La Ducea inglese ai piedi dell'Etna (1799 - 1981)

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Le Memorie del V Duca di Bronte

The Duchy of Bronte

di Alexander Nelson Hood, V duca di Bronte

LA DUCEA INGLESE AI PIEDI DELL'ETNA

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Alexander Nelson Hood, V duca di Bronte«Nel 1924 Alexander Nelson Hood, quinto erede del feudo ducale assegnato dai borboni all’ammiraglio Nelson, finiva di scrivere un libretto cui dava il nome di The Duchy of Bronte. [...]

Il libretto, pur essendo concepito come un memo­randum  da affidare alla famiglia, costitui­sce l’or­goglioso atto d’amore del duca al lontano feudo mediterraneo, nel quale egli risiedette stabilmen­te, a partire dall’età di diciannove anni, portando la proprietà alla sua fase di massimo splen­dore e conferendole il fascino ameno che ancora oggi incanta i visitatori.»

«La storia di Bronte e Maniace dell'800 e buona parte del '900 è intrecciata in maniera inestri­cabile con la presenza dei duchi di Bronte. Una storia complessa, travagliata, fatta di distan­ze, incom­prensioni, mille liti, inenarrabili tragedie umane della miseria e della dispera­zione, culmi­nata nello scoppio rivolu­zio­nario del 1860 e negli strascichi violenti della riforma agraria del secondo dopoguerra, che pose fine a quello che in molti videro come l'ultimo fantasma della feudalità in Italia.

Una storia emblematica e paradigmatica, che in molti, storici, giuristi, lette­rati del­la levatura di Verga, Sciascia, Carlo Levi, cineasti del calibro di Van­cini, hanno scavato nei documenti e analizzato nelle implicazioni politiche, sociali, economiche.

Una storia guardata nella prospettiva del dramma vero di popolazioni con­dannate a retaggi ancestrali, escluse dai processi di modernizzazione e civilizzazione percorsi nell'Europa moderna.

L'interesse prevalente di questo scritto del duca Alexander Nelson Hood è di fornire, per la prima volta, il punto di vista sinora negletto dell'altra parte, del nemico latifondista, il cui arrivo a fine '700 aveva perpetuato parossi­stica­mente vincoli feudali che nel resto d'Europa l'azione energica delle idee illuministiche e liberali spezzava definitivamente.

Il libretto del duca Alexander, ricchissimo di informazioni minute sulla con­du­zione del feudo, riempie un vuoto storiografico importante, spiegando criteri, gestione, cultura imprenditoriale e politica sociale della Ducea nel momento, probabilmente, in cui questa raggiungeva il suo massimo splendore.

Offre uno spaccato interessantissimo delle consuetudini che, ancora in pieno '900, governavano un grande latifondo del Sud, con i suoi ancestrali criteri di sfruttamento della terra e con rapporti di lavoro insensibili alle condizioni materiali di vita, ancora sottomessi a criteri di riverenza nei confronti del padrone.

Naturalmente lo scritto non è solo questo. Esso offre spunti spesso gustosi sui costumi, sul carattere della gente del luogo, sull'ordine pubblico, sulla malavita. Sempre vi è un compiacimento possiamo dire “coloniale”, un trat­tare abitu­dini e persone con la consapevolezza dell'appartenere a una sfera di civiltà superiore che consente un sorriso ironico e sufficiente; un atteg­giarsi sicuro e volitivo, come nel caso della caccia ai banditi durante la quale il duca ferisce un malvivente, nel quale vi è in realtà un disprezzo per l'autorità costituita del luogo e uno scorcio di far west che mai ci si sarebbe sognati di rappre­sentare nella civile Inghilterra.

Ma lo scritto è anche ricco di riflessioni intelligenti sull'economia siciliana, sulle possibilità perdute, sugli sbocchi possibili; ed è soprattutto squarcio di una vivacità culturale e letteraria inopinata del Castello di quegli anni, buen retiro di poeti e artisti inglesi e anglofoni che l'intelligente e raffinato Alexan­der ospita in un salotto in cui, con lui, siedono a parlare di poesia l'amato vate celtico William Sharp, che a Maniace muore e viene sepolto, e D. H. Lawrence, lo scrittore degli amori di Lady Chatterley. In definitiva, questo importante scritto, per la prima volta pubblicato in italiano, offre agli stu­diosi di cose siciliane un interessantissimo punto di vista complementare della nostra storia.

Una prospettiva ricca di sfumature che non modifica il quadro di arretra­tezza e sottosviluppo cui le popolazioni locali furono costrette per la pre­senza del feudo e per il suo criterio di gestione; ma che getta luce su un mondo signorile e raffinato che venne a vivere nel territorio di Maniace e Bronte, si riempì della sua storia, della sua luce, della sua bellezza; ne fece spunto di poesia ma anche di ricchezza e valorizzazione della terra, del vino, dell'olio, delle arance, pur senza riverberare in alcun modo il suo splendore sul destino e sul grado di progresso e civiltà della gente che quelle vallate abitava.»

(Brani tratti dal libro "La Ducea di Bronte", edito nel 2005 dal Liceo Classico "I. Capizzi")



La Ducea di Bronte

di Alexander Nelson Hood

La storia di questi luoghi

 
 

Parla il V duca

Indice
La storia di questi luoghi
La donazione di Re Ferdinando
La mia prima visita a Maniace
Il vecchio Castello-Monastero
I duchi-abati
Le prime ristrutturazioni
Le modifiche da me apportate
Stampe e dipinti
Dei cinque busti...
Cimeli e oggetti appartenuti a Nelson
La croce di pietra lavica del cortile
Documenti antichi
I cortili ed i giardini
I numerosi alberi di tutte le varietà
I boschi di querce e di faggi
Le strade
Il vino “Ducea di Bronte” e il “Cognac Inghilterra”
I giardini di arance, il barone Meli e i mezzadri
Olio, mandorle, pistacchi e grano
Le opere edili e gli inquilini della Ducea
Il piccolo cimitero fra i mandorli
Gli amministratori della Ducea
Visitatori ed ospiti al Castello
La Circumetnea
Il brigantaggio
Il Palazzo ducale di Bronte e Otaiti
Il primo trattore della Ducea
I bassi e sporchi giochi politici del luogo
Il “magnifico dominio” e le liti con Bronte
I contadini raramente "crescono"
Il rispetto e la devozione per il padrone
L’Obelisco di Serra Spina

Alexander Nelson Hood, V Duca di BronteUn busto di Alexander Nelson Hood (conservato nel Museo Nelson) e la copertina del libro "La Ducea di Bron­te", edito nel 2005 dal «Liceo Classico Capizzi».

La traduzione dall'inglese e l'intro­duzio­ne sono di Marilù Franco; la supervi­sio­ne storica e la postfa­zione di Vincenzo Pappalardo che ha anche coordinato le ricerche storiche dei ragazzi del Liceo.
In queste pagine riportiamo solo una part5e:  La Ducea di Bronte di A. Nelson Hood.

Per l'edizione integrale comprendente anche l'Introduzione, Attraverso la Ducea Nelson di William Sharp e la postfazione di Vincenzo Pappalardo, Un destino feudale, vi rimandiamo all'edizione digitale curata dall'Associazione Bronte Insieme, scari­cabile liberamente dal nostro sito.
Un doveroso ringraziamento va al Liceo Classico “I. Capizzi” per aver pubblicato il libro e per averci consentito di metterlo a disposizione di tutti i navigatori.

I titoli sopra riportati e la divisione in ca­pi­toli dei vari para­grafi sono nostri. Servono solo a facilitare la navigazione e la consultazione delle pagine con un indice.

 
  


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The Duchy of Bronte
(La Ducea di Bronte)
di Alexander Nelson Hood, V Duca di Bronte, anche in edizione digitale.

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La nostra recensione 

Bronte, Ducea NelsonForse solo io posso fornire informazioni sulla Ducea che potrebbero inte­ressare coloro che verranno dopo di me; perché avendola visitata per la prima volta nel 1868, ovvero 56 anni fa, io soltanto sono in grado di ripor­tarne la storia di quasi metà degli anni che essa è appar­tenuta alla mia fami­glia, poiché coloro che ho trovato qui sono scomparsi uno dopo l'altro.

Il mio interesse non cade sulle implicazioni storiche del luogo, poiché accenni ad esse possono essere trovate in vecchie storie della Sicilia e in diversi articoli scritti dai miei amici, Mr. William Sharp (Fiona Macleod), Mr. Hamilton Aidè e Mrs. Lynn Linton (i quali sono stati ospiti qui), da Mrs. Tweedie  e altri (nel 1903 Mr. Sharp scrisse sul numero di giugno della rivista Pall Mall, e nel 1904 sul numero di aprile della rivista Atlantic Montly; di tali articoli sono riportati qui alcuni estratti. Mrs. Lynn Linton nella Temple Bar del 1884.

Una copia di quest'ultimo documento si trova a p. 52 di un grande libro rosso contenente ritagli di giornale, nel quale si possono trovare anche molti altri dettagli sulla Ducea e sulla famiglia Nelson. (Questo volume si trova a Maniace).

Racconterò piuttosto di quali fossero le condizioni della proprietà quando ne venni in possesso e dei miglioramenti da me apportati. Qui non posso fare a meno di riconoscere la lungimirante generosità di mio padre e l'assoluta fiducia che ripose in me e nelle mie scelte, dal primo momento in cui assunsi il controllo dei suoi affari in Sicilia fino al giorno della sua morte, nel 1904.

La sua risposta ad ogni mia richiesta di guida o consiglio era "la lascio a te. So che farai del tuo meglio".

La storia di questi luoghi, antecedentemente al 1868, anno dell'inizio del mio racconto, può essere tracciata brevemente.

L'icona di Santa Maria di ManiaceI territori di Bronte erano possedimenti reali. Nel X sec. Giorgio Maniace, il Generale Bizantino, fu mandato a combattere i Saraceni e lo fece in modo così eccellente da sconfiggerli, notoriamente, sul campo sopra Maniace (ora la fattoria di sitta e Sorgio), non lontano dal lago Gurrida e dal torrente Flascio, da quel giorno chiamato Piano della Sconfitta [sic] (Plain of Defeat).

Per assicurarsi la difesa egli costruì il Castello (in alcune vecchie carte è chiamato "Torre" [sic]) di Mania­ce, su una roccia che sovrasta il Simeto (il Symaethus dei tempi di Teocrito), intitolata, naturalmente, a lui.

All'interno del Castello costruì anche una Cappella per custodirvi un'immagine sacra che aveva portato da Bisanzio e che, secondo la leggenda, era stata dipinta dall'Evangelista S. Luca.

Passano circa due secoli prima che si senta parlare di nuovo di Maniace. Nel XII sec., esattamente nel 1173, la Regina Margherita di Sicilia, passando lungo la strada, insieme a suo marito Guglielmo il Malo, diretti alla fortezza reale di Troina, profondamente colpita dalla Santa Vergine dell'immagine e dalla venerazione che le era dedicata dagli abitanti dei paesi vicini, predispose la costruzione dell'attuale chiesa e dell'edificio e decise la presenza di un gruppo di monaci Benedettini a Maniace, per custodire l'immagine e prestare i servizi religiosi.

Maniace non fu mai un Monastero nel vero senso della parola, perché i monaci non ne furono mai proprietari, né possedettero mai le terre circostanti. Era Proprietà Regia, com'è dimostrato dal fatto che nel XV sec. Re Alfonso cedette al Grande Ospedale - un'istituzione civile e religiosa - il monastero, le terre e la rendita, ma mantenne i diritti di regalità e la giurisdizione ecclesiastica.


La donazione di Re Ferdinando

Re Ferdinando di Napoli, dopo la Battaglia del Nilo, per non mostrarsi meno grato degli altri sovrani europei suoi alleati, comprò i diritti del Grande Ospedale, riacquistando così i territori di Bronte, che, nel 1799, egli conferì all'ammiraglio lord Nelson; il sovrano innalzò il territorio alla dignità di Ducea e ordinò che, in futuro, i proprietari di questa terra avrebbero avuto il titolo di Duchi di Bronte.

Di conseguenza, tutti i proprietari della Ducea, diventano, ipso facto, duchi di Bronte. In prima istanza il re di Napoli conferì il territorio e il suo titolo di Bronte a Lord Nelson e ai suoi discendenti diretti.

Su richiesta dello stesso Nelson ciò venne modificato e, in seguito ad una speciale concessione del sovrano, gli onori furono dichiarati immuni dalla legge che governava i possedimenti feudali e, successive modifiche di questa, non li avrebbero limitati in nessun modo.

I documenti originari che riferiscono tale materia, che portano la data del 13 agosto e del 20 ottobre 1799, si trovano all'Archivio di Stato di Palermo. Copie di essi si possono trovare nel libro dei Privilegi di Spata(1), pubblicato in quella città, in un giornale, "Corriere di Sicilia" del 15-16 gennaio 1911, di cui una copia è custodita nel mio studio al Castello insieme con una collezione di "memoranda" storiche.

Lord Nelson non visitò mai la sua Ducea di Bronte. Lasciò il Mediterraneo nel 1800 e non tornò più in Sicilia. Tuttavia dalla data del dono della Ducea, per 30 o 40 anni circa, nessun membro della famiglia, Nelson visitò questi luoghi, causando molto danno e l'eventuale perdita della proprietà.

Intorno al 1830 o 1840 mia nonna, la duchessa di Bronte, Charlotte Mary Lady Bridport, che succedette al padre, il conte Nelson, fra­tello ed erede dell'Eroe del Nilo, visitò Maniace con suo marito, Samuel Lord Bridport (occuparono l'odierna sala da pranzo, si racconta).

Ma il viaggio in lettiga (una portantina sospesa tra due muli) non fu piacevole ed essendo la sistemazione, senza dubbio, molto primi­tiva, non ritornò più, affermando, in verità, al momento della partenza "che quella era la sua intenzione, a meno che in Inghilterra non ci fosse una rivoluzione e anche in quel caso sarebbe probabilmente andata altrove". Così fino al 1864 nessuno della famiglia venne in Sicilia. In quell'anno mio padre, mia madre ed i miei fratelli Arthur e William, vennero per una breve visita.

Nell'autunno del 1868 mio padre e mia madre tornarono portando mia sorella Adelaide e me con loro. In seguito, io fui mandato in inverno con un tutore, Mr. Page Darby, poiché era allora intenzione di mio padre che io facessi di Maniace la mia dimora e badassi alla Ducea al suo posto. Ciò succedeva nel 1870 o 1871. Mio padre mi raggiunse e fu allora che l'amministratore Mr. William Thovez, succeduto a suo zio Philip Thovez, si mostrò reticente a conformarsi ai desideri di mio padre, circa la gestione della proprietà, e fu licenziato, con una pensione, subito dopo.


La mia prima visita a Maniace

Nel 1873 iniziai la mia vita a Maniace per nove mesi l'anno, insieme alla nostra vecchia amica di famiglia Jane Thomson, la quale, avendo curato l'istruzione delle mie sorelle e dei miei fratelli, venne con me a Maniace e vi rimase per 20 anni. Morì in Inghilterra profondamente compianta. Ciò porta ad una conclusione di questa breve storia degli inizi della Ducea, sebbene ci sia ancora molto di interessante da aggiungere al riguardo.

Come ho detto, la mia prima visita è del 1868. La comitiva allora dormì al Palazzo di Bronte (la prima ed unica volta che ho dormito lì); quindi noi quattro, Tickel la cameriera di mia madre ed un corriere, in groppa a dei muli (non c'era allora nessuna strada carrabile fra Bronte e Maniace), arrivammo a Maniace per la strada più bassa, scortati dalle Guardie della Ducea, o Campieri. I numerosi bagagli furono legati al dorso d'altri muli e trasportati così, a formare un'imponente processione.

La vendemmia era in pieno svolgimento, ed io ricordo le pittoresche stringhe dei muli che ben s'intonavano al mosto in gonfie pelli di capra, ed i mulattieri che suonavano i corni per avvertire del loro arrivo alle cantine, dal torchio.

La mia prima impressione di Maniace fu estremamente favorevole, ed io fui dispiaciuto di partire quando il nostro soggiorno, di tre o quattro settimane, finì. In quell'occasione io occupai la terza stanza del corridoio.


Il vecchio Castello - Monastero

Lo stesso Castello era stato, in qualche modo, rinnovato dall'amministratore nel 1800, come indica la data all'entrata, ai piedi della scala; ma era scarsamente arredato con mobili che, in seguito, l'amministratore avrebbe reclamato come suoi. Infatti, fu soltanto quando egli se n'andò ed una gran somma di denaro fu spesa (in maniera poco saggia), dal suo successore, per l'acquisto d'orribili oggetti (pochi dei quali sono rimasti, poiché si sono rotti o sono stati volutamente distrutti) che la casa fu, in un certo senso, arredata. Mio padre mandò dipinti o stampe dalla nostra vecchia casa, Cumberland Lodge, che si trovano ora prevalentemente nel mio studio e nell'ingresso, e aiutarono a liberare gli interni da una sgradevole nudità.

Il vecchio Castello-Monastero fu lasciato in stato di rovina, essendo stati gli edifici gravemente danneg­giati (ma non distrutti dal terremoto del 1693, come raccontato da alcuni scrittori), quando i monaci che avevano la custodia della chiesa e dell'immagine sacra, abbandonarono il posto per gli svaghi che avrebbero trovato nella città di Bronte.

Nulla rimane oggi della vecchia fortezza costruita da Giorgio Maniace ad eccezione di un muro che sporge dalla roccia e sovrasta il torrente sul lato nord, che è ancora visibile dalla finestra alla fine del corridoio; né dei chiostri che si trovavano all'estremità nord del cortile più grande.

La chiesa fatta costruire dalla Regina Margherita rimane sostanzialmente intatta, con il suo bellissimo portale normanno che reca scolpita la gomena normanna in tre varietà, con i capitelli delle colonne che sorgono da foglie di acanto (quelli di destra rappresentano la storia di Adamo ed Eva, e, quelli di sinistra, figure mitologiche, probabilmente emblematiche, dei primi giorni del mondo), con i sublimi archi normanni a sesto acuto e le finestre a punta dell'interno, e le colonne di pietra lavica, alternativamente rotonde ed esagonali, dalle quali ho fatto rimuovere la copertura di gesso che le deturpava.

Il terremoto, tuttavia, distrusse l'abside centrale e le due laterali, che non furono più ricostruite. L'altare di marmo (sul quale si trova quella sacra immagine di Santa Maria di Maniace, in una teca di vetro, che io stesso riposi lì dopo che mio padre l'aveva fatta restaurare a Londra), si dice sia di marmo frigio e probabilmente un tempo costituiva il frontale di una tomba greca, è ammirevole per fattura e disegno.

Altri due dipinti degni di nota, nella chiesa, rappresentano S. Agata (la santa patrona di Catania) con una palma in mano su un altare laterale; e sopra l'altare alto, un trittico della Madonna e del Bambino con S. Benedetto, con la mitria, da un lato(2), e S. Abrigus (Albricius), anche lui monaco benedettino, dall'altro.

Queste (le tavole del trittico) sono in legno e sarebbero pregiate se non fosse per un deprecabile, cosiddetto, restauro. Le altre due immagini su tela non sono d'alcun valore.

A destra e a sinistra dell'altare ci sono due figure di marmo, una forse della Madonna, la stessa S. Maria di Maniace, anche se è più probabile che appartenga alla Regina Margherita, la fondatrice della chiesa, e l'altra di un angelo.

Sotto l'altare si può vedere la cassa di noce contenente i resti del Beato Guglielmo Blesense, primo abate, che fu fratello di Pierre de Blois, Arcivescovo di Londra, ai tempi di Re Stefano. Una pergamena che riguar­da il Beato Guglielmo è conservata nel monastero dei Basiliani di Bronte, dove andarono i monaci - prima Benedettini, poi Basiliani, infine Frati Mendicanti - che erano indicati dal Re o dall'Abate Commen­datario, dei quali fece parte anche Roderigo Borgia, in seguito papa Alessandro VI, di dubbia memoria. Questa pergamena riporta che il Beato Guglielmo morì il 30 novembre 1180 (la data è incerta), e fu seppellito con la tunica di Benedettino, sebbene lo storico Rocco Pirri lo neghi ed affermi che "suo fratello Pierre de Blois lo rimandò in Francia".

La chiesa fu consacrata nel 1178 e non c'è dubbio che il Beato Guglielmo ne fosse il primo Abate. La stessa pergamena continua affermando che la bara contenente le sue ossa fu rinnovata o restaurata nel 1645 dagli allora Rettori del Grande Ospedale "come atto di devozione".


I duchi-abati

Poiché la Chiesa fu esonerata della giurisdizione ecclesiastica esterna, con una Bolla Papale, l'Abate Commendatario fu dichiarato unica autorità in materia ecclesiastica connessa al Monastero; di conseguenza i diritti ecclesiastici furono conferiti a Lord Nelson col Regio Diploma (o Atto di Donazione), ed egli ed i suoi eredi diventarono Abati della Fondazione.

Questo è probabilmente l'unico esempio di un laico, per lo più non appartenente alla Chiesa di Roma, che sia stato solennemente investito dei diritti e del titolo di Abate.

Dovrebbe essere tenuto a mente che l'Arcivescovo della Diocesi (Catania) non esercita la giurisdizione sulla Chiesa di Santa Maria di Maniace, come, in verità, ebbi gentilmente a ricordare, a quel prelato alcuni anni fa, quando egli decise di apportare una modifica alla Chiesa.


Le prime ristrutturazioni

Trovai la Chiesa tenuta male, ed usata, in parte, come magazzino, un difetto al quale rimediai. La Messa è stata sempre celebrata la domenica ed i giorni festivi, il Cappellano è nominato e pagato dalla Ducea, ed è un segno d'onore e giustizia continuare questo pio dovere.

Al piano terra del Castello trovai sette od otto piccole stanze, in passato abitate dai monaci, ed anche la loro cucina con un gran camino; quest'ultima è stata ora divisa in quattro stanze più piccole. In tempi antichi una scala portava dalla cucina al piano superiore.

E' difficile stabilire con certezza se ai tempi dei monaci esistessero stanze ai piani superiori; potrebbe essere, sebbene le attuali finestre sembrano appartenere ad un'epoca considerevolmente più recente. Le stanze e parte del corridoio furono, più probabilmente costruite o restaurate circa 120 anni fa.

Nel 1875 (circa) aggiunsi, all'estremità nord del corridoio, altre tre stanze da letto e due camere più piccole, allungandolo di circa 60 piedi. Le due camere più piccole occupano ora quello che fu un vecchio granaio diroccato, chiamato "astraco" (sic), aperto a tutti i venti del cielo, senza tetto e senza finestre - un tempio nel quale il dio del freddo regnava supremo in inverno.

Nel gran volume rosso già menzionato, nel quale si trovano ritagli e note sulla Ducea e sulla Sicilia in genere, raccolti da Miss Thomsom (si veda anche il suo MSS. Appunti di cose Siciliane), a pagina 23 si può trovare un resoconto degli edifici di Maniace, sia quelli già costruiti sia quelli proposti, preparato per il Conte Nelson dall'amministratore del tempo. Sfortunatamente la mappa, cui si fa riferi­mento lì è andata perduta.

Evidentemente a quel tempo Maniace era in condizioni precarie e cadenti, ma molto era stato fatto prima dell'anno 1868 perché io trovai una dimora piuttosto confortevole anche se, in qualche cosa, accidentata.


Le modifiche da me apportate

Un breve resoconto delle modifiche da me apportate può essere interessante per coloro che verranno dopo di me. La stanza da pran­zo, all'angolo di Sud-Ovest, fu decorata, secondo i miei progetti, con un rivestimento a pannelli, fatto a Maniace. Il soffitto, composto di tronchi di faggio con mensole (queste ultime intagliate a Taormina da Vincenzo Sciglio e copiate da quelle del refettorio di Santa Maria di Gesù), fu fatto a Maniace; e anche il comignolo, essendo il camino costruito nello spessore del muro esterno.

Il motivo generale dei pannelli fu suggerito dal fregio di vecchi frontali di altare spagnoli di cuoio, tre dei quali avevo acquistato per una sterlina ciascuno, gli altri tre (uno di questi fu diviso per riempire gli spazi vuoti della parete ad ovest) mi erano stati dati dal mio amico, l'ultimo P. E. Rainford.

In mezzo a quei frontali d'altare c'è un manufatto di cuoio che acquistai a Milano.

Comprai il vecchio argento del rivestimento a pannelli in momenti diversi. La credenza è di quercia inglese intagliata; la parte centrale è una vecchia cassa; gli sportelli laterali sono pannelli, come pure il retro, ricavati da vecchi rivestimenti presi da uno dei cottage di mio padre a Winsham. Ho messo insieme le diverse parti e ne ho ottenuto l'attuale mobile di cui sopra.

La drawing room, alla porta accanto, ha le pareti ricoperte di damasco acquistato a Taormina; il rivestimento a pannelli ed il camino furono fatti a Maniace su mio disegno. La stanza contiene dipinti raccolti in Sicilia; ed il ritratto della Regina Vittoria (copia di quello di Von Angeli) è lo stesso che Sua Maestà regalò a mio padre alla fine del suo (di mio padre) Cinquantenario, nella sua Residenza Reale, nella stessa occasione Ella gli conferì anche il G.C.B (si veda vol. l, p.(3), del mio diario privato.

Lo scrigno di quercia olandese (pieno di ricami, damaschi e lavori d'ago) fu da me acquistato a Londra nel 1882.

Ho comprato in Sicilia, in tempi diversi, il vasellame di maiolica. Le massicce porte, come in verità quelle di tutta la casa, furono fatte a Maniace, ed io raccolsi le energiche proteste dei falegnami, Luigi Lupo e del suo compagno, per la loro natura poderosa: qualcosa di sconosciuto ed inutile. Il legno utilizzato è noce dolce siciliana.

Il piano è un Bechstein, comprato a Londra nel 1882. Diventò mio in questo modo: Madame Albani, la grande cantante, venne un giorno per il tè nei miei appartamenti di Londra e, casual­mente, disse che era appena stata nel nuovo negozio di pianoforti Bechstein ed avendo sentito lì un piccolo piano, un gioiello perfetto, chiese se io conoscessi qualcuno che volesse un piano. Affermai di volerne uno.

Si avvicinava il mio compleanno, per la cui ricorrenza una vecchia amica di mio padre e di mia madre, Lady Rolle di Bicton, molto gentil­mente, mi faceva un regalo scelto da me; così ne venni in possesso. Lady Rolle, un'amica molto generosa, mi regalò pure, per un altro compleanno, l'orologio che si trova sulla mensola del camino, insieme ad altri oggetti di valore.

L'entrata, 24 piedi quadrati, con la tappezzeria ed il pavimento rinnovati di recente (trovai il tappeto indiano da Tapling a Londra) ha la stessa mensola del camino dei vecchi tempi. C'erano soltanto quattro camini nella casa, nel 1868. Le librerie sono di ciliegio selvatico siciliano, realizzate su mio disegno. Le stampe sulle pareti, mandate da mio padre, vengono da Cumberland Lodge.

Il gran quadro dell'Etna, vista dal Teatro Greco di Taormina (com'era allora), mi fu lasciato dall'autore, il mio amico P. E. Rainford. Il busto di marmo appartiene a Lord Samuel Bridport, mio nonno. Il busto di gesso è del padre di mia madre, Arthur terzo Marchese del Downshire. Le copie di bronzo di antiche sculture del Museo di Napoli sono state realizzate dal Varlese di Napoli, su mia commissione. Le maioliche sono state acquistate da me in Sicilia, in tempi diversi.

Lo studio, laterale all'entrata, che è il mio salotto, contiene stampe originali di dipinti di Landseer provenienti da Cumberland Lodge. Il vasellame di maiolica ed i bicchieri di cristallo di Boemia furono da me acquistati in Sicilia, in tempi diversi, quando i prezzi erano più bassi di adesso.

La mia stanza da letto, la prima a sinistra del corridoio, fu restaurata, pavimentata e tappezzata di nuovo e vi fu costruito un camino. E le altre sei stanze da letto sono state tutte rinnovate, in tempi diversi, con nuovi mobili, nuove porte e camini.

La terza stanza non è priva di interesse letterario, essendo stata usata come salotto in occasione delle numerose visite dei miei amici: William Sharp, Robert Hichens e Mrs. Lynn Linton; lì dentro William Sharp scrisse alcuni dei suoi lavori firmati Fiona Macleod, e Robert Hichens parte dei suoi "Giardino di Allah", "Richiamo del sangue", ecc. ecc.


Note

(1) G Spata, Le Pergamene Greche nel grande archivio di Palermo, Palermo 1861
(2) Cfr. B. Radice, Memorie storiche di Bronte, Bronte 1928, vol. I, pag. 337: "Alla sinistra, in cornu evangeli, vi è dipinto sant'Antonio Abate, in abito monacale con cappuccio da cenobita e pastorale a tau e un libro in mano, con la falsa iscrizione: sant'Aricus."
(3) Omissis nel testo.

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