La Ducea inglese ai piedi dell'Etna

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Cenni storici sulla Città di Bronte

Bronte ed i brontesi

I ricordi degli ospiti del Duca

di Mario Carastro

I ricordi, le impressioni ed i giudizi sui luoghi e sui brontesi di letterati, poeti, musicisti, grandi viaggiatori che, ospiti a Maniace dei discendenti di Horatio Nelson, visitarono Bronte negli anni dal 1801 al 1920:

LA DUCEA INGLESE AI PIEDI DELL'ETNA
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Andrew Graefer, Bryant Barret, Philip Thovez, John Butler Ormone, Basil Hall, Lady Charlotte Bridport, Henry Gally Knight, George Farrer Rodwell, Frances Elliot, Alexander Nelson Hood, Eliza Lynn Linton, Charles Hamilton Aidè, W. Stigand, G. L. Browne, Jessie White Mario, R. J. Loyd-Lindsay, F. Marion Crawford, Alfred Austin, Robert Hichens, William Sharp, Maude Valerie White, Ethel Brilliana Tweedie, Douglass Sladen e Will Seymour Monroe, Edith Somerville e Ethel Smyth, D. H. Lawrence

 

La storia ha riservato a Bronte, piccolo, a dispetto del roboante nome, lembo di Sicilia arroccato sulle pendici dell’Etna, un privilegio non comune: essere stato come poche altre cittadine siciliane al centro dell’attenzione di viaggiatori, letterati ed artisti stranieri, attirati dal mito di Lord Nelson e della sua Ducea.

In particolare dall’ottocento sino al 1937, anno di morte del quinto Duca, Alessandro, il castello di Maniace è stato visitato da molti viaggiatori ed ha ospitato oltre ai Duchi di Bronte personaggi illustri delle arti e del jet set dell’epoca; alcuni di loro hanno poi lasciato nei loro scritti il ricordo dei giorni lì trascorsi.

I nomi sono suggeriti in buona parte dal Duca(1); altre indicazioni potrebbero aversi leggendo le pagine di quello che fu il Libro dei Visitatori del castello quando e se sarà ritrovato.

E’ sembrato, comunque, interessante non solo approfondire la conoscenza di alcuni di questi testimoni estranei e disincantati del nostro mondo, ma anche raccogliere e riportare i loro giudizi, ricordi e impressioni su Bronte, la nostra gente e i siciliani in genere e cercare di capire se e come si sono modificate agli occhi degli stranieri, per effetto dell’evoluzione sociale ed economica legata al progredire del tempo, opinioni e constatazioni veramente spesso non molto lusinghiere.
  

 

Mario CarastroMario Carastro,
ingegnere minerario, appas­sionato ed attento collezio­nista di scritti e libri che ven­gono pub­blicati su Maniace e sui Nelson, ha vissuto sempre con la Ducea nel cuore.
Fin da piccolo ha respirato l'aria "inglese" del Castel­lo, lì lavo­rava infatti suo padre, Giuseppe, e prima ancora suo nonno, Mario.
In attesa di potersi dedicare, in "laborioso riposo, a scrivere su ri­cor­di, racconti di famiglia e impres­sioni che riguardano la Ducea", ci ha affidato que­sta sua ricerca su grandi viaggiatori (scrittori, poeti, musi­cisti, ...) che, ospiti dei discendenti di H. Nelson, visitarono i nostri luoghi lasciandoci im­pres­sioni e giudizi non sempre lusinghieri.
Grazie Mario!
Associazione Bronte Insieme

La rassegna comincia con ANDREW GRAEFER ( - 1802), il primo Governatore della Ducea, che pur non essendo un grande viaggiatore, è ricordato perché fu il primo straniero che ha parlato dei brontesi in un ambito internazionale di un certo rilievo.
In una sua lettera al 1° Duca Orazio Nelson, infatti, riferendosi ai brontesi con i quali aveva a che fare nella gestione del ducato e che considera indolenti ed accidiosi con scarsa voglia di lavorare, scriveva nel 1801(2): “I fattori salvo rare eccezioni trascorrono metà della giornata bighellonando al mercato. Il lunedì basta un po’ di vento e la manodopera se la squaglia. In questi giorni i contadini oziano in paese a fare capannelli per strada. Quando si decidono a partire sono già stanchi”.


Dopo Graefer ecco BRYANT BARRET ( -1818), altro amministratore della Ducea, che nel 1817 descrive con pena le misere condizioni di Bronte(3):”Le privazioni ed i guai di Bronte sono per noi che abbiamo visitato diversi paesi stranieri di sofferenza oltre ogni limite”. E aggiunge: “E’ impossibile descrivere la sporcizia e la miseria dei brontesi… gli abitanti si ammassano nel paese che è la principale causa della loro povertà e miseria…”.


Nella sua corrispondenza con il 2° Duca anche PHILIP THOVEZ (1789-1839) non è da meno. Nel 1825 descrive(3) la strada verso Catania come nient’altro se non lave e spaventosi precipizi e ricorda che la campagna di Bronte è nota per la sua insalubrità a causa della malaria, le cui possibilità di cura giudica scarse se non nulle.

Nel 1832 l’illustre viaggiatore JOHN BUTLER ORMONE (1808-1854), noto anche come Lord Ossory, che in compagnia dell’amico Mr. Odell, volle visitare Bronte attratto come altri inglesi oltre che dalla fama del Ducato dell’Ammiraglio Nelson anche dal desiderio di seguire da vicino un’eruzione dell’Etna, raccolse il resoconto del viaggio in un libro(4).
Nei riguardi dei brontesi al momento stravolti e depressi per i pericoli che correvano per la furiosa eruzione che partiva dalle Bocche di Fuoco, lo stesso sito da cui si era originata l’eruzione del 1651, in prossimità di Monte Lepre, ha parole tutto sommato elogiative: “…la gente di Bronte non era rimasta inattiva: ho già detto prima che avevano sgomberato tutte le loro masserizie ma anche fuori città erano state prese precauzioni con l’intento di arrestare, se possibile, l’avanzata della lava e si stava costruendo un massiccio muro ammassando materiale vario di traverso ad una valle nella quale la lava doveva arrivare”.
Il muro, costruito per ordine dell’Intendente della Provincia Principe di Manganelli su progetto dell’Ing. Musumeci, doveva arrestare nella vallata della Barriera il ramo lavico, che dopo aver seminato distruzione alla Musa ed alla Zucca, si dirigeva velocemente su Bronte(5), ma non servì allo scopo. La lava, infatti, “fermossi prodigiosamente”(6) ad un miglio da Bronte dopo il 19 novembre allorché fu portata in processione a Salice la statua della Madonna Annunziata.
Non abbiamo trovato, però, leggendo il libro di Lord Ossory(4) quanto riportato da altri(7) sulla sua delusione alla vista di Bronte, “cumulo di rozze case circondato da colate laviche”, sinistro panorama in contrasto con quello più piacevole offerto dalla piccola Maletto dai tetti rossi attorniato da boschi di querce, pini e pioppi con sullo sfondo l’Etna.


Della stessa eruzione parla BASIL HALL (1788-1844), ufficiale di marina e viaggiatore, che fu a Bronte nel e nel 1834, quando osserva che se la colata non si fosse fermata il paese sarebbe stato investito e travolto come “… fa un carro con un paniere di uova”. Le memorie del Cap. Hall(8) fanno trasparire le sue impressioni su Bronte ed i brontesi.

Infatti, dopo avere constatato che “Fra tutte le cittadine ai piedi dell’Etna questa povera Bronte mi sembra inevitabilmente destinata ad una rapida distruzione” per la sua particolare posizione in un fondo valle, in cui convergono tutti i canaloni dell’Etna, azzarda che quando ciò avverrà “…non sarà poi una così grande perdita…” anche se sospetta che il suo giudizio possa non essere condiviso dalla gente del posto, che dopo il recente stato di allarme è tornata “… a vivere e lavorare allegramente e spensiera­tamente come se la vecchia Etna si fosse addormentata per sempre”.

Ed i brontesi? “Raramente ho visto contadini più ignoranti e più sporchi; e dovrei dire, lasciamo che quanti si lamentano delle riforme o deridono il progresso della mente ritornino indietro qui negli insediamenti umani del Monte Etna…; penso che non avranno più nulla da ridire su qualunque cosa tenda a far dell’uomo un essere meno bruto sia nella mente sia nel corpo…”.


Seguendo un ordine cronologico non è poi possibile trascurare il pensiero di un’altra illustre viaggiatrice ben più interessata degli altri a Bronte. LADY CHARLOTTE BRIDPORT (1787-1873), Duchessa di Bronte e nonna del 5° Duca Alessandro, visita Bronte e Maniace nel 1836.
Si racconta che rimase terrificata dallo squallore e dalle primitive condizioni di vita(1-9) a tal punto da lanciare il suo noto e definitivo rifiuto: “Never came back to the Island unless there was a revotution in Englad, and even then would probably go elsewhere”.


Henry Gally Knight
Sempre nel 1836 la cittadina di Bronte “…di 14.000 abitanti… discendenti di una colonia albanese… che vanno in giro con gambali di pezza, un evidente residuo del costume albanese…”(10) è visitata da HENRY GALLY KNIGHT (1786-1846), gentiluomo di campagna inglese ed esperto storico di architettura, diretto a Maniace, accompagnato da William Thovez, per vedere “il complesso conventuale trasformato in una residenza dal Sovrintendente o Governatore della proprietà Nelson” Philip Thovez, che durante i mesi estivi è costretto a causa della malaria a trasferirsi a Bronte.
E’ questa oramai l’era dei Thovez, cioè degli inglesi che si fanno signori siciliani e brontesi e che, credo, non colgono più differenze fra l’ambiente inglese di provenienza, che hanno dimenticato, e quello in cui adesso vivono da padroni assoluti della Ducea.


Sono, invece, del 1864 le notizie pubblicate(11) dall’archeologo e diplomatico GEORGE DENNIS (1814-1898), che fu anche viceconsole inglese a Palermo.
Sono ricordate le locande di Bronte: la “Locanda del Real Collegio”, gestita dal Sig. Peppe Fiorenza, che “è la più grande e la più pulita, dove il viaggiatore viene accolto con molta civiltà ed a prezzi ragionevoli”; la “Locanda di Cesari” (dei Cesare?) e la “Locanda del Lupo” (dei Lupo?), dove “Ospite non temer di lupo il tetto; trovi senza periglio agio e ricetto”.
I brontesi sono anche da Dennis ritenuti di origine albanese e Bronte è descritta come “un’immensa massa di rozze case, chiese, conventi, stipati in modo confuso…”.

George DennisBasil Hall

Basil Hall visitò Bronte nel 1834: «Fra tutte le citta­dine ai piedi dell’Etna  - scrive - questa povera Bronte mi sembra inevi­tabilmente de­sti­nata ad una rapida distruzione» per la sua par­ticolare po­sizione in un fondo valle, in cui con­ver­gono tutti i cana­loni del­l’Etna, az­zar­da che quan­do ciò avverrà «…non sarà poi una così grande perdita»

A destra, l'archeologo e diplomatico George Den­nis che descrive Bronte come «un’im­men­sa massa di rozze case, chiese, conventi, stipati in modo confuso….»

Sotto, un disegno del­l'Etna da Bronte del natu­ralista inglese George Farrer Rodwell


E’ sempre la passione per lo studio dell’Etna a portare a Bronte nel 1877 il naturalista inglese GEORGE FARRER RODWELL (1843-1905) autore di un pregevole libro sul vulcano(12), che ci dà anche un disegno illustrante una vista della montagna da Bronte.
La nostra cittadina è definita “un posto molto primitivo arretrato di diversi secoli”, forse perché lo studioso non ha molto gradito l’alloggio al “miserabile Albergo del Collegio”, dove gli fu “offerta una squallida camera con la porta priva di chiavistello e senza l’arredamento essenziale di una sedia ed un tavolo”.
Neanche cenare deve essere stato facile se nella locanda i>“la semplice idea di mettersi a disposizione per fornire o cucinare qualunque tipo di cibo era un’idea così mostruosa da non essere presa in considerazione neanche per un istante”.
Insomma “l’Albergo era peggiore di quello di Adrano e sembrava non avere mai ospitato clienti”.

In compenso, si può prendere per complimento l’accostamento al sito archeologico di Pompei. Infatti, Bronte gli sembra simile a Pompei per le sue viuzze strette e tortuose e per la sua strada principale cosparsa di buche. “Tendoni erano appesi da un lato all’altro delle vie per fare ombra. Le botteghe erano esattamente simili a quelle di Pompei; e in mezzo alla strada principale abbiamo visto una cucina all’aperto, presso cui dovrebbero recarsi i clienti per comprare un piatto di cibo e mangiarlo in piedi nella pubblica via”.

Nel 1878 arriva a Maniace FRANCES ELLIOT (1820-1898) su invito dei Duchi, che dopo l’allontanamento di William Thovez hanno preso il pieno controllo della Ducea. La scrittrice ci riserva un intero capitolo del suo libro-diario di viaggio in Sicilia(13), peraltro dedicato agli “Amici di Maniace”.
Nel suo viaggio questa donna eccezionalmente vitale e irruenta è accompagnata dalla cameriera Maria, che nel libro chiama Furiosa a volerne con efficacia dipingerne il carattere. “Il giudizio sulla società siciliana è molto severo: l’atteggiamento omertoso e l’indifferenza della gente, la pigrizia, la sfacciataggine…”(14). “E’ la vita ridotta ai livelli più primitivi”(13). La Elliot però gradisce grandemente il vino siciliano: “… e il vino! Io non sono una bevitrice ma desidererei esserlo per apprezzare questa eccellenza”(13).
Le sue descrizioni sono sempre pittoresche e incisive anche quando traspaiono gli aspetti più vergognosi della Sicilia quali l’estrema indigenza della gente, la sporcizia, il brigantaggio, la mancanza di strade…, tutto in stridente contrasto con l’origine mitica, l’antico splendore, la ricchezza della natura. L’Etna, il mare il cielo… “…che mondo! che ricordi! Il trono di Giove, il culto di Vulcano, la prigione di Titano, la casa dei Ciclopi…”. Messina, Taormina, Catania, Siracusa e finalmente Maniace anche se “avevo sempre avuto paura di questo viaggio”(13).

E’ il mese di marzo dell’anno 1878 ed a Maniace lo attende la famiglia Bridport quasi al completo: il IV Duca Gen. Alexander, la Duchessa Mary Penelope, le duchessine Rosa ed Adelaide ed il Duchino Alec, il futuro V Duca.

Scrive Raffaella Valente riferendosi ad Alec(14): “…E’ facile intuire che Mrs Elliot nutriva per il Duca più di un sincero affetto. Nei giorni trascorsi a Maniace, infatti, non lo perde mai di vista. Attraverso i suoi occhi e le sue parole conosciamo il “Duca” nell’intimità fami­gliare; conosciamo le sue doti nel gestire la Ducea… Lo descrive come un gentiluomo alto ed elegante… saggio e sensibile”. Un uomo che si commuove sino alle lacrime quando ricorda la morte di un suo operaio e se ne addossa la colpa, dicendo che è stato lui a volere ad ogni costo l’adozione di quella macchina, necessaria per la costruzione delle strade, che ha ucciso “Salvatore”.
Molte sono le impressioni della Elliot su Maniace, la primitiva e selvaggia bellezza dei luoghi: ”Che scene di bellezza idilliaca si nascon­dono in queste valli solitarie e difficili da percorrere, chi lo può dire? Solo l’Etna…”(13). Oltre queste descrizioni, però, non ha lasciato alcun giudizio diretto sugli abitanti del posto. Con molta probabilità i pensieri della scrittrice non erano molto diversi da quelli del suo amico Alec e chissà in quei giorni nei salotti del castello davanti ai camini quante volte le condizioni di vita ed i costumi locali sono state oggetto di discussioni?


Il V duca di Bronte, Alexander Nelson-HoodCosa pensava l’Hon. ALEXANDER NELSON HOOD (1854-1937, foto a destra) di Bronte e dei brontesi?

Benedetto Radice suggerirebbe di cercare il vero pensiero del Duca nei suoi comportamenti ed atteggiamenti nei riguardi della comunità brontese. Ma questi, come si sa, sono stati molteplici e diversi nel tempo. Dato che nella nostra ricerca stiamo seguendo un criterio cronologico interessa subito il periodo degli anni ottanta dell’ottocento.

In una serie di lettere inviate negli anni 1885 e 1887 al suo avvocato di Bronte, Luigi Saitta, il Duca appare, oltre che intento a curare con scrupolo gli affari e la gestione della Ducea per conto del padre, sinceramente preoccupato per i pericoli del diffondersi delle epidemie di colera a Bronte, ma nello stesso tempo critico sulle abitudini dei brontesi.

Nella lettera datata 30 settembre 1885 da Cricket St. Thomas scrive in discreto italiano testualmente: “…Mi piace sentire che delle misure preventive si adottano in Bronte e credo che i porci non corrono più per le strade – Sarebbe questa una fonte terribile del male in caso venisse il morbo. Le notizie sono migliori ed auguro molto tempo freddo che tra poco deve venire. Ansiosissivamente guardo i giornali di mattina e sera…”.

E sempre da Cricket St. Thomas il 25 giugno 1887, quindi due mesi prima dello scoppio dell’epidemia di colera a Bronte (28 agosto 1887): “…posso assicurarvi che soffro moltissimo per quanto voi dovete soffrire per ansietà e disturbo generale per cholera. Che Dio vi protegga è la nostra preghiera e che Egli salvi la città da altre angustie. Attendo sempre notizie con impazienza. Il Duca e famiglia si uniscono con me”.

E qualche giorno dopo, il 20 luglio 1887, ancora: “Rispondo alla vostra del 11 corrente specialmente per assicurarvi quanto sono occupato delle gravi notizie di cholera che mi avete dato e che leggo nei giornali. Che Dio ci salvi da una visitazione di questo male. Tralascio a più scrivere in proposito perché tutto che ho a dire è stato già detto e scritto tanto per evitare quanto per riparare. Ma nuovamente ammetto la assoluta necessità a chiudere senza veruna eccezione tutte le cisterne ed i pozzi in città se la malattia ivi comparisca, obbligando ai cittadini d’andare fuori paese per trovare l’acqua potabile.
Gli scienziati sono unanimi che sia l’acqua che porta e propaga il morbo, e le cisterne ed i pozzi di Bronte scavati nella terra vulcanica o nella roccia ove esistono delle fessure saranno specialmente i recipienti della filtrazione della terra. Il comune deve assumere l’obbligo di portare l’acqua necessaria in città e chiudere tutte le sorgive che abbiano comunicazione con il paese, specialmente quella sotto Bronte passando per Barrili
(Malpertuso? Ndr). Non costerebbe molto se si tratta di salvare vita, e la sorgente alla Barriera (Pomaro? Ndr) sotto strada che va a Randazzo sarebbe senza pericolo. Attendo ansiosamente altre notizie e posso assicurarvi che penso moltissimo a voi altri…”.

E’ l’uomo che conosce Bronte con i suoi problemi igienici e di approvvigionamento idrico, molto diverso dal cinico proprietario, “un drago”, delle sorgenti del Biviere negli anni intorno al 1920(15).

Lo stesso uomo che nel gennaio 1887(16) ha visitato la Società Operaia di Bronte, della quale era stato acclamato Presidente Onorario, invitando nel corso del suo discorso gli operai all’unità e compattezza per conseguire il giusto progresso e “l’incivilimento” ed a istituire fra loro una Cassa di Risparmio, per la quale lasciò un generoso contributo.
 

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