Da allora il Casino ha cambiato nome ma la sede è sempre quella. E non è stata nemmeno modificata la denominazione della scalinata che immette nella piazzetta antistante il Circolo: continua a chiamarsi via Ospedale Vecchio. Non trovando comunque documenti certi nella Sede del Circolo ci rivolgiamo agli scrittori ed agli storici e da questi sappiamo che nel già agli inizi del 1800 il Casino di conversazione dei Civili esisteva ed era molto frequentato. Ne parla per primo Antonino Cimbali (capitano giustiziere nel 1848 nonché successivamente sindaco di Bronte) in Ricordi e lettere ai figli, (Roma, Fratelli Bocca Editori, 1903) scrivendo che «il locale destinato a Caserma della Guardia nazionale era una stanza, di proprietà del Comune, contigua al Casino di conversazione dei Civili, e la sentinella si faceva passeggiare lungo lo spiazzo comune al Casino e alla Caserma.» Lo storico, Benedetto Radice (1854-1931, fu anche presidente del Circolo) nelle sue Memorie storiche di Bronte (pag. 346 della nostra edizione digitale) scriveva nei primi anni del ’900 che nel 1849 «solevano i contadini vestiti in maschera, per antica usanza, ballonzolare e folleggiare sulla Piazzetta del Casino dei civili, ora E. Cimbali, giacchè alla plebe, solo nei giorni di Bacco, era lecito andare in quel luogo. In quel giorno (carnevale del 1848, ndr) era di guardia la compagnia dei ducali. Alcuni di questi, fatti insolenti e memori della passata sommossa (moti del 1820, ndr), cominciarono a sberteggiare e svillaneggiare quelle povere maschere, facendone rotolare da quel rialzo alquante sulla strada. Il popolo che ce l’aveva coi ducali, a quella provocazione si levò subito a rumore gridando: all’armi, e morte ai traditori della patria. Ognuno corse a casa ad armarsi di scuri, randelli, fucili e assieparono il casino. Accorse subito il Cimbali (Antonino, ndr) per sedare il tumulto, e con dolci parole e minacce e con qualche bastonata fece diradare la folla minacciante.» Ancora il Radice, nel raccontare i tragici fatti dell'agosto 1860, scrive che «verso mezzogiorno (del 2 agosto 1860, ndr.) la piazza vicino al Casino dei civili, era un nero bollimento. Un’onda di popolo incalzava e contrastavasi mugolando e urlando: Vogliamo la divisione delle terre. Andavano intanto adunandosi al Casino alcuni civili; vi apparve pure il notaio Cannata armato di doppietta. Quella comparsa suscitò nella folla mormorio e sdegno.» Il povero notaio, Ignazio Giuseppe Maria Cannata, socio del Casino, subì pochi giorni dopo atroce fine unitamente al figlio Antonino ed ad altri tredici civili. Ancora uno storico, padre Gesualdo De Luca, nella sua Storia della Città di Bronte (Milano 1883, pag. 203) scrive della devastazione subita dal Casino dei Civili: «Tosto quanti dei Civili vollero fuggire, fuggirono; e molti se la svignarono scortati da buoni e pietosi villani; dei quali non tenevano sospetto i congiurati. I caporioni stessi scortarono alquanti raccomandatisi loro con danaro, preghiere e lagrime. (…) Giunsero dai boschi i carbonari con le loro grandi accette. Alle ventitre del giorno si unirono armati sul largo di S. Vito i masnadieri ed i costretti da quelli. Suonarono quella campana a stormo, e tosto divisi in due falangi scesero nel paese. La più grossa scese a sinistra per la via dei Santi, fermossi più volte, tremando verga a verga, pel sospetto di aversi scariche di fucilate dalle case dei ricchi. Ma quando tra palpiti e furore percorse libere le strade giunsero al Casino di compagnia dei Civili, e lo trovarono sgombro; un delirio febbrile l’invase, guastarono ogni cosa di quel luogo, e corsero agli incendii ed ai saccheggi.» «Si brucia il teatro, l’archivio del Comune e il Casino dei civili; al quale per isfregio, si appendono mazzi di edera», aggiunge il Radice (op. cit., pag. 383). Dunque un sodalizio storico, l’attuale Circolo di cultura E. Cimbali, che può benissimo anche fregiarsi del titolo di essere uno dei più antichi circoli della Sicilia anche se la piena proprietà degli attuali locali fu acquisita ufficialmente dai soci solo nel 1889. Quell’anno si acquisiva la proprietà dei locali ma, un anno dopo, scompariva la storica sigla di Casino dei civili sostituita dai soci con una più moderna denominazione: “Circolo di Cultura”. In un periodo nel quale in buona parte della Sicilia ed anche nelle zone etnee andavano sorgendo leghe, federazioni e fratellanze ed associazioni, il nuovo titolo nasceva con l’atto del 7 Luglio 1889 redatto presso il Notaio Spedalieri con il quale il Comune di Bronte concedeva ad un gruppo di cittadini una parte dei locali. Un anno dopo, nell’Ottobre del 1890, la Congregazione di Carità, subentrata alla Compagnia dei bianchi nella gestione dell'adiacente Nosocomio e che voleva inizialmente sfrattare i soci, cedeva la restante parte dei attuali locali in enfiteusi (affrancata trenta anni dopo con atto del 29 Giugno 1920 del notaio Di Bella). Scompariva la vecchia denominazione di Casino di compagnia dei Civili sostituita da “Circolo di cultura” ma elitario ed esclusivo ed estremamente riservato continuava ad essere l’accesso agli aspiranti nuovi soci. Coloro che non potevano esserlo, tutti gli altri, gli esclusi, nei primi anni del 1900, potevano iscriversi solo ad altre associazioni brontesi. Erano numerose e raggruppavano la classe meno abbiente o gli operai per censo o professione quali la Società Unione Popolare, la Società di M. S. Annunziata, la Società Agraria, la Lega Democratica Cristiana, la Lega dei Contadini, la Società degli Onesti Operai o il Fascio de' lavoratori Nicola Spedalieri «Il Casino dei civili o dei nobili - scrive N. Lupo - era formato da ricchi proprietari terrieri e da liberi professionisti dai nomi veramente illustri, come i De Luca, che diedero i natali ad un cardinale, i Cimbali, i Pace, i Saitta, i Radice, i Fernandez, i Tovez, i Grisley, ecc., che diedero sindaci, deputati, podestà, storici ecc. e poi medici, avvocati, notai e farmacisti. Gli altri (come impiegati, commercianti, artigiani e piccoli professionisti) non potevano farvi parte, e i contadini, che spesso la sera dovevano conferire con i loro padroni, non potevano neppure oltrepassare il cancelletto che immetteva alla terrazza sulla quale si affacciava il Circolo stesso.» Il 1° Gennaio 1921 il Circolo fu intitolato ad Enrico Cimbali (Circolo di Cultura “E. Cimbali”), insigne giurista e giovanissimo professore di Diritto Civile nelle Università italiane (morto a soli 31 anni nel 1887 a Messina). Qualche anno dopo, con l’avvento del fascismo, per tentare di sfuggire alla chiusura ed alla spoliazione dei locali, i dirigenti dell’epoca sostituirono ancora una volta la denominazione in “Circolo del Littorio” o “Casa del Fascio”. Ma fu ugualmente una mossa inutile. Infatti, dopo "pressioni, rappresaglie e minacce di grave danno - citiamo dalla sentenza del 1953 - verso i soci dai gerarchi fascisti locali e provinciali" con atto del 29 Aprile 1938 redatto dal Notaio Azzia, l’immobile, con tutto il mobilio, fu forzatamente «donato» al Regime fascista che lo trasformò nella “Casa del Fascio” (18-II-A.IX). Nell’insegna il Regime (bontà sua!) lasciò anche il nome di Enrico Cimbali ma preceduto dalla dicitura “Dopolavoro del Littorio”. Il Fascio ne fece la sua Casa che aprì ad una più larga schiera di soci, purché si iscrivessero volontariamente o per imposizione, al Partito. Pochi anni dopo, il 5 Agosto 1943, durante l’ultima guerra, la Casa del Fascio fu quasi rasa al suolo da un bombardamento anglo-americano che distrusse completamente la parte anteriore dei locali con la soprastante casa Rizzo. Accanto alla scalinata di via Ospedale vecchio restò per tanti anni un alto monte di macerie e di rovine (novello Alcazar fu definito) tanto che lo storico quindicinale brontese “Il Ciclope” il 3 Agosto 1947 (direttore era Giuseppe Bonina) in un articolo dal titolo «Noi non crediamo… (…) alla ricostruzione del Casino dei Civili» così scriveva: «C’era una volta un Casino ed ora non c’è più. Allora, costituiva quasi un orgoglio per i Brontesi, l’elegante ritrovo pieno colonnati, con una larga terrazza sul corso e con la èlite brontese riposante dopo le estenuanti fatiche della cultura fascista, sui morbidi divani. Ora non c’è più, fu venduto per una lira e fu abbattuto da una bomba. E mai possibile che non si ritrovi più un’altra liretta per ricomprarlo, facendo annullare l’atto di estorsione, parecchi anni addietro consumato? (…) Quanto lontani siamo dai tempi di una volta! Solo le macerie e solo esse, potranno testimoniare che in quel sito, ove le pietre umili e sconnesse si ammucchiano, esisteva un tempo il Casino dei Civili. (…)» E il 19 novembre 1947 ritornando sull’argomento lo stesso quindicinale (anno II, n. 2/14, direttore Luigi Margaglio Cesare) scriveva: «L’alcazar, una volta “casino dei civili”, poi dopolavoro Enrico Cimbali, in condominio con la sede del fascio, poi sede del fascio con tolleranza del casino dei civili. Oggi il casino non c’è più... è stato chiuso... anzi, raso al suolo. Tra le rovine ben sistemate e ingentilite da erbe tenerelle, il turista potrà scorgere un bel troncone del busto in marmo del fu due volte Enrico Cimbali, rimasto apposta tra le macerie per tutelare i diritti di proprietà del terreno. Non si mai, i posteri, sulla scorta del suddetto troncone potranno forse un giorno ricordarsi che ivi sorgeva un casino o circolo che dir si voglia e così ricostruire i bei locali e riporre su degna base anche il mutilato busto.» Alla fine degli anni ‘40 l’immobile - «dal quale gli oratori di tutti i partiti promettono mari e monti durante le campagne elettorali» - fu ricostruito dai Rizzo e da alcuni soci proprietari e l’allora presidente del Circolo, l’avv. Renato Radice, figlio dello storico brontese Benedetto, iniziò un’azione legale per la restituzione dei locali ai legittimi soci proprietari e curò anche la stesura e l’approvazione di un nuovo Statuto “in sostituzione dell’antico andato distrutto durante i bombardamenti”. «Viene ricostruito - si legge all’articolo 1 di questo Statuto - dopo la sua forzata trasformazione nell’ex “Dopolavoro del Littorio”, la inattività dovuta per gli eventi bellici del 5 Agosto 1943, la rivendicazione degli stessi locali.» L’azione legale ebbe buon esito: con sentenza del 26 Giugno 1953, la Ia Sezione civile del Tribunale di Catania, dichiarò nullo per violenza (vizio di consenso) l'atto di donazione del 1938 restituendo la piena proprietà indivisa dei locali ai 31 soci, promotori della causa, rappresentati e difesi dall’avv. Vincenzo Vacirca, che avevano dimostrato di essere proprietari dei locali prima della trasformazione del Circolo nel Dopolavoro del Littorio. Successivamente, il 20 Dicembre 1971 con atto redatto presso il notaio Guzzardi, il Demanio dello Stato, vendeva al presidente dell’epoca, geom. Michele Liuzzo, i 42/73 indivisi dell’area su cui sorge il Circolo ai restanti 42 soci che non avevano partecipato alla precedente causa inserendo però un vincolo che vige tuttora: “il Circolo deve essere destinato esclusivamente agli scopi perseguiti dal sodalizio”. Il prezzo di vendita, fissato dall’Ufficio Tecnico Erariale di Catania, fu di Lire 1.250.000. Dal 1960 al 1979 nel Circolo esisteva anche la figura del socio provvisorio (non proprietario dei locali); nel 1980, in seguito alle modifiche apportate da un nuovo Statuto, che ha regolamentato per oltre vent’anni la vita e l’attività del sodalizio, per iniziativa dell’allora presidente, avv. Nunzio Meli, tale figura è stata soppressa e sostituita con quella unica di Socio proprietario. |