cinque diverse dominazioni: gli Asburgo di Spagna, i Borboni, il Duca di Savoia, l’imperatore d’Austria e ancora una volta i Borboni(6).
Apparentemente quando il 2 settembre 1734 il generale spagnolo Montemar, entrato a Palermo prese possesso dell’ufficio di viceré in nome di don Carlos, infante di Spagna, non accadde nulla di straordinario o di traumatico: erano ritornati gli spagnoli dopo le due parentesi dei piemontesi e degli austriaci.
In realtà si ebbe un fatto nuovo: i regni di Napoli e di Sicilia non erano più associati alla corona di Spagna (o dell’Austria); nel Mezzogiorno nasceva una nuova monarchia indipendente e nazionale.

Carlo III fu incoronato re delle due Sicilie nella cattedrale di Palermo il 3 luglio 1735, avviando un periodo storico contrassegnato da profonde riforme illuministiche, rese possibili dai rapporti stabiliti con gli intellettuali napoletani più aperti. Ignazio Capizzi, che ricevette i tre ordini maggiori tra il 1734 e il 1736, svolse il suo ministero pastorale negli anni del giurisdizionalismo di Bernardo Tanucci(7).

A così rapidi mutamenti politici non fece seguito il cambiamento delle strutture del regno. L’ordinamento della Sicilia era quello dato dai normanni dopo la conquista, a conclusione della guerra contro gli islamici, con alcuni mutamenti apportati dai re di Spagna. I normanni avevano creato uno Stato forte, in cui il sovrano, oltre ad avere il dominio eminente su tutti i feudi concessi ai laici o agli ecclesiastici, aveva il pieno esercizio della giurisdizione civile ed ecclesiastica.

Nell’organizzazione politica data dai normanni al regno di Sicilia appare molto più accentuato che negli altri Stati d’Europa il modello della cristianità, caratterizzato dall’alleanza del potere temporale con lo spirituale. Questo particolare assetto comportava: la sovrapposizione dei due ordinamenti, il mutuo sostegno, lo scambio dei ruoli e la perdita per ognuno di essi della propria identità(8).

Dopo la guerra del Vespro (1282-1302), lo scisma d’occidente (1378-1417) e lo sbarco dei Martini (1392) si ebbe l’impressione che l’ordinamento della Sicilia si fosse adeguato a quello delle altre regioni europee; ma all’inizio del ’500, dopo la riscoperta della bolla Quia propter prudentiam tuam, con cui Urbano II il 5 luglio 1098 aveva conferito al Conte Ruggero il privilegio di legato pontificio, i re di Spagna, con un’interpretazione strumentale e antistorica del documento papale, instaurarono l’Apostolica Legazia e il tribunale della Regia Monarchia, acquisendo anche il controllo ecclesiastico della Sicilia e dando vita ad una rigida forma di assolutismo regio(9).

Nel 1711, durante la prima infanzia di Ignazio Capizzi, esplose in Sicilia la controversia liparitana, che per oltre un decennio determinò un aspro confronto fra le autorità ecclesiastiche e civili con il ricorso a scomuniche, interdetti, bandi di esilio...

Quando il giovane Ignazio Capizzi, nella primavera del 1726 si trasferì a Lipari come paggio del vescovo Pietro Vincenzo Platamone, da quattro anni era stata firmata la Concordia benedettina, che aveva chiuso la controversia liparitana senza risolvere i problemi che l’avevano provocata(10).


3. Alla sostanziale staticità delle strutture del Regno faceva riscontro una straordinaria vivacità di fermenti culturali, che fin dal ’600 aveva contribuito a creare nella società siciliana nuovi centri di riferimento e a introdurre una nuova mentalità. In Sicilia la cultura era legata tradizionalmente ai gesuiti e alla loro rete di collegi, istituiti nelle città più popolose a partire dalla seconda metà del ’500(11).

In assenza di scuole pubbliche, l’insegnamento superiore era diventato monopolio della Compagnia di Gesù; solo gli studi interni dei religiosi o qualche altro collegio gestito sempre da religiosi potevano costituire un’alternativa. Nei collegi dei gesuiti si insegnava la filosofia scolastica e si seguiva l’indirizzo dottrinale elaborato durante gli anni della controriforma. Inoltre prevaleva un atteggiamento conservatore sul piano culturale e politico.

Verso la prima metà del ’600 si sviluppò un movimento culturale alternativo a quello dei gesuiti, che si era già manifestato come minoranza al Concilio di Trento e che non era riuscito ad affermarsi per la soverchiante presenza della Compagnia di Gesù.

Questo movimento culturale intendeva riformare la Chiesa a partire dal modello idealizzato della Chiesa antica e dalla teologia agostiniana. I tratti di questo movimento, che caratterizzavano in Francia i cattolici ferventi, erano: il pessimismo, un forte senso del peccato, l’importanza riconosciuta al fattore della grazia, il rigorismo morale, l’ascetismo(12).

A questo movimento culturale bisogna ricondurre la figura e il pensiero del vescovo fiammingo Giansenio e il giansenismo che da lui prese nome. Il giansenismo, per alcune sue tesi radicali sulla grazia, per l’atteggiamento settario e antigerarchico assunto nel difendere le proprie testi, fu condannato il 6 giugno 1643 da Urbano VIII con la bolla In eminenti, chiaramente ispirata dai gesuiti(13).

Il clamore suscitato dalla diffusione del giansenismo e dalla sua condanna (fra i suoi difensori troviamo Blaise Pascal) determinò nella letteratura del tempo la polarizzazione dei due principali antagonisti gesuiti/giansenismo e la conseguente assimilazione al giansenismo di tutte le correnti di pensiero alternative ai gesuiti. In sostanza tutto ciò che non poteva essere ricondotto ai gesuiti era considerato giansenista. Quindi il movimento culturale e i personaggi che nel ’700 si proposero di rinnovare la società siciliana furono qualificati sbrigativamente come giansenisti.

Nel tempo non fu difficile considerare il giansenismo solo come una filiazione di quel movimento di riforma presente al Concilio di Trento, che continuò un suo percorso parallelo, evitando gli eccessi dei seguaci di Giansenio. Gli storici hanno coniato espressioni diverse per definire i fautori di questo movimento: i francesi li chiamano “illuministi cattolici” o “cattolici illuminati”(14); Emile Appolis parla di un “terzo partito” fra i gesuiti e i giansenisti(15); i tedeschi preferiscono parlare di Aufklärung (rischiaramento(16)).
Fra i protagonisti di questo movimento troviamo: gli agostiniani, i domenicani, i benedettini, gli oratoriani di S. Filippo Neri e le grandi università della Sorbona e di Lovanio(17).

La presenza in Sicilia di questa corrente di pensiero era stata avvertita fin dalla seconda metà del ’600. La polemica contro la Spagna, che sfociò nella rivolta filo-francese di Messina del 1674-1678, ebbe come esito la diffusione in Sicilia della nuova cultura francese.
La filosofia di Cartesio e di Malebranche penetrò per opera di Gian Alfonso Borelli, Michelangelo Fardella, Tommaso Campailla, seguaci di un indirizzo antiscolastico, antigesuitico e antiaccentratore. Con la filosofia moderna antiscolastica, attraverso l’opera del teatino Giuseppe Maria Tomasi (1649-1713), entrò il metodo storico-critico dei Maurini e dei Bollandisti.

Il rinnovamento della cultura siciliana non fu debitore solamente al pensiero francese; non mancarono i riferimenti ai pensatori tedeschi e inglesi. I cultori della matematica e delle scienze, oltre a Cartesio, si rifacevano alle opere di Galilei e di Newton(18).

Anche le congregazioni del clero, istituite a Palermo dai gesuiti verso la metà del ’600, devono essere considerate un frutto della cultura francese. Erano istituzioni alternative al modello del seminario voluto dal Concilio di Trento, fondate a Parigi da Jean Jeacques Olier nella chiesa di Sainte-Sulpice. Mentre il seminario prevedeva che i giovani aspiranti al sacerdozio ricevessero una formazione in un luogo chiuso agli influssi del mondo, le congregazioni fondate sul modello francese erano luoghi aperti, in cui si ritrovavano con orari e programmi prefissati i sacerdoti e i giovani che aspiravano a ricevere gli ordini, per vivere insieme esperienze di preghiera, di formazione e di vita comune(19).

I frutti più cospicui di questa primavera culturale si ebbero a Palermo nella prima metà del ’700, proprio negli anni in cui Ignazio Capizzi fu ordinato sacerdote e incominciò a svolgere il suo ministero. Ecclesiastici e laici “illuminati” diedero vita ad un movimento che in filosofia e teologia alle tesi tradizionali della scolastica, sostenute nei collegi dei gesuiti, preferivano le più moderne concezioni di Locke, Leibniz e Wolff e la visione agostiniana della libertà e della grazia.

Nei loro progetti auspicavano il rinnovamento individuale ed ecclesiale mediante una serie di concrete iniziative: una soda istruzione religiosa dei fedeli a partire dalla Sacra Scrittura, dai Padri e dalla sana teologia; la disciplina delle forme tradizionali della religiosità popolare e del culto dei santi; la riforma del seminario per garantire la formazione culturale e religiosa del clero; la riduzione del suo numero, la riorganizzazione della cura delle anime, la disciplina dei benefici e dei capitoli di canonici...
Fra i modelli ai quali facevano riferimento c’era quello delineato da Ludovico Antonio Muratori. «L’accademia del Buon Gusto», sorta a Palermo nel 1718, pare si ispirasse al suo volume Riflessioni sopra il buon gusto(20).

Ignazio Capizzi collaborò o ebbe rapporti personali con alcuni protagonisti del movimento culturale siciliano di questo periodo: Marcello Papiniano Cusani, arcivescovo di Palermo dal 1754 al 1762, Francesco Testa, arcivescovo di Monreale dal 1754 al 1773, Salvatore Ventimiglia, vicario generale di Palermo nel 1755 e poi vescovo di Catania dal 1757 al 1771; Nicola Spedalieri, concittadino del Capizzi, che insegnò nel seminario di Monreale e operò nell’ambiente culturale di Palermo durante l’episcopato di Francesco Testa; Giovanni Di Giovanni, rettore del seminario di Palermo, Vincenzo Miceli, docente di filosofia al seminario di Monreale e parroco della cattedrale.

Il nostro venerabile, ormai sessantenne, assistette all’espulsione dei gesuiti (1767) e alla nascita dell’istruzione pubblica in Sicilia dalle ceneri dei collegi da loro fondati e gestiti.


4. Una società così ricca di stimoli culturali quale contributo diede per la formazione e l’attività pastorale di Ignazio Capizzi? Prima di definire la matrice culturale e pastorale di Ignazio Capizzi, è necessario porre in rilievo la varietà di persone e di luoghi che influirono nella sua formazione.
La matrice di partenza è quella di una famiglia del popolo, che fonda la propria esistenza su valori fondamentali e semplici, vissuti alla luce della fede cristiana: la famiglia, il lavoro, il sacrificio, la solidarietà... Essendo venuta meno prematuramente la figura paterna, la persona che maggiormente influì sull’animo di Ignazio Capizzi fu la mamma e i parenti, che l’aiutarono nella difficile situazione in cui si trovò la sua famiglia.

A otto anni fece l’esperienza del duro lavoro di pastore, che lo abituò al sacrificio e ad una visione essenziale della vita.
In ritardo rispetto ai suoi coetanei, incominciò a frequentare le scuole elementari private dei sacerdoti Mario Franzone e Pietro Politi(21). I due sacerdoti facevano parte dell’Oratorio di S. Filippo Neri, istituito a Bronte nel ’600, nei locali attigui alla chiesa S. Maria della Catena(22).
I due filippini, notando in lui i germi della vocazione al sacerdozio, oltre la lingua italiana, gli impartirono i primi rudimenti della lingua latina e lo invogliarono a prestare servizio nella chiesa madre.
L’istruzione ricevuta a Bronte non era sufficiente e i suoi insegnanti, d’accordo con la mamma, per consentirgli di andare avanti negli studi, gli suggerirono di trasferirsi a Caltagirone, dove poteva frequentare le scuole superiori nella casa dell’Oratorio di S. Filippo Neri(23).

Dopo la formazione ricevuta dalla mamma, quella datagli dei padri filippini a Bronte e a Calta­girone deve essere considerata fondamentale per comprendere la personalità umana e cri­stiana di Ignazio Capizzi.

In quegli anni fra i padri dell’Oratorio si era notato un certo acco­stamento alla tradi­zione agostiniana, anche se non siamo in grado di stabilire se questo indirizzo era stato fatto proprio dalle case di Sicilia frequentate dal nostro venerabile. È certo però che nell’attività apostolica privilegiavano la predicazione, la celebrazione del­l’Euca­ristia e della penitenza, la formazione dei giovani. Una delle loro note carat­teristiche era la prassi della vita comune dei sacerdoti(24).

Il giovane Ignazio Capizzi rientrò a Bronte all’età di 17 anni, deciso di diventare sacer­dote e nel 1726, con le lettere dimissorie dell’arcivescovo di Monreale, ricevette nella chiesa madre dall’arcivescovo di Messina la tonsura e gli ordini minori, diventando chierico a tutti gli effetti(25).

Il cammino che lo avrebbe portato al sacerdozio era ancora lungo e un altro periodo di for­ma­zione fu vissuto dal giovane Ignazio a Lipari, dove si recò come chierico di came­ra o inserviente del vescovo, il domenicano Pietro Vincenzo Platamone.

In episcopio, nelle ore libere, seguiva le lezioni di filosofia e di teologia del p. Domenico Licata, anche lui appartenente all’ordine dei predicatori(26).
I padri domenicani in quegli anni avevano contribuito a consolidare il fronte antigesui­tico.
I due ordini religiosi facevano entrambi riferimento alle opere di S. Tommaso d’Aquino: tuttavia mentre i gesuiti erano i maggiori fautori della teologia controversi­stica, tipica della controri­forma, e nelle questioni sulla grazia sostenevano energica­mente il molinismo, i domenicani avevano preferito mantenersi in una dimensione più spirituale e nelle questioni sulla grazia erano più vicini alla concezione agostiniana.

Nella prima metà del ’700 era in piena attività ad Agrigento il collegio dei domenicani, emblematicamente intitolato ai Santi Agostino e Tommaso, dove insegnò il p. Antonino Lo Presti, confessore e assiduo collaboratore di Salvatore Ventimiglia, prima vicario generale di Palermo e poi vescovo di Catania(27) e dove si formò Giovanni Agostino De Cosmi, uno dei protagonisti della cultura di questo periodo storico(28).

Il giovane Ignazio Capizzi nel 1731 aveva portato a termine con profitto gli studi teologici e per accedere agli ordini maggiori aveva bisogno del patrimonio sacro. Infatti le norme canoniche e civili, per porre un freno al crescente numero di ministri sacri e per evitare lo spettacolo penoso dei sacerdoti che aspettavano ogni giorno nelle piazze l’invito a celebrare una messa da cui trarre il necessario per vivere, obbligavano i candidati al suddiaconato a documentare il possesso di un immobile o di una rendita sicura. La mamma di Ignazio Capizzi, con l’aiuto dei parenti, riuscì ad intestare al figlio una piccola proprietà a titolo di patrimonio sacro(29).

Tuttavia il completamento degli studi teologici e il possesso del patrimonio sacro non costi­tuivano un diritto a ricevere gli ordini.
La decisione era di competenza del vescovo, a cui spettava accertare l’idoneità del candidato e i reali bisogni della diocesi. Il nostro venerabile, pur vivendo a Lipari, apparteneva alla diocesi di Monreale; pertanto doveva essere il suo vescovo ad ammetterlo al suddiaconato.

In quel periodo i vescovi di Monreale, nonostante le norme sull’obbligo della residenza emanate dal Concilio di Trento, vivevano abitualmente a Roma, dove occupavano importanti incarichi politici o ricoprivano uffici di responsabilità nella curia romana; la diocesi era governata abitualmente da un vicario generale.

Questa situazione anomala era determinata dal ricco patrimonio della mensa vescovile di Monreale, utilizzato dai re di Sicilia e dai papi per assicurare un lauto compenso ai collaboratori più fidati(30).

L'umile Ignazio Capizzi figura centrale del quadro di Ago­stino Attinà "Uomini illustri di Bronte". Asceso al mitico Parnaso, ricoperto di boschi, Ignazio riceve dall'Arcangelo (e non dalle Muse) una corona d’alloro, simbolo di vittoria per i molti meriti di virtù e santità acquisiti lungo l'arco di sua vita.

Sulla sinistra, è rappresentato il Monte Etna che sovra­sta Bronte e le "Reggie Pubbliche Scuole" da Lui volute e ivi fondate, poste al centro tra Chiese e Conventi.
 

Nelle due immagini a destra: Ignazio Capizzi (Sac. Ignatij Capizzi - Vera effiges) in una incisione tratta dal libro di un suo confratello, Michele De Albo, pubblicato nel 1786, tre anni dopo la sua morte.
Sotto, un'altra antica incisione che ci ricorda un episodio della vita di Ignazio Capiz­zi. La didascalia reci­ta : «Miste­rioso so­gno di Ignazio Capizzi, a cui mentreche assiste da Diacono alla Messa di Mons. del Castill, l'Infante Gesù aperto il Taberna­colo scocca una saetta e ferisce il cuore»

Ven. Ignazio Capizzi

La targa murata sulla pare­te della casa natale del ven. I. Capizzi, al n. 44 di via Sca­fiti. La frase ivi scolpita è di B. Radice che nelle sue Memorie stori­che di Bronte così scrive:

«Alla casa dei Capizzi sita nella discesa del fu baro­ne Meli al mio tempo leggevasi questa iscri­zio­ne: "Hic olim domus vene­rabilis Ignatii Capizzi".
Allargandosi quel tratto di strada che dalla casa del fu barone Meli, porta in via Cimbali, la scala col ballatoio che era unito ad un cavalcavia, fu buttata giù. La lapide non vi fu più rimessa.
Nel 1916, a cura di alcuni operai fu apposta una novella lapide con la seguente mia iscrizione: «Questa umile casetta - san­tuario di virtù, del venerabile Igna­zio Capiz­zi – gli operai - ai presenti e ai futuri - ricordano».
Ma - continua il Radice - «da ulteriori ricerche, nel rivelo 1714, f. 74 Deputazione del Regno, fatto dal di lui padre Placido Capizzi rivelasi che il Capizzi nacque invece nella casa paterna sita nel quartiere Catena, confinante allora a levante con casa di Pietro d'Andrea, a ponente con casa di Maestro Mario De Luca. Non mi è stato possibile identificarla.»

Contrariamente a quanto scrivono i biografi del Capizzi, in quegli anni arcivescovo di Monreale non era il cardinale Troiano Acquaviva, ma il cardi­nale Alvaro Cienfuegos, gesuita, personaggio di rilievo sul piano culturale e politico(31).

Il viaggio avventuroso intrapreso dal nostro venerabile sino a Roma fu del tutto inutile, perché l’arcivescovo di Monreale, occupato in ben altri affari, non volle neppure riceverlo e lo invitò a rivolgersi al suo vicario generale.

Rientrato in Sicilia, si recò a Monreale, ma la sua richiesta fu respinta e Ignazio Capizzi, dovendo dare un orientamento alla propria vita, decise di lavorare come infermiere nell’ospedale maggiore di Palermo e di studiare allo stesso tempo medicina (1731-1734).

Dopo aver portato a termine il corso di studi previsto, era stato già incaricato a svolgere l’attività di medico in un comune del palermitano, quando decise di ritentare la via del sacerdozio(32).
Gli anni trascorsi dal nostro venerabile nell’ospedale di Palermo e nello studio della medi­cina non vanno sottovalutati per delineare la sua personalità.

Il contatto quotidiano con la sofferenza e l’impegno a comprendere ed alleviare il dolore dei malati contribuì ad affinare in lui quella sensibilità umana e cristiana che caratterizzò il suo ministero.

In questi anni decisivi per il suo futuro, nella vita del nostro venerabile ebbe una parti­colare incidenza la Compagnia di Gesù e il gesuita catanese padre Agatino Tedeschi, che egli aveva scelto come confessore e direttore spirituale.

La sua decisione di abbandonare l’esercizio della medicina e di riprendere il cammino verso il sacerdozio era maturata a conclusione di un corso di esercizi spirituali al Collegio Massimo di Palermo dei padri gesuiti.

Il suo confessore gli suggerì di chiedere ancora una volta al vicario di Monreale l’ordi­nazione al suddiaconato, che gli fu conferita nel 1734.

Ricevuta l’ordinazione al suddiaconato, decise di frequentare il corso di studi in teologia nel Collegio Massimo, dove nel 1736 conseguì la laurea.

Nello stesso anno si iscrisse alla Congregazione Maria SS. del Fervore, che, sempre al Collegio Massimo, riuniva i sacerdoti e gran parte degli aspiranti al sacerdozio di Paler­mo. In questi ambienti e con queste persone il venerabile Ignazio Capizzi portò a com­pimento la sua formazione, prima di essere ordinato sacerdote il 25 maggio 1736(33).


5. Dopo avere sommariamente descritto gli ambienti e le persone che contri­buirono alla formazione umana, cristiana e sacerdotale del venerabile Capizzi, è necessario individuare i tratti più significativi della sua personalità e le istanze interiori che spiegano l’indirizzo dato al suo ministero sacerdotale.

Le traversie subite dal Capizzi per giungere alla meta dell’ordinazione sacerdotale e i diversi ambienti frequentati per portare a compimento la sua formazione, non rendono facile il compito di individuare una prevalente matrice culturale.

Egli ebbe la possibilità di conoscere e di frequentare persone di diversa formazione e orientamento: dai medici dell’ospedale di Palermo ai sacerdoti e religiosi di diverse scuole teologiche: i padri dell’Oratorio di S. Filippo Neri, i domenicani, i gesuiti, la Congregazione Maria SS. del Fervore, i vescovi e il clero di Lipari, Monreale e Palermo. Queste persone e questi ambienti contribuirono alla formazione della personalità del Capizzi.

Busto del ven. Capizzi (di M. La Spina)Possiamo far rientrare Ignazio Capizzi nel modello dei cattolici illuminati; ma dobbiamo subito far notare che si tratta di un quadro ampio, complesso e poco omogeneo, che può accogliere al suo interno persone con interessi diversi e non sempre convergenti.

Ad esempio: è possibile fare un confronto fra Ignazio Capizzi e Nicola Spedalieri, due sacerdoti brontesi, che operarono nello stesso ambiente, anche se il Capizzi era nato trent’anni prima: possiamo considerare entrambi cattolici illuminati, ma ognuno dei due aveva interessi e prospet­tive diverse: Ignazio Capizzi si era indirizzato alla predicazione, all’attività pastorale e all’azione sociale per istruire e formare i giovani; lo Spedalieri aveva orientato la propria vita all’attività intellettuale: l’insegnamento nel seminario di Monreale e la ricerca sui diritti dell’uomo(34).

Ritengo che sia la matrice teologica agostiniana a contraddistinguere la formazione teologica e spirituale del Capizzi e a giustificare la sua collocazione all’interno del modello dei cattolici illuminati.

Egli per indole era esuberante e sanguigno, con una visione pessimistica di sé; dava l’impressione di essere assillato dal problema del peccato e dei suoi effetti nefasti; fra i problemi prioritari della sua formazione c’era quello di raggiungere il pieno dominio di sé. I biografi scrivono che dormiva su una coperta stesa sul pavimento, usava diversi strumenti di disciplina, mangiava solo pane, verdure e frutta, aggiungendo volutamente al cibo già povero che consumava, ingredienti vari per renderlo meno appetibile; spesso sentiva il bisogno di immergersi in una vasca d’acqua fredda per calmare le eccitazioni del suo temperamento(35).

Allo stesso tempo, secondo il modello della Devotio moderna mediata dalla spiritualità di S. Filippo Neri, rifuggiva dalle sottili disquisizioni speculative, per fissare la propria attenzione sull’umanità del Figlio di Dio. Egli aveva stabilito un intenso rapporto personale con Cristo, con la Madonna e i Santi, dedicando molto tempo alla preghiera, intesa come dialogo e come visione estatica. Appena gli era possibile si recava in chiesa e si prostrava disteso sul nudo pavimento per raccogliersi in preghiera. Dagli atti del processo di canonizzazione risulta che sia stato dotato di doni mistici(36).

I cattolici illuminati volentieri si richiamavano al modello idealizzato della Chiesa primitiva, per impegnarsi a condurre una vita “apostolica” in comunità. Da questo punto di vista il nostro venerabile può essere considerato un esempio particolarmente significativo: non amava vivere da eremita o nelle case delle famiglie aristocratiche che gli offrirono ospitalità, ha sempre preferito la vita comune con i suoi confratelli(37).

Aveva scelto la povertà come stile di vita: gli bastava poco per vivere e rifiutò con fermezza prebende, benefici e cappellanie redditizie(38). Anche se per realizzare le sue opere si trovò nella necessità di avere somme non indifferenti, non accumulava denaro, trovava sempre benefattori disposti a finanziare le sue opere e a venire incontro ai casi più disperati(39).

Aveva orientato il suo ministero soprattutto alla predicazione e alla cura delle anime nella parrocchia dell’Albergheria(40). Subito dopo l’ordina­zione sacerdotale si era iscritto alla Congregazione delle missioni, che aveva come fine di istruire i ragazzi dei quartieri poveri e periferici nella dottrina cristiana e di predicare le missioni agli adulti(41). Su questo indirizzo erano convergenti i diversi modelli di formazione che aveva ricevuto: i padri dell’Oratorio, i frati predicatori o domenicani, i gesuiti, che avevano in Sicilia una fitta rete di missioni popolari(42).

Alla predicazione abituale, che egli teneva nelle congregazioni alle quali era iscritto, bisogna aggiungere quella per cui era invitato nelle chiese di Palermo e in altre diocesi della Sicilia. Predicò missioni popolari a Messina, a Monreale, a Nicosia, a Castelvetrano, a Leonforte, Alimena, Resuttana(43) ...

Quando i suoi viaggi a Bronte divennero più frequenti, dava l’impressione che lo scopo della sua visita non fosse tanto la progettazione e la costruzione del collegio, quanto la predicazione di missioni popolari nella chiesa madre(44).

La spiritualità del venerabile Capizzi non era fine a se stessa, finalizzata ad un suo appagamento personale. Egli avvertiva il desiderio di prodigarsi per gli altri e il suo impegno non era limitato all’ambito esclusivamente religioso. Predicando le missioni o frequentando i quartieri popolari di Palermo, aveva avvertito la necessità di occuparsi dell’assistenza e dell’istruzione dei ragazzi e dei giovani delle famiglie povere, che erano abbandonati a se stessi.

Egli possedeva straordinarie doti per progettare e organizzare. Proprio durante la prima infanzia del nostro venerabile, il cardinale Pietro Marcellino Corradini aveva istituito a Sezze Romano il primo Collegio di Maria (1717) per l’assistenza e la formazione civile e religiosa delle ragazze povere.

Questi collegi — che nelle diverse regioni non sempre ebbero lo stesso ordinamento — non erano destinati ad accogliere ragazze desiderose di consacrarsi a Dio; erano dirette da suore, che davano alle ragazze ospiti l’istruzione elementare e le addestravano nelle attività femminili per aiutarle a diventare buone madri di famiglia e a inserirsi utilmente nella società(45).

L’iniziativa dal Lazio si era subito diffusa in Sicilia: a Palermo nel 1721 il sac. Gaetano Lo Piccolo ne aveva fondato uno nel quartiere della Kalsa, intitolato a S. Maria della Sapienza; nel 1747 il Capizzi ne fondò un secondo, intitolato alla Madonna del Carmine, nella parrocchia dell’Alber­gheria, dopo aver convinto il parroco sulla bontà dell’iniziativa e aver superato non poche difficoltà economiche.

Nel 1761, quando morì il sac. Lo Piccolo, l’arcivescovo Marcello Papiniano Cusani affidò al Capizzi il collegio S. Maria della Sapienza. Pertanto entrambi i collegi esistenti a Palermo furono testimoni per decenni dello zelo, delle iniziative di solidarietà umana e cristiana del venerabile Ignazio Capizzi(46).


6. La prima idea di fondare a Bronte un collegio per l’istruzione e la formazione dei giovani venne al nostro venerabile nel 1759, quando aveva poco più di cinquant’anni(47). Egli, pur svolgendo il ministero sacerdotale a Palermo e a Monreale, non si era dimenticato della propria patria e delle traversie incontrate da giovane per completare un regolare corso di studi. Il nostro venerabile voleva evitare che i giovani di Bronte per avere l’istruzione superiore fossero costretti ad emigrare o a entrare negli ordini religiosi. Allo stesso tempo voleva offrire al clero di Bronte una grande opportunità di formazione spirituale personale e di impegno per i giovani.

Parlò di questo suo progetto con l’arcivescovo di Monreale, quando mons. Francesco Testa gli offrì la cappellania della storica chiesa di San Cataldo a Palermo, che gli avrebbe assicurato l’alloggio, un punto sicuro di riferimento per le sue attività apostoliche e un reddito sicuro. Ignazio Capizzi rifiutò la proposta, che avrebbe posto un limite al suo ministero pastorale e in cambio chiese all’arcivescovo di aiutarlo a realizzare a Bronte il progetto di un collegio.
Mons. Testa non scoraggiò l’idea del Capizzi, ma fino alla sua morte (1773) non fece nulla per realizzarla. Il nostro venerabile si rese conto che era necessario prendere da solo l’iniziativa, fidando nell’aiuto della Provvidenza.

Mise al corrente del proprio progetto alcuni sacerdoti e laici di Bronte, che si mostrarono entu­siasti e disposti ad aiutarlo. Come era avvenuto per le altre opere realizzate dal Capizzi, gli aiuti non manca­rono e a distanza di un anno, il 1 maggio 1774, fu posta la prima pietra.

La costruzione dell’istituto procedette senza ostacoli e nel 1778 fu possibile inaugurare l’ultima grande opera progettata e realizzata da Ignazio Capizzi(48). Non mi fermo a tracciare la storia di questa istituzione, che nell’’800 ebbe anche la qualifica di “seminario vescovile”(49).

Il nostro venerabile morì a Palermo il 27.09.1783, sei anni prima della presa della Bastiglia, che segnò l’inizio della Rivoluzione Francese(50).

A trecento anni di distanza dalla sua nascita, Ignazio Capizzi può essere ancora considerato una delle figura più significative del clero siciliano. Il papa Pio IX, a conclusione del processo canonico per la sua beatificazione, nel dichiarare le sue virtù eroiche, il 23 febbraio 1858, lo definì il San Filippo Neri della Sicilia(51).
Alcuni storici lo hanno paragonato a S. Alfonso Maria de’ Liguori(52). Sono accostamenti che ci aiutano a comprendere meglio la sua figura e la sua azione.


7. A conclusione di questa commemorazione è opportuno interrogarci sull’eredità spirituale lasciata dal nostro venerabile. La scelta di contestualizzare Ignazio Capizzi nelle vicende e nella cultura del suo tempo, dovrebbe sconsigliare ogni forma di idealizzazione astratta.

I linguaggi, la sensibilità, i bisogni sono strettamente legati alla cultura di una società e di un luogo. Movimenti culturali o teologici, che in un determinato periodo storico sono fattori di evoluzione e di progresso, possono rivelare negli anni i propri limiti e richiedere un loro supera­mento.
Il movimento dei cattolici illuminati, che nel ’700 segnò la fine dell’egemonia della Compa­gnia di Gesù e contribuì al rinnovamento della cultura siciliana, fu a sua volta superato da una nuova concezione teologica che riuscì a rileggere l’eredità culturale dei padri gesuiti alla luce delle istanze maturate nel secolo dei lumi.

Nonostante lo scorrere dei secoli, è possibile affermare che un determinato personaggio storico continua ad essere attuale anche al di fuori dell’ambiente culturale e sociale che lo ha generato. Ritengo che il ven. Ignazio Capizzi sia ancora oggi di attualità.

Tuttavia è necessario intenderci sul concetto di attualità. Non possiamo pensare di riproporre nel nostro contesto culturale i suoi discorsi, la sua azione pastorale, le sue scelte. Non è superfluo ricordare che Ignazio Capizzi e i sacerdoti suoi contemporanei predicavano in siciliano(53).

Il nostro venerabile ci invita piuttosto a imparare a leggere la storia a partire dalla fede, come luogo in cui si manifesta il bisogno che gli uomini hanno di Dio e la risposta che Dio dà agli uomini. E quando parliamo di fede è necessario sottolineare la sua distinzione dalle ambigue forme di religione civile tanto diffuse ai nostri giorni.

Ignazio Capizzi si è dimostrato prima di ogni cosa uomo di fede, una fede maturata nel sacrificio, che non è venuta meno anche quando le avversità sembravano distoglierlo dal seguire la sua vocazione o dal realizzare i suoi progetti.

Egli ha svolto la sua missione con fedeltà, con estremo rigore e senza com­promessi. Della sua molteplice azione pastorale vorrei sottolineare le note della disponibilità e dell’ac­coglienza. Ignazio Capizzi non si negava a nessuno: la gente dei quartieri popolari, gli appartenenti ai ceti sociali più elevati, le autorità religiose e civili, i confratelli.

Non è poco per individuare la grande eredità spirituale che Ignazio Capizzi ci ha lasciato.

Adolfo Longhitano
Settembre 2008

Il manifesto del Comune e del Real Collegio Capizzi per i festeggia­menti nel terzo cente­nario della nascita del venerabile Ignazio Capizzi.

CONCITTADINI
domenica 21 Settembre ricorrerà
il Terzo Centenario della Nascita del
Venerabile Sac. Ignazio Capizzi

che fondando il Real Collegio, pur nel­l'umiltà delle sue agresti origini, espres­se il pensiero illuminato di promuo­vere il riscatto dal ser­vag­gio del popolo brontese ed avviò con la sua scuola il perse­gui­mento della consa­pe­volezza dei valori propri della dignità umana.

Così, sin dai primordi della sua nascita, il Real Collegio fu fucina di talenti e scuola di forma­zione civile e morale delle menti e delle co­scienze ed ir­radiò sparsa dai suoi allievi nel mondo civile, la cul­tura del meraviglioso uma­ne­simo cristia­no, ed an­cor oggi, fa risplen­dere le virtù eroiche del suo fon­datore.

Da solo, il pensiero del Venerabile, che il Real Col­legio volle, testimonia la sua gran­dezza di uomo illuminato e di promotore indiscus­so delle conqui­ste di pensiero che si attuarono con i sommi: Nico­la Speda­lieri, Saverio De Luca, Arcangelo Speda­lieri, Don Biagio Caru­so, Placi­do De Luca, Monsi­gnor Saitta, Nicolò Lombardo, Enrico Cimbali, Eduar­do Cimbali, Luigi Capuana, i quali al Real Col­legio attin­sero i valori dell'es­sere che fecero loro con­cepire una sorta d'illumini­smo cri­stiano che pone l'uomo al centro del­l'uni­verso e ritiene unica legittima­zione del potere di gover­nare quella con­ferita dalla sovra­nità popolare.

Da sola tale opera del Venerabile è un miracolo e i brontesi che ne sono i mira­colati si atten­dono, per il loro Venera­bile, il ricono­scimento, della gloria de­gli Altari.

Bronte lì, 1 Settembre 2008
Il Sindaco, Giuseppe Firrarello
Il Rettore, Sac. Giuseppe Zingale


 




Note:

(1) Su Ignazio Capizzi hanno scritto: Elogio del sacerdote d. Ignazio Capizzi proposto dagli ecclesiastici fratelli della Congregazione del Fervore in S. Giuseppe, Palermo 1786; G. De Luca, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, Adrano 1873; F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi da Bronte, Palermo 1879; G. Gionfrida, Il San Filippo Neri della Sicilia, Palermo 1925; Id., Un prete santo, Avellino 1926; L. Rubino, Il ven. Ignazio Capizzi. L’anima e le opere, Bronte 1926; G. Jacono, Il Venerabile Ignazio Capizzi. Apostolo dei suoi tempi, Bronte 1934; V. Schilirò, Il venerabile Ignazio Capizzi, Torino 1933 (ristampa Bronte 1993).

(2) «Rationes decimarum Italiae» nei secoli XIII e XIV. Sicilia, a cura di P. Sella, Città del Vaticano 1944, n. 768, p. 62.

(3) B. Radice, Memorie storiche di Bronte, Bronte 1983, 127-162; il volume raccoglie diversi scritti dell’autore.

(4) L. T. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, trad. it., Catania 1984, 203-227; G. Schirò, Monreale: territorio, popolo e prelati dai normanni ad oggi, Palermo 1984; L. Gatto, L’abbazia di Santa Maria di Maniace, ovvero storia di una difficile sopravvivenza, in Sicilia medievale, Roma 1992, 224-241; H. Enzensberger, Fondazione o «rifondazione»? Alcune osservazioni sulla politica ecclesiastica del conte Ruggero, in Chiesa e società in Sicilia. L’età normanna, a cura di G. Zito, Torino 1995, 21-49; S. Fodale, Fondazioni e rifondazioni episcopali da Ruggero I a Guglielmo II, ivi, 51-61.

(5) Un elenco con breve profilo degli uomini illustri di Bronte si trova in G. Cimbali, Nicola Spedalieri pubblicista del secolo XVIII, I, Città di Castello 1888, 16-66; ora in Omaggio a Nicola Spedalieri, Bronte 1990.

(6) Le vicende di questo periodo storico sono esposte da G. Giarrizzo, La Sicilia dal viceregno al regno, in Storia della Sicilia, VI, Napoli 1978, 1-181.

(7) F. Renda, Dalle riforme al periodo istituzionale, in Storia della Sicilia, cit., 183-297.

(8) A. Longhitano, Istituzioni di cristianità a Catania nel '400, in Synaxis, 24 (2006) 112-125.

(9) Sull’argomento vedi F. Scaduto, Stato e chiesa nelle due Sicilie, a cura di A. C. Jemolo, I, Palermo 1969, 156-176 e i due autori più recenti che hanno di questo istituto una visione non del tutto univoca: S. Fodale, L’apostolica legazia e altri studi su Stato e Chiesa, Messina 1991, 7-117; Id., Stato e Chiesa, cit.; G. Catalano, Studi sulla legazia apostolica di Sicilia, Reggio Calabria 1973.

(10) A. Longhitano, Il tribunale di Regia Monarchia: governo della Chiesa e controversie giurisdizionaliste nel Settecento, in La Legazia Apostolica. Chiesa, potere e società in Sicilia in età medievale e moderna, Caltanissetta-Roma 2000, 167-200.

(11) Dopo la fondazione del collegio di Messina (1548), altri collegi sorsero a Palermo (1550), Monreale (1553), Siracusa (1554), Bivona (1555), Catania (1556), Caltagirone (1570), Trapani (1580), Mineo (1588), Caltanissetta (1588), Marsala (1592), Piazza Armerina (1602), Sciacca (1607), Noto (1608), Modica (1610), Naro (1619), Enna (1619), Termini Imerese (1620), Scicli (1631), Vizzini (1634), Salemi (1642), Alcamo (1656), Mazara (1671), Polizzi (1681), Mazzarino (1694).

(12) E. Appolis, Entre jansenistes et zelanti. Le “tiers parti” catholique au XVIII e  siecle, Paris 1960, 1-3.

(13) E. Préclin – E. Jarry, Le lotte politiche e dottrinali nei secoli XVII e XVIII (1648-1789), in Storia della Chiesa, iniziata da A. Fliche e V. Martin, trad. it., XIX/1, Torino 1974, 303.341.

(14) E. Codignola, Illuministi, giansenisti e giacobini nell’Italia del Settecento, Firenze 1947, 45-58.

(15) E. Appolis, Entre jansenistes et zelanti, cit. 1-3.

(16) M. Rosa, Politica e religione nel ‘700 europeo, Firenze 1974; Id., Introduzione all’Aufklärung cattolica in Italia, in Cattolicesimo e lumi nel Settecento italiano, Roma 1981, 1-47; D. Menozzi, «Aufklärung» delle Chiese cristiane e «chrétiens éclairés». In margine ai lavori della terza sezione del Congresso C.I.H.E.C. di Varsavia, in Critica storica 16 (1979) 150-161; M. Batllori, L’Illuminismo e la Chiesa, in Problemi di storia della Chiesa nei secoli XVII-XVIII, Napoli 1982, 191-202.

(17) E. Appolis, Entre jansenistes et zelanti, cit. 1-3.
(18) D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, a cura di V. Turone, I, Palermo 1969, 92-132; F.M. Stabile, Il clero palermitano nel primo decennio dell’unità d’Italia, Palermo 1978, 13-22; C. Dollo, Filosofia e scienze in Sicilia, Padova 1979.

(19) M. Guasco, Storia del clero in Italia dall’Ottocento a oggi, Bari 1997, 20-34; Il clero palermitano, cit., 326-328.

(20) D. Scinà, Prospetto, cit., 133-158.

(21) F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, cit., 5-8.

(22) B. Radice, Memorie storiche di Bronte, cit., 280-281.

(23) F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, cit., 8-10.

(24) A. Cistellini, Oratoriani, in Dizionario degli istituti di perfezione, VI, Roma 1980, 765-775.

(25) F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, cit., 10.

(26) Ivi, 10-14.

(27) M. Coniglione, La provincia domenicana di Sicilia. Notizie storiche documentate, Catania 1937, 473-474; D. Scinà, Prospetto, cit., II, 147, 150-151; A. Longhitano, Le relazioni «ad limina» della diocesi di Catania (1762), in Synaxis 10 (1992) 315-418.

(28) G. Giarrizzo, Giovanni Agostino De Cosmi, in Illuministi italiani, VII, Milano-Napoli 1965, 1079-1098; B.M. Biscione, De Cosmi Giovanni Agostino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 33, Roma 1987, 571-575.

(29) F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, cit., 14.

(30) G. Schirò, Monreale, cit., 27-31.

(31) R. Ritzler – P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, V, Patavii, 1952, 276.

(32) F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, cit., 15-21.

(33) Ivi, 21-25.

(34) G. Cimbali, Nicola Spedalieri, cit., 67-192.

(35) F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, cit., 155; 290-293; 362.

(36) Ivi, 94; 116; 254-255; 317-319; 366-367; 371-373; 379.

(37) Inizialmente fece vita comune con il fraterno amico sac. Ignazio del Castillo, successivamente si trasferì nella convivenza di sacerdoti di S. Eulalia e dopo altre esperienze di convivenza con i confratelli si trasferì nella Casa dell’Oratorio all’Olivella, dove morì.

(38) Nel 1759 non accettò la proposta di mons. Francesco Testa della cappellania nella chiesa di S. Cataldo a Palermo (F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, cit., 138). Nel 1766 rifiutò al viceré Giovanni Fogliani la nomina di canonico nella cattedrale di Palermo (ivi, 264).

(39) Fra gli episodi più significativi si veda l’acquisto dei locali annessi alla chiesa di S. Giuseppe dei padri teatini per trasferirvi la sede della Congregazione del Fervore (ivi, 86-88); il restauro della chiesa di S. Eulalia e dei locali annessi (ivi, 105-110); la ristrutturazione del collegio di Maria S. Maria della Speranza (ivi, 144-150). Sarà soprattutto nella costruzione del collegio di Bronte che si manifesterà in modo tangibile la sua fiducia nella Provvidenza, che non gli fece mancare il necessario per portare a termine la sua opera.

(40) Ivi, 74-86.

(41) Ivi, 63-67.

(42) A. Guidetti, Le missioni popolari. I grandi gesuiti italiani, Milano 1988.

(43) F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, cit., 134-138.

(44) Ivi, 330, 337, 364.

(45) G. Rocca, Santissimo Bambino Gesù e della Sacra Famiglia (Suore del), in Dizionario degli istituti di perfezione, VIII, Roma 1988, 806-807.

(46) F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, cit., 84-86; 144-150.

(47) Ivi, 138.

(48) Ivi, 324-333; 336-339; 363-365.

(49) B. Radice, Memorie storiche di Bronte, Bronte 1983, 523-560; A. Corsaro, Il Real Collegio Capizzi, Catania 1994.

(50) F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, cit., 417-421.

(51) Ivi, 480.

(52) F.M. Stabile, Il clero palermitano, cit., 326.

(53) F.M. Agnello, Vita del ven. sac. Ignazio Capizzi, cit., 320, 361. Giovanni Agostino De Cosmi scrive nelle sue memorie che nel 1765 predicò per la prima volta in lingua toscana nella cattedrale di Catania (G. A. De Cosmi, Memorie della mia vita rivedute al 1802 al mese di gennaro, in Illuministi italiani, VII, Milano-Napoli 1965: 1099-1111: 1108).

Ignazio Capizzi


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