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La chiesuola in un momento parve tutta fiorita come un giardino. Una lumiera doppia, ricca di cera, penzolava dalla volta; alle pareti viticci a due o tre bracci, da cui pendevano lunghi festoni d'alloro e di vecce, intrecciati con fiori e nastri. Sull'altare, contornato da un fitto canneto di candele, e trasformato in Calvario, si drizzavano tre enormi croci trasparenti, su cui erano rabescati gl'istrumenti della passione: ai lati dell'altare due saette per le tenebre. Qua e là si alzavano dei fusti d'albero, fasciati di stoppa, che volevan dire cipressi, su cui, da poco, era stato seminato del lino, e già vi si scorgevano dei piccoli cesti di un verde chiuso. I ragazzi, intanto, ci si spacchiavano a sentirlo, e di nascosto gli buttavan da beccare; i vecchi brontolavano, ma, colla Gegia, quando incocciava, bisognava striderci. Il resto del pavimento era un'aiuola di margheritine, ritine, geranii, violacciocchi, giacinti: un praticello fiorito, da cui esalava un odore acre e misto di primavera, sparso di lucerne e lanternini, gettanti attorno una luce trémula e pallida, e di bicchierini, variamente colorati, che per il lume acceso di dentro, mandavano chiarori rosei, turchini, verdi, gialli. (...) La chiesuola, rallegrata nelle sue ombre e penombre da una festa di luce e di colori, e calda di profumi, sembrava una fantasmagorica stufa da giardino, che inebriava i sensi. La funzione fu breve e semplice, ma di quella semplicità solenne che riempie la mente di Dio. Insieme colle nuvole d'incenso, saliva al cielo un pio sussurro di preci che consolava l'anima e rinverginiva il cuore. Una calma serena si dipingeva su i volti di quei contadini, che nella loro candida fede pregavano il morto Gesù, e un raggio di speranza traluceva dai loro occhi.» Il brano è tratto da un breve racconto di Benedetto Radice, dedicato al suo amico Filippo Isola, pubblicato il 19 Aprile 1891 su “Cordelia – Giornale per le Giovinette”, (n. 25, Anno X, pagg. 196-197 - Direzione e Amministrazione: Piazza del Duomo, Firenze - Diretto da Ida Baccini). Il Radice in quel periodo insegnava in Toscana e nel suo racconto trasferisce ambientandola nella campagna toscana una tipica tradizione brontese, quella dei Sepolcri del Giovedì Santo. Il racconto è stato ripubblicato ne "Il Radice sconosciuto", edito nel 2008 dall'Associazione Bronte Insieme (vedi pag. 48 dell'edizione digitale del volume, curata dalla stessa Associazione). | |||||||||||||
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