L'Ospedale dei poveri

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Cenni storici sulla Città di Bronte

La storia del "Castiglione - Prestianni"

Dall'antico Nosocomio del 1500 ad oggi

Gli ospedali nei secoli passati furono istituiti e gestiti dalla Chiesa, dai Comuni ma anche per l’idea di carità cristiana e di soccorso dei privati benefattori, di confra­ternite e di associazioni.

Lo scopo era quello di raccogliere gli infermi senza famiglia o abban­donati da tutti per curarli con i mezzi di cui allora si disponeva (un tetto, un giaciglio ed un po’ di nutrimento). Il “Real Governo” non vi aveva ingerenza ammini­strativa e le pie confraternite sottostavano ai loro Capitoli ed Istruzioni o alla potestà ecclesiastica o laica.

Anche a Bronte, paese con una radicata tradizione religiosa, con un clero sempre numeroso, di elevato livello di formazione e schierato sempre in difesa della popo­lazione, esisteva un antico ospedale la cui origine si confonde con l’origine del paese nella sua attuale posizione (1535-1598).

Un primo documento certo che ci dice dell’esistenza di una istituzione carita­tiva a favore dei poveri e dei malati è il testamento del Sac. Luigi Mancani, datato 1632. Col suo testamento il sacerdote destinava una somma da servire per i restauri di un vecchio ospedale pubblico degli infermi (il “Nosocomio”) allora ubicato quasi adiacente ai locali dell'at­tuale Circolo di Cultura “Enrico Cimbali” (la scalinata che sale al Circolo è ancor oggi denominata via Ospedale Vecchio).

«Da ciò - scrive Benedetto Radice - si argomenta che l’ospedale già esisteva e che probabilmente era sorto verso la fine del secolo XII».

Non sbagliava il Radice anche se non aveva potuto consultare documenti quali le relazioni ad limina inviate a Roma dai vescovi di Monreale, diocesi alla quale Bronte è appartenuta fino al 1802.

In alcuni di questi documenti che si trovano nell’Archivio Vaticano a partire dalla fine del Cinquecento, si hanno notizie della costruzione dell'ospedale già dal 1591. «Nella prima relazione del 1591 - scrive Adolfo Longhitano - il vescovo scriveva che si era incominciato a costruire l’ospedale; di esso per tutto il Seicento non abbiamo altre notizie.

A distanza di oltre un secolo, nella relazione del 1706, il vescovo Francesco Del Giudice scrive che era stato fondato un nuovo ospedale e quanto prima sarebbe stato portato a compimento. Lo troviamo funzionante nella relazione del 1734 e leggiamo che era intitolato alla Madonna della Scala.»

Anche l'Ospe­dale Grande e Nuovo di Palermo, all'epoca padrone asso­luto del territorio e dei brontesi, fece la sua parte: nel 1695 un resocon­to delle elemosine fatte dai Giurati di Bronte per suo conto, oltre a vari contributi per la Società della Misericordia, per varie feste (S. Vito e S. Vincenzo Ferreri) o per chiese in costruzione (S. Caterina, S. Marco, oratorio di S. Filippo Neri) portava anche un corposo contributo di 20 onze "per la fundazione del Nuovo Spedale in Bronte".

 

Via_Cavallotti, oggi

L'ANTICO NOSOCOMIO DI BRONTE

A sinistra, una vecchia casa di via  Ospedale Vecchio, ancora esi­stente e (a destra) l'antico Nosocomio (da una stampa del 1883 e com'è oggi). Sorgeva nella stessa via, di fronte a questa casa (in adiacenza alle mura dell'antico nosocomio oggi c'è il palazzo che ospita il "Circolo di Cultura Enrico Cimbali", l'ex Casino de' Civili).

«Ieri per motivo di pubblica utilità, l’allargamento e retti­ficazione del­la strada pubblica, fu diroccato il grande alto e distintissimo campa­nile della Cappella dell’Ospedale. Dentro il fabbricato di esso cam­pa­nile era l’ingresso amplissimo, porta, scala amplis­sime che met­tevano capo, e Cappella medesi­ma. Nell’alta loggia del campa­nile due campane, una grande, e l’altra me­diocre, pro­prietà della com­pagnia dei Bian­chi.»
(Gesualdo De Luca, Storia della Città di Bronte, 1882)


Castiglione Pace

Don Lorenzo Castiglione PaceA favore di un Ospedale dei poveri, oltre al lascito del sac. L. Mancani del 1632, trovia­mo un successivo documento testamentario datato 1679 di don Lorenzo Castiglione Pace, barone di Pietra Bianca e di S. Luigi, illustre giureconsulto e parlamentare bron­tese, gloria e vanto di Bronte, e primo vero grande benefattore dell’ospedale.

Sei giorni prima di morire (27 ottobre 1679), con disposizioni testamentarie, egli divideva i suoi feudi in quattro porzioni e lasciava il suo ricco patrimo­nio alle due figlie (Rosolia e Giustina) ed alle nipoti (Giustina, Beatrice e Girolama) con l’obbligo che parte del reddito dei beni avuti in eredità fosse destinato al completamento e mantenimento dell’Ospedale e “ove mai si estinguesse una di queste sue linee ereditarie senza naturali successori tutta l’eredità si devolvesse” allo stesso scopo.

Erede universale divenne la Cappella dell’Assunta sede della Compagnia dei Bianchi (fondata a Bronte nel 1652 nella Chiesa del Rosario sotto il titolo di Maria SS. del Rosario), alla quale il barone Castiglione lasciò anche il suo grande molino della Gollìa ed un fondaco dichiarandola in ciò sua erede particolare, con l’obbligo che il reddito dei beni fosse destinato a conservare e migliorare l’ospedale dei poveri.

La Cappella, oggi scomparsa, era posta nella chiesa del Rosario, un tempo denominata Chiesa dell’Astinenza.

La Compagnia dei Bianchi, fondata a Bronte nel 1652 col titolo di Confraternita di Maria SS. del Rosario, della quale potevano fare parte solamente “gentiluomini di provata onestà”, oltre a gestire ed amministrare il Nosocomio aveva lo scopo di assistere, confortare e preparare alla morte i poveri, gli afflitti o i condannati. A quei tempi, infatti, i poveri ed i bisognosi rischiavano di morire nelle loro case, lungo le pubbliche vie, senza che alcuno si curasse di soccorrerli o di aiutarli.

Le Congregazioni di Carità, ove esistevano, a stento si preoccupavano di assicurare agli infermi senza famiglia o abbandonati da tutti, un tetto, un giaciglio ed un po' di nutrimento: il tutto, però, nell'ambito della potenzialità di cui disponevano, e compatibilmente con i mezzi finanziari che erano in grado di utilizzare.

Con il generoso lascito di don Lorenzo Castiglione Pace, gli amministratori ed i rettori della Compagnia dei Bianchi (nel 1783 ne facevano parte otto sacerdoti e quarantasette "nobili o ragguardevoli cittadini") costruirono e gestirono un nuovo ospedale sullo stesso sito del precedente con una attigua Cappella che divenne la nuova residenza della loro Congregazione.
“…La chiesa dell’ospedale e l’ospedale stesso in forza della loro fondazione sono proprietà effettiva della compagnia dei Bianchi, la quale l’incominciò e fece in parte col suo denaro, le compì colle rendite della sua Cappella Castiglione (il lascito del Barone Castiglione-Pace): essa quindi compagnia dei Bianchi è l’effettiva immediata fondatrice di amendue opere”. (Gesualdo De Luca, Memoria legale intorno sulla comproprietà e possesso della Compagnia dei Bianchi sulla pubblica chiesa dell’ospedale di Bronte, Catania, Tipografia Galatola, 1882).

Quando venne istituito dallo Stato il Consiglio degli Ospizi, il Governatore ed i Rettori della Compagnia dei Bianchi, rinunziarono all’amministrazione dell’Ospedale de' poveri, per non andar soggetti ai fastidi del Rendiconto al Real Governo.

Il Nosocomio fu amministrato e diretto dalla locale Congregazione di Carità, a cui in seguito venne affidato in virtù della legge 3 agosto 1862 e del regolamento del 27 Novembre dello stesso anno.

Nel 1873 prestavano servizio nel Nosocomio il segretario ed il tesoriere della stessa Congregazione, un medico chirurgo, un economo, un infermiere, una infermiera ed un barbiere. Il «servizio sanitario, igienico, e dietetico e farmaceutico» era  «regolato, e vigilato dal Medico chirurgo di detto pio Istituto.»

L'Ospedale rimase funzionante per tutto il 1800, però, sempre più piccolo ed inadatto alle esigenze dell’accresciuta popolazione. Per altro, nel 1882, causa l’allargamento della via Umberto, una parte della costruzione fu abbattuta e gli infermi ricoverati nel convento dei PP. Cappuccini.

Nel 1893-96 dirigeva l'Ospedale di Bronte Suor Battistina Camera. Bronte allora contava circa 20.000 abitanti, la tubercolosi ed altre malattie contagiose (vedi le epidemie di colera) facevano stragi. Le malattie e la mortalità erano causate, anche, dalle pessime condizioni igienico-sanitarie. Molti i brontesi che vivevano in tuguri, monolocali con muri a secco, coperti solo da tegole e privi di pavimento, e spesso in promiscuità con gli animali.

“La povera gente moriva nel proprio tugurio, priva di assistenza e di conforti, e spesso d’inedia e di disperazione: i contagi si propagano con un crescendo spaventoso, perché nessuno cura l’igiene delle case e delle vie, per miseria, per ignoranza, per insipienza, per colpevole trascuratezza”.

La classe di cittadini più indigenti era “costretta ad implorare il ricovero in ospedali del Capoluogo di Provincia, come una grazia più che come un diritto”.


Giuseppe Prestianni

L’idea di realizzare un nuovo ospedale venne nei primi anni del '900 al sac. Giuseppe Prestianni (1849-1924), rettore benemerito del Real Collegio Capizzi dal 1892 al 1916. Con propri mezzi finanziari acquistò alcune casette ed un tratto di terreno lavico posto sulla via provinciale, ricadente fuori dalla cinta del paese sotto la stazione ferroviaria della Circumetnea, tra l’attuale via M. Pagano ed il Corso Umberto.

La scelta del luogo dove costruirlo non fu certo felice. In posizione preminente ma in un luogo angusto e a ridosso di un alto muro di lava (si scrisse allora per “ripararlo dai venti di tramontana”) e circondato di case.

Ma, scrive Benedetto Radice, al sac. Prestianni, uomo d’affari e cocciuto, mancava il senso della bellezza estetica. …l’ospedale si sarebbe potuto costruire al posto Salice, o meglio ancora al Conventazzo, come già nel 1574 era stato ordinato da mons. Ludovico Torres I nella sua visita pastorale”.

ll Prestianni spese di suo oltre 70.000 lire; ottenne un contributo di lire 20.000 dal Comune (votato dal Consiglio il 28.1.1901); altre 20.000 lire si ricavarono dalla vendita del vecchio ospedale e di locali appartenuti al Convento dei Cappuccini, ed altre somme si ricavarono grazie al contributo di emeriti benefattori e da pubbliche sottoscrizioni.

Realizzare una simile opera era certamente arduo, consistenti i mezzi necessari per la sua costruzione ma Giuseppe Prestianni era “cocciuto” come Ignazio Capizzi ed il nuovo ospedale era tenacemente voluto da tutto il paese.

Moltissimi i brontesi che contribuirono alla costruzione dell’opera: con le sottoscrizioni si raccolsero circa 48.000 lire, anche gli emigrati mandarono le loro offerte (un sostan­zioso contributo di lire 6.272,35 lo dette una Associazione di emigrati brontesi dalla lontana America, la Società "Mutuo Soccorso N. Spedalieri"), i lavoratori di Bronte donarono al nuovo ospedale una giornata di paga. La Cassa Agraria di Mutuo (l’ex Banca Mutua Popolare di Bronte oggi venduta alla Banca Popolare Lodi) devolse per alcuni anni i propri utili al completamento della palazzina centrale (bilanci 1921, 1922 e 1923 per un totale di Lire 28.000).

Non mancarono generosi contributi ed anche lasciti testamentari a favore del nuovo ospedale: tra i tanti, vogliamo citare quelli del dott. Filippo Isola, del ten. Nunzio Aidala, di Pietro Spedalieri.


Il progetto 

Il progetto per la costruzione del nuo­vo ospedale venne redatto dal­l’Arch. Leandro Caselli (lo stes­so che progettò nel 1892 l'ala nuova del Collegio Capizzi) ed era compo­sto da tre corpi a più pia­ni, uno centrale e due laterali, comu­nicanti con il primo "per mez­zo di comode gallerie coperte".

Inizialmente avrebbe potuto ospita­re 60 degenti oltre al personale medi­co, alle benemerite suore, gli inser­vienti, cucine, magazzini, e alloggio del custode (nello stesso periodo i quattro grandi ospedali di Catania disponevano di 800 posti letto).

Il progetto prevedeva anche un ampio ingresso sul prospetto prin­cipale dell’edi­ficio (di m. 63,30 di lun­ghezza); doveva esse­re co­strui­to sulla via Paga­no, "la quale dovrebbe esse­re convenientemente sistemata, in modo che - previa espropria e demo­lizione delle case laterali - venga allargato notevol­mente e ribassato il piano stradale". Ma sopratutto per il costo ecces­sivo (oltre lire 10.000) l'ampio in­gres­so disegnato dall'arch. Caselli non fu mai totalmente realizzato.

I lavori furono interrotti durante il periodo bellico (1915-1918), ripre­sero nell'anno 1921 ed il primo padiglione venne inau­gu­rato il 3 febbraio 1923.

Pochi anni dopo era quasi com­pleto il padiglione di ponente che com­pren­deva al pianter­reno la cuci­na, il forno, le dispense i magazzini, la lavanderia, i locali di disinfezione e nei due piani supe­riori "le sale d'infermeria comuni e quelle a stan­ze separate, s'in­tende con reparti distinti per uomini e donne" (in tutto 29 posti letto).

Dopo la morte del Sac. Prestianni (1924) un altro sacerdote, Bene­detto Ciraldo (1878 - 1942, pre­sidente della «Cassa Agraria di Mu­tuo») e la locale Congre­ga­zione di Carità (l’ex Com­pa­gnia dei Bianchi), continua­rono ad attivarsi per il comple­tamento dell’opera. Continuò pure incessante il generoso con­tributo e le offerte dei brontesi per l'acquisto dei mobili, della biancheria, degli strumenti e del materiale farmaceutico.

Nel marzo del 1925 la Congre­gazione di Carità aveva un debito di lire 19.010,70 "da estinguersi con offerta promessa dalla spett. Cassa Agraria di Mutuo sul bilancio 1924 e con le generose oblazioni degli altri Enti e bene­fattori".

Per ultimo fu costruito il padi­glione di levante, composto dal pianterreno e di un primo piano per un totale di 29 posti letto.

Anche lo storico Benedetto Radice contribuì al miglioramento dell'ospedale: diede alle stampe nel 1926 le sue “Memorie storiche di Bronte” “a bene­ficio dell’Ospedale Civico” al quale cedette anche la proprietà letteraria.

Ancora nel 1949 i "brontesi d'Ame­rica" aprivano pubbliche sottoscrizioni "per venire incontro ai bisogni del nostro ospedale". Ci piace ricordare un piccolo elenco di sottoscrittori (fra i tanti pub­blicati dal quindicinale "Il Ciclope" in quegli anni): J. Sam e Vincenzo D'amico, Nunzio Camuto, Pietro Saitta, Joseph Lupo, Salvatore Portaro, Vincenzo, Walter e Nick Gangi, Luigi Isola, Joseph Bar­baria, Frank Casella, Vito Palermo, Sebastiano Caudullo, Vincenzo Fiorenza.

Concludendo, l’opera pia che gestiva “l’Ospedale dei poveri”, a seguito di voto unanime del Consiglio Comunale, deliberò di intitolare la nuova costruzione “Ospedale Castiglione Prestianni” con i nomi dei due principali fondatori e benefattori: don Lorenzo Castiglione Pace ed il sac. Giuseppe Prestianni.

   

L'Ospedale Castiglione Prestianni (sulla sinistra in alto), il Muni­cipio (sotto l'ospedale), il Collegio Capizzi e, a in alto destra, la stazione della Circum in una foto degli anni 50.

Per motivi econo­mi­ci, il progetto origi­nario del­l’ing. Casel­li, fu in parte sempli­fi­ca­to: furo­no elimi­nati un se­condo ed un ter­zo piano previsti nella palazzina cen­trale, il cui pri­mo piano fu adegua­ta­mente elevato rispetto all'altezza dei padiglioni late­rali.

Non fu costruito l’ampio accesso con scalinata dalla via M. Pagano, pre­visto nel progetto.

A destra due vecchie foto della costruzione (del 1925), un pubblico ringraziamento per le donazioni fatte all'erigendo Ospedale e
una foto attuale dell'Ospe­dale Castiglione-Prestianni

Un pubblico ringraziamento per le donazioni fatte all'erigendo Ospedale e due vecchie foto della costruzione (del 1925)

 

Ospedale, il progetto dell'Arch. Caselli

Due disegni del progettista Arch. Leandro Caselli. Il pro­getto iniziale prevedeva tre corpi a più piani, uno centrale e due laterali, comunicanti con il primo per mezzo di gal­lerie coperte.

Interessante notare che l'Ospe­dale inizial­mente era dotato di una stanza per i maschi, con quattro letti, una per le femmine, con tre letti ed una per i mori­bondi, con due letti.

LE PRIME SUORE IN SERVIZIO AL CASTIGLIONE PRESTIANNIIn prosieguo, i posti letto diven­nero 50, mentre agli originari reparti di medicina e di chirur­gia, nel 1936 si aggiunsero le spe­cialità di oculistica e di otorino­laringoiatria.

Nel 1938 venne aperto il reparto di maternità (ostetricia e gine­co­logia). In ogni caso, i posti letto erano riservati ai non abbienti, salvo una percentuale non supe­riore al 15%, che poteva essere utilizzata per i paganti in proprio.

Ed il personale?

Sembra incredibile, ma origina­riamente vi era un Primario ed un Assistente, per il reparto di Chi­rurgia ed un medico interno per il reparto di medicina, al quale era pure affidata la Direzione tecnico-sanitaria. Vi era, infine, un infer­miere, che aveva l'obbligo del pernottamento, un portiere, un esiguo numero di «inservienti speciali », mentre il servizio interno dell'Ospedale veniva espletato da una benemerita Comunità religiosa di Suore salesiane (le figlie di Maria Ausiliatrice).


Le successive tappe

Le successive tappe impegnative e gratificanti per la storia dell'antico ospedale dei poveri furono:

 - la trasformazione in Unità Ospedaliera Circoscrizionale n. 10 ai sensi dell'art. 20 della Legge 5.7.1949, n. 23;

 - la classificazione di «Ospedale di Terza categoria» a seguito del Decreto del Medico Provinciale di Catania in data 10 agosto 1962;

 - la dichiarazione in Ente Ospe­daliero con deliberazione della Giunta Regionale Siciliana n. 223 del 15.12.1970.

Nel 1949 è eletto presidente dello Ospedale civico Prestianni  padre Luigi Longhitano che so­stituiva il commissario Prefettizio prof. Reina.

Nel 1952, ancora un altro sacerdote brontese, Antonino Rubino parroco dall'aprile 1949 della nuova parrocchia del Rosario, fu nominato Presidente del "Castiglione Prestianni". Lo diresse per un quarto di secolo continuando l'opera di Giuseppe Prestianni e di Benedetto Ciraldo.

Padre Rubino potenziò l'orga­nizzazione e le strutture interne dell'Ospedale, rese "moderna" l'antica infermeria con la crea­zione delle divisioni di medicina, chirurgia, ostetricia, ginecologia, pediatria, e con laboratori di analisi e di radiologia. Dopo la sua scomparsa (1975), l’Ospedale è stato inserito dalla Riforma Sanitaria all’interno dell’Unità Sanitaria Locale 39. Era la fine della gestione privata. L’Ospedale entrava nel circuito pubblico e finiva oggetto di spartizione fra i partiti politici.

Nasceva il Comitato di gestione: quello dell’Usl 39 inizialmente era di 5 componenti nominati dai partiti che si spartivano poltrone e potere e doveva assicurare tutti i servizi alla struttura sanitaria che assisteva i Comuni di Bronte, Randazzo, Maniace, Maletto e Santa Domenica Vittoria.

Nel Luglio 2002 la Regione ha classificato le strutture sanitarie pubbliche e private (quelle accreditate) in sei fasce che tengono conto del raggiungimento di alcuni parametri quanti­tativi e qualitativi riguardanti essenzialmente la dotazione di servizi dedicati alle varie patologie ed il fatturato complessivo annuo. L'Ospedale di Bronte è stato classificato nella fascia "D" (si va dalla "A" alla "F" a seconda dei meriti e del relativo punteggio raggiunto dalle varie strutture).

Nel Luglio 2009, l'antico ospedale dei poveri, il Castiglione Prestianni eretto con tanto entu­siasmo e sacrifici dalla popolazione brontese, in seguito al piano di rientro della spesa ospe­daliera, si è visto tagliare i posti letto (erano 90 nel 2008) ed è stato "accorpato" con gli ospedali di Paternò e Biancavilla.

Nel dicembre 2010, ottantasette anni dopo la sua inaugurazione, i sindaci ed i presidenti dei consigli comunali del comprensorio che raggruppa Bronte, Maletto, Maniace, Randazzo, Cesarò, San Teodoro e Santa Domenica Vittoria devono scendere in piazza e sfilare con la popolazione per cercare di difendere quel che resta dell'antico Nosocomio de' poveri, il Castiglione-Prestianni, vittima di una riforma sanitaria regionale che guarda solo al pareggio dei conti sacrificando i bisogni essenziali della popolazione.

Anno dopo anno, se non mese dopo mese, con una tattica che vuole mimetizzare le reali intenzioni (chiuderlo definitivamente), l'ospedale, pur in presenza di rassicuranti dichiarazioni dei vari dirigenti e del politico di turno, viene sempre più impoverito nelle strutture operative e privato del necessario perso­nale con conseguente decadimento delle prestazioni, chiusura di reparti e blocco dei lavori di ristrutturazione. Ad inizio 2012 viene addirittura decisa la chiusura definitiva del punto nascite con quel che ne consegue per le puerpere ed i cittadini di Maletto, Randazzo e Maniace in provincia di Catania, e di San Teodoro, Cesarò e Santa Domenica nel Messinese, bacino d’utenza dell'Ospedale.

L'antico Nosocomio (Hospitalis pau­pe­rum come era definito alla fine del 1500) sembra destinato dopo cinquecento anni a concludere la sua storia anche se lo scopo per cui era stato costruito e concepito resta sempre attuale.

(Nino Liuzzo)

 

2010, L'ospedale muore

Dicembre 2010: «Dopo 87 anni l'ospedale muore», Sindaci e cittadini in corteo in difesa del Castiglione-Prestianni.
Nelle due foto a destra, l'attuale ingresso dell'ospedale ed il cor­po centrale. I profili architet­tonici disegnati dal progettista, arch. Leandro Caselli, so­no rimasti invariati.

MANIFESTAZIONE A DIFESA DELL'OSPEDALE DI BRONTE

1873, Lo Statuto dell'Ospedale dei Poveri

Nel 1873 lo Statuto organico dell'Ospedale dei poveri, del Co­mune di Bronte (approvato da re Vittorio Ema­nuele il 1° Ago­sto 1875), era composto da appena due paginette ed undici articoli di poche righe.
Il primo articolo era dedicato all'origine e riportava che «L'Ospedale dei poveri che ha sede nel Comune di Bronte trae la sua origine dal testamento del pietoso fondatore Ba­rone Lorenzo Castiglione del dì cinque No­vembre 1679 ed og­gi si amministra a norma delle prescrizioni della legge 3 agosto 1862 e del regola­mento del 27 Novembre dello stesso anno.

Seguiva lo scopo del detto pio Istituto: «accogliere, e curare i poveri infermi del Comune di ambo i sessi, i qua­li siano affetti da malattie acute, escluse le con­tagiose.» Accogliere «altresì i militari che trovandosi di pas­sag­gio, in distaccamento si ammalassero nel Comune. I pove­ri estranei che essendo anche di passaggio vi si ammalassero. Gli ammalati non poveri, dietro paga­mento della corrispondente diaria. Nei casi di grave urgenza, quelli che abbiano riportato ferite, fratture, contusioni.»
All'articolo 4 lo Statuto disponeva in un embrione di "par condicio" che «tanto gl'infermi entrati a paga­mento, quanto quelli accolti gratuitamente» dovevano «osser­vare lo stesso regolamento, sottostare alla stes­sa disci­plina, e godere gli stessi vantaggi.»

I mezzi coi quali l'Istituto provvedeva «allo scopo di sua istituzione» consistevano «in rendita iscritta sul debito pubblico Italiano, in canoni enfiteutici, e pigioni di case dell'ammontare complessivo annuo di lire 2749.»

L'Amministrazione era regolata nel Capitolo secondo che, all'Articolo 6, disponeva che «l'Ospedale è ammi­nistrato, e diretto dalla locale Congregazione di Carità, a cui venne af­fidato, in virtù della legge 3 agosto 1862 e del regolamento del 27 Novembre dello stesso anno; conservandone distinti, lo scopo, e la speciale natura, e tenendone separate le atti­vità e passività del proprio patrimonio.»
All'epoca Presidente della Congregazione di Carità era l'avv. Nicolò Leanza; componenti erano Arcangelo Dr. Spedalieri, Giuseppe Artale, Gregorio Venia, Anto­nino Isola di Gaetano, Giuseppe Camuto, con segre­tario Felice Cimbali.

1652-1900, I due fondatori

Lorenzo Castiglione PaceDon Lorenzo Castiglione Pace, barone di Pietra Bianca e di San Luigi, in un quadro dipinto da Agostino Attinà nel 1864 ed, a destra, il sacerdote Giuseppe Prestianni.
Giuseppe PrestianniScrive B. Radice che «Don Lorenzo Castiglione, barone di Pietra­bianca, in quel di Adernò, per fare cosa grata al Comune, chè animo generoso egli ebbe, e rendergli men disagevole il paga­mento, comprò la rata ... che doveva Bronte; e sborsando alla Regia Corte il capitale ... fu investito del titolo di barone di S. Luigi...».

Il prezioso dipinto del barone Paci, di proprietà dell'Ospe­dale ("si conserva all'ospe­dale", scri­veva il Radice nel 1926), è ora scomparso: non si sa come ed a quale titolo, è finito nelle mani di un medico che ivi prestava servizio.

In un'altra foto (vedi sopra) il baro­ne Don Lorenzo Castiglione Pace è ritratto ancora da Agostino At­tinà nel suo dipinto "Uomini illu­stri" (1874) conservato nella scalinata d'ingresso del Real Collegio Capizzi. 

1915, Due benefattori

Filippo Isola

Il dott. Filippo Isola, uno dei maggiori benefattori che elargì parte dei suoi beni a favore dei poveri del­l'ospedale.

Nacque a Bronte il 15 giugno 1860, studiò al Real Collegio Capizzi e conse­guita, a 26 anni,  la laurea (con lode) in medicina si dedicò alla pro­fessione medica ed anche alla politica ("a battagliare nel Municipio", scrive) dove fu eletto a consigliere comunale e provinciale.

Nel 1887 fece parte della squa­dra di soccorso, creata da Benedetto Radice, durante l'epi­demia di colera.

Successivamente si trasferì negli Stati Uniti dove conti­nuò ad esercitare la professione medica scrivendo anche libri e pubblicando articoli ("di intonazione apologetica su verità religiose e morali" li definì il fratello Francesco) su vari periodici. Ammalatosi nel 1918 ritornò a Bronte dove morì un  anno dopo (il 27 gennaio 1919).

Fu un poeta-medico e pubblicò sia libri di poesie (Prosa rimata, Adernò, Tipografia Luigi Lon­ghitano, 1898) che di carattere scientifico (Foruncoli ed orzaioli recidivanti, su Rivista Clinica e Terapeutica, Anno XIV, n. 5, Marzo 1892) - Il solfato di rame ne' foruncoli e negli orzaiòli recidivanti, Roma, Società editrice Dante Alighieri, 1901).

Altri suoi libri furono pubblicati postumi dal fratello Sac. Francesco Isola: Voli di rondine (Bronte, Stabilimento tipo­grafico sociale, 1924), Il sonno dopo il pasto (Bron­te, Stabili­mento tipografico sociale, 1924) e Svaghi d'esule (Bronte, Stabilimento tipografico sociale, 1927) che raccoglieva nume­rosi articoli pubblicati da Filippo Isola su periodici degli Stati Uniti.

(di F. Isola leggi le poesie L'Annunziata di Bronte, La mia terra natale, La vendemmia, A Bronte)
 

Nunzio Aidala

Un altro insigne benefattore che contribuì con le proprie risorse alla costruzione del­l'ospedale fu il giovane tenente Nunzio Aidala, figlio del notaio Giuseppe.

Nato a Bronte il 26 febbraio 1889, tenente di complemento del 150° Reggimento di Fanteria, ferito sul S. Marco nel medio Isonzo il 1° Novembre 1916 è morto da eroe il giorno dopo a Gorizia per le ferite riportate in combattimento. Il Corriere della Sera del 21 Novembre 1916 così scriveva di lui: "Fu promosso tenente per merito di guerra ed insignito della medaglia d'argento. Cadde valorosamente combattendo". Prima di affrontare i rischi della guerra e quasi presago della sua sorte, volle far testamento e lasciò all'Ospedale dei poveri tutto il suo rilevante patrimonio.

1948, I brontesi d'america

Ancora nel 1948 i brontesi d'America continuavano con le loro sottoscrizioni al completamento della costruzione ed ai bisogni dell'Ospedale. Così nel 1948 scriveva il quindicinale brontese "Il Ciclope":
 

«GENEROSA OFFERTA PER IL NOSTRO OSPEDALE

Non è giusto che passi inosservata e senza le dovute considerazioni un'altra generosità dei nostri concittadini residenti negli Stati Uniti in favore del nostro Ospedale. Infatti nello scorso dicembre inviarono un'offerta collet­tiva di lire settecentosessantamila per i bisogni più ur­genti del nostro ospedale. L'origine di tale offerta risale al 1947 quando cioè si trovavano in Bronte, di ritorno da New York i nostri con­cit­tadini Gangi Vincenzo, Schilirò Giosuè, Fallico Giu­sep­pe e Sig.na Calcagno Nunziatina.
Lo scrivente, allora Commissario dell'Ospedale, d'ac­cordo col direttore di esso Dott. Guglielmo Grisley, invitò i concittadini a visitare il nostro Ospedale. Questi non solo gradirono l'invito, ma si mostrarono molto lieti di conoscere l'istituto che fa mo­lto onore al nostro paese.
Accolti dal sottoscritto e dal Dott. Grisley trascorsero un inte­ro pomeriggio nell'ospedale e alla fine accolsero con sincero entusiasmo la proposta di promuovere pres­so i concittadini d'America una sottoscrizione in favore dell'Ospedale. Ed infatti, non appena rientrati a New York si costi­tuirono in comitato nelle persone dei Sigg. Joseph Pettinato, Dott. Pietro Saitta, Gangi Vincenzo, Nunzio Camuto, Vincenzo Fiorenza, Pietrino Politi, Salvatore Portaro, Joseph Barbaria, Biagio Isola, Vito Palermo, Giosuè Schilirò, e con una lettera del Sig. Pettinato chiesero la ratifica di esso e l'autorizzazione a promuo­vere la sottoscrizione.
La ratifica fu fatta e insieme ad essa furono inviate le schede relative. Come frutto di quanto sopra è per­venuta all'ospedale la suddetta somma.

Additiamo alla stima e alla gratitudine della Cittadinanza i no­stri egregi Concittadini che ancora una volta hanno dato prova d'amare veramente il luogo natio e di amarlo non solo in tutto quanto è legato al loro sangue e al loro cuore di brontesi come genitori, parenti amici ecc. ma anche nelle sue belle e benefi­che istituzioni come l'Ospedale, sollievo dei sofferenti, e il Col­legio Capizzi, faro di luce e di civiltà. A mezzo del «Ciclope» mi è caro unire la mia alla gratitudine dell'intera Cittadinanza e far pervenire i miei personali ringra­ziamenti a quanti, accogliendo l'invito del solerte Comitato, contribuirono alla sottoscrizione.

Alfio Reina»

(Il Ciclope - Anno IV, n. 2, Domenica 16 Gennaio 1949, Direttore Nino Neri)


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