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Il «casermone» brontese dei Nelson

Il Palazzo ducale

Il Palazzo Ducale (così lo definiva anche il Duca) che i Nelson o i loro ammini­stratori fino al 1935 utilizzavano a Bronte era imponente, grandioso, con 35 stanze, un cortile di ca. 300 mq., ampi magazzini e, nella parte sottostante, una capiente cisterna, lavanderia, carbonaia, legnaia e pollaio, cantine per 500 mq., panetteria ed un parco di circa 2400 mq. circoscritto da un alto muro di cinta in pietra lavica con una vasca, fiori ed aiuole, sedili in pietra e un tempietto e ripieno di oleandri, cipressini, acacie, aranci ed altri alberi.

Comprendeva un intero isolato di impasto ottocen­tesco che prospettava sul corso Um­berto, di fronte al convento dei padri Cappuccini, sulla strada della Madonna del Riparo (oggi via Roma) e sulla via Nelson (oggi via A. Spedalieri).

Aveva quattro accessi ma l'ingresso principale, di rappresentanza, era dalla via Umberto. Negli antichi atti ducali risulta censito nella "Sezione San Blandano, via Nelson strada Nazionale, davanti al Convento dei PP. Cappuccini," in atti più recenti nella Via Umberto I, isolato n. 31.
Nel 1924 il V duca, Alexander Nelson Hood, nelle sue memorie per la famiglia così lo descriveva: «Abbiamo un casermone a Bronte, chiamato Palazzo ducale - un elefante bianco, costruito da un amministratore, Mr Barret credo (amministrò la Ducea dal 1817 al 1818, Ndr), come residenza sua e della sua famiglia, non essendo Maniace abitabile, a quei tempi».

Lo stesso Duca Alexander, nel 1868, nella sua prima visita a Maniace dormì nel Palazzo.
«La comitiva - scrive il Duca nelle sue Me­mo­rie - allora dormì al Palazzo di Bronte (la prima ed unica volta che ho dormito lì); quindi (...) in groppa a dei muli (non c'era allora nessuna strada carrabile fra Bronte e Maniace), arrivammo a Maniace per la strada più bassa, scortati dalle Guardie della Ducea, o Campieri. I numerosi bagagli furono legati al dorso d'altri muli e trasportati così, a formare un'imponente processione

Dopo la donazione della Ducea da parte del Borbone a Nelson, il Castello era in uno stato di abbandono, non era stato reso ancora "signorile" ed il palazzo di Bronte (il "caser­mo­ne") fu proba­bilmente costruito dal primo amministratore della Ducea, Andrea Graefer, anche se il V Duca, ne attribuisce la costruzione a Mr. Barret.

Nel 1930 nel palazzo aveva lo studio l'Avv. Luigi Saitta Leanza, storico legale della Ducea a Bronte ma era stato abitato anche dai Thovez con le loro famiglie e da tutti gli agenti della Ducea spe­cial­mente nel periodo invernale per l'impossibilità di vivere a Maniace per l'aria malsana ed umida.
La residenza dell'amministratore che resse più a lungo le sorti della Ducea (dal 1839 al 1872) in questo palazzo si evince da un documento del 1844 del­l'Archivio storico dei Nelson: «il Sig. D. Guglielmo Thovez Amministratore generale della Signora Duchessa di Bronte Lady Maria Carlotta Bridport nata Nelson erede universale del fu Duca di Bronte Lord Guglielmo Nelson, domi­ciliato in questa Comune di Bronte strada dei PP. Cappuc­cini».

Molti anni prima, nel 1830 (e fino al 1838), lo stesso Thovez, con il fratello maggiore Filippo, aveva invece la residenza nella Sezione S. Giovanni, Vicolo Papotto n. 37 (A.N., vol. 168, p. 61) .

Nel bilancio del 1895 per la manutenzione del Palazzo, i salari della servitù e dei giardi­nieri, l'acquisto di vettovaglie ed oggetti vari (come l'acquisto di "19 nuzze e galli­nacci, 12 agnelli" o le spese per "stagnare il rame della cucina") furono spese 5.696,51 onze. Una bella sommetta se si considera che un campiere o salariato nello stesso periodo guadagnava circa 300 onze l'anno.

Il Palazzo era adornato a festa nelle principali ricorrenze civili e religiose. Nel 1883, in occasione delle feste organizzate per il centenario della morte del ven. Capizzi «il prospetto della casa Ducale - scrive Gesualdo De Luca - per ordine del signor Duca Nelson Bridport era convenientemente adorno, e con buona iscrizione al portone.»

Il "casermone" servì la Ducea per oltre un secolo. Negli anni 1935/36 il V Duca, Alexander Nelson Hood, vende infatti per 200.000 lire l'intero comples­so, a lotti ed in varie riprese, ai sigg. I. e G. Burrello, G. Camuto, A. Santan­gelo, V. Calì, N. Petralia ed ai coniugi Arcidiacono ai quali furono ceduti la dispensa, la cantina, l'orto e gran parte della villa che, successivamente, nel 1949, fu espropriata per la costruzione del Palazzo Comunale.

Oggi il ricordo e le vestigia dell'antica struttura del Palazzo Ducale sono pratica­mente scomparsi. Anche la via che lo identificava (Via Nelson) ha cambiato deno­minazione (Via A. Spedalieri).

Costituito da un lungo corpo lineare e da un ampio giardino, il Palazzo è stato via via parzialmente alienato, demolito e rico­strui­to con interventi che hanno sempre più compromesso l'originaria unità architettonica.
Dell'antica casa dei discendenti di Nelson (il "Casermo­ne" del V Duca) sono rimaste visibili solo poche labili tracce.

Qualche testimonianza dell'antica architettura è ancora leggibile nella lunga serie di fab­bricati esistenti lungo il corso Umberto (comprendenti la casa del fu prof. Paparo, la ex tipografia Santangelo, la casa Mineo, la casa Parisi, etc., sino all'ex Cinema Roma, oggi trasformato in bar ed appartamenti) e nell'imponente sottostante cantina prospiciente il Muni­cipio, un tempo supermercato, poi sede della Biblioteca comunale Deluchiana e trasformata anche in uffici comunali.

Le attuali aree dove sorge il Municipio, quelle di via Cap. Saitta e dell'adiacente nuovo parcheggio di Piazza Venia erano un tempo l'ampio giardino del Palazzo Ducale (vedi nella planimetria a destra la parte colorata in verde) al cui centro troneggiava una maestosa vasca d'acqua.

Il Palazzo di via Manzoni

Un'altra residenza signorile che i Nelson possedevano a Bronte è invece giunta quasi intatta fino a noi. Sorgeva a Bronte ai margini dell’antico quartiere di San Rocco, nelle vicinanze del Collegio Capizzi. Solido e compatto, prospet­ta oggi sulle strette vie Placido De Luca e Man­zoni e sul cortile delle Zagare.
La costruzione, di circa 20 vani, pervenne e fu ristrut­turata dagli eredi dell’ammiraglio Nelson presumi­bil­mente all’inizio del XIX° secolo, con la destinazione di farne magazzini di frumento, stalle e residenza degli amministratori  o degli impiegati della Ducea quando si recavano a Bronte.
Sorse come ampliamento e trasformazione di un preesi­stente edificio (sul­l’ar­chitrave del portone principale si legge ancora la data del 1642).
Il lato di via Manzoni è caratterizzato da una muratura in contrafforti d’eccezionale spessore.
Interessanti tutte le aperture del primo piano. Con cornice ed architrave sporgenti aprono su balcon­cini in pietra lavica a profilo variato sorretti da dop­pia menso­latura scolpita e lavorata a dise­gni di ispirazione sei-settecente­sca e con rin­ghiere in ferro battuto di par­tico­lare interesse (molto simili a quelle visibili in alcuni balconi della Ducea Nelson ed in qualche altro palazzo di Bronte).

L'ex Palazzo dei Nelson oggi versa in grave stato di abbandono. Negli anni ’40 l’edificio subì grosse tra­sfor­mazioni interne allo scopo di ospitare la locale ca­ser­ma dei Carabinieri (modifica dei cortili inter­ni, co­stru­zione delle celle, dei locali di servizio e delle stalle).

Oggi il palazzo è proprietà di un privato.

 

 

Sullo sfondo del gruppo che si reca in chie­sa per un matri­monio (anni 1930-40) si può notare nella par­te destra l'in­gresso principale del palazzo Nel­son (pro­spetto di corso Umberto, di fronte Piazza Cap­puc­ci­ni, vedi sotto). Si notino la nuova pavi­men­ta­zione in bà­so­le laviche ap­pe­na realiz­za­ta nel Cor­so ("i ba­ra­ti") e la strada ancora in terra bat­tuta.
Nelle foto sot­to, altre residue testi­mo­nian­ze del Palazzo Nel­son e, in quella a sini­stra, una visione odierna del pro­spetto interno (lato Palazzo Munici­pale).

 

Sopra e sotto, disegni e plani­me­trie della pro­prietà dei Nelson a Bronte (il Pa­laz­zo Du­ca­le o «il Caser­mone a Bronte» come lo definì , nel 1924, il V duca, Alexander Nelson Hood, nelle sue memorie).

In colore verde, nella mappa a de­stra del 1875, l'ampio giardino, oggi sede del pa­laz­zo comu­nale.

Nella foto a de­stra, una delle poche abitazioni  che ancora con­ser­vano parte della ori­ginaria struttura archi­tettonica del Palazzo ducale.

 

In queste tre foto, veduta laterale del Palazzo (vista da via Manzoni) che i Nelson utilizzavano a Bronte come magazzino e residenza degli amministratori ed alcuni balconi seicenteschi con ringhiere a petto d'oca del palazzo. Si notino le eleganti mensole in pietra lavica

Il Palazzo di via Manzoni pervenne ai Nelson per aver vinto una secolare causa con­tro la ricca fami­glia di don Vincenzo Meli Papotto, Barone di Pisciagrò (feudo in quel di Ran­dazzo).

Il Barone (ed anche i suoi eredi ed affini), vantando veri o pre­sunti secolari diritti di pro­prietà su una tenuta in contrada Ricchisgia ed su altri numerosi fondi che ave­va in gabella, si rifiutò di pagare la retta di affran­ca­mento pattuita sia al­l’Ospe­dale Grande e Nuovo di Pa­lermo (che aveva ricevuto quei beni in dote nel 1494 da Papa Innocenzo VIII) co­me pure ai discen­denti di Horatio Nelson al quale nel 1799 tutto il territorio brontese (compreso i beni che don Vincenzo possedeva da secoli) era stato donato dal borbo­ne re Ferdinando I.

La lunga lite fra la Ducea il Barone di Pisciagrò ed i suoi discendenti du­rò oltre un secolo.

Finì con la vittoria del Du­ca Nel­son, che, oltre alla Grangia di Contrada Ric­chisgia (l'an­tica Cartiera Araba, il primo nucleo agricolo-industriale di Bronte), espropriò pure gli altri beni del povero Barone: un agrumeto nel feudo Ma­rot­ta, un palazzo baronale in via Scafiti, altri case urbane e feudi tra i quali uno alle falde dell’Etna ed, appunto, anche il Palazzo di via Placido De Luca e via Manzoni co­struito nel 1642.

Il povero barone ed anche i suoi discendenti compresi i pronipoti, forti dei loro diritti, non si vollero piegare alle pretese dei Nelson, furono ora assolti ora condannati nei vari gradi di giudizio ma alla fine l'ebbe vinta la Ducea dei Nelson e furono ridotti in miseria.

Leggi anche: La Cartiera araba della Ricchisgia, di M. Carastro

 

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