Dopo il gruppo di giovinette velate, segue san Michele Arcangelo (tradizionalmente a rappresentarlo è un bambino di sette-otto anni, vestito secondo gli schemi iconografici dell'Arcangelo Gabriele) che procede lentamente, con un complicato e cadenzato passo scandito dal monotono ritmo di un tamburo. Dietro stanno un Angelo che porta il calice della passione e gli Apostoli (escluso Giuda), vestiti con costumi d'epoca e col capo chino coperto da una parrucca. Vengono quindi rappresentati il Cristo legato e trascinato dalla violenza dei soldati romani, il Cristo, curvo, che porta la croce aiutato dal piccolo cireneo. Procedono a spassi lenti, cadenzati da rovinose cadute. Le due figure del Cristo sono membri di due famiglie che si tramandano il voto e la devozione da padre in figlio e portano la faccia coperta ed i piedi nudi, in segno di penitenza. La rappresentazione procede a passo lento, cadenzata dalle cadute del Cristo e dalle percorse dei soldati Sfilano in religioso silenzio le tre "pie donne" (con grandi abiti neri, il volto coperto da lunghi capelli, naturali, fatti crescere da anni e curati per voto), il clero locale, tutte le autorità, le confraternite e le associazioni e tutto il popolo brontese.
Le statue
Per ultime sfilano le quattro magnifiche statue del “Cristo alla Colonna”, del Crocifisso, della Madonna Addolorata e del “Cristo morto”, portate a spalla da un gruppo di fedeli volontari, che invocano ad alta voce la grazie divina nel più schietto dialetto brontese. Le sacre immagini, adornate con fiori e con le primizie della terra (fave e piselli soprattutto, in segno d’offerta a Dio delle primizie di questo periodo), poggiano su lunghi pali di legno e sono portate a spalla da centinaia di devoti (molti ritornano ogni anno apposta a Bronte per la tradizionale devozione). La folla dei fedeli segue pregando ogni singola statua (moltissimi a piedi nudi portano grosse torce), interrompe il susseguirsi delle scene (Cristo alla colonna, il Crocifisso, l’urna con il corpo, l’Addolorata), dando quasi una pausa all’intensa emozione che prende l’animo di tutti. Il religioso silenzio e le preghiere di tutti sono interrotti dalle grida di coloro che portano a spalla le statue: sotto il Cristo alla Colonna o l’Addolorata sono oltre ottanta le persone, scalze, strette fino all’inverosimile, che portano le sacre immagini. Inneggiano con fazzoletti bianchi levati all’unisono ed invocano ininterrottamente ad alta voce, nel più tradizionale dialetto brontese, le grazie divine: – "E chiamàmmu a Diu chi Diu nn'aiuta!", – "E chiamàmmuru tutti cu na vuci ata!", – "E chistu è u veru padri ri puvirelli!", – "E chista è a matri ri puvirelli!", – "E cu cchiù beni la voli cchiu forti la chiama!", – "E chiamàmmura ccu veru cori!". Alla voce di un solista, rispondono tutti in coro levando in alto un panno bianco con l'unico braccio libero, – "Viva a misericòddia di Diu!" – "Viva ‘a Madonna addoluràta!, quasi gareggiando a chi più grida per onorare il Cristo o la Madonna. La processione ha una pausa in Piazza Spedalieri (il luogo di tutte le feste e delle manifestazioni cittadine) dove le statue si ricongiungono, vengono allineate e poste su cavalletti. I portatori, i devoti che rappresentano Cristo trovano un attimo di respiro nella loro immane fatica. Si prosegue quindi lungo il corso Umberto per il lento ritorno verso le chiese della Matrice e dell'Annunziata.
Il momento culminante
Il momento più emozionante di tutta la rappresentazione, avveniva fino al 2003 nella chiesa della Matrice (SS. Trinità) quando in mezzo ad una folla straripante che riempiva la chiesa in ogni angolo, si riviveva l'incontro evangelico tra Gesù e la sua Madre sulla via della croce. Le statue del Cristo alla colonna e del Crocifisso s’incrociavano nella navata della chiesa con l’Addolorata, mentre si levava, fra le invocazioni dei devoti sotto le statue, il tradizionale canto dello "Stabat Mater". Vi presenziavano migliaia di persone che vivevano con commozione questo momento e che difficilmente resistevano a qualche lacrima. Dal 2004, fra lo stupore e l'incredulità di tutti, l'«incontro»
per ovvi motivi di sicurezza è stato spostato prima in Piazza Spedalieri e successivamente nella piazza antistante il Santuario dell'Annunziata. Ci si avvia alla fine della processione con la predica in Piazza Gagini di fronte alle quattro statue e ad un numerosissimo numero di fedeli. Dopo, ognuna delle tre statue ritorna nella propria chiesa. Verso mezzanotte, nel rientro delle statue nelle varie chiese, è anche toccante la sosta del Cristo crocifisso e del Cristo morto davanti alla chiesa della Catena, con il mesto canto del tradizionale "Popule meus". Fino a qualche tempo fa ogni confraternita aveva un gruppo di circa 10 persone che durante il tragitto della processione eseguivano canti (i lamenti) della passione in forma polifonica. Purtroppo il tradizionale repertorio polivocale della Settimana Santa è andato via via impoverendosi e senza il naturale avvicendamento delle voci anziane con le giovani leve è andato irrimediabilmente perduto. Si tratta di una grave perdita culturale; le giovani generazioni non sono riuscite a raccogliere e a mantenere una tradizione tramandataci dai nostri avi nel corso dei secoli. E’ venuto meno, infatti, in questi ultimi due anni, l’ultimo gruppo di anziani cantori (della confraternita del SS. Sacramento) che seguiva la processione e in precisi momenti rituali dell’itinerario, intonava i cosiddetti "lamenti".
I «lamenti» e l'Ecce Homo
I "lamenti" erano suggestive cantilene, caratterizzate da ardite e virtuosistiche escursioni vocali del solista o dei solisti, del tutto incomprensibili a causa delle numerose trasformazioni che le parole hanno subito nel tempo. Cantati a più voci nelle chiese e per le strade, richiamavano antichi versi del "Vassillo" (Vexilia Regis Prodeunt), della "Via Crucis" e dello "Batti e ‘Mmatri" ("Stabat Mater"). A tal proposito purtroppo è da precisare che nessuno ha mai codificato questi canti, che nei tempi passati venivano tramandati all’interno delle Confraternite quando gli associati trascorrevano nelle varie sedi tempi di preghiera e di istruzione religiosa molto prolungati.
| I «lamenti» (voce solista Alfio Greco) |
E' venuta meno anche, ma questo da alcuni anni prima della seconda guerra mondiale, la rappresentazione del Cristo denominata «Ecce Homo» con la partecipazione alla processione dei penitenti della Compagnia dei Flagellanti, legati all'altare del Cristo alla Colonna. Cristo era spogliato dalle vesti e coperto di un mantello rosso seguito dai «battenti» o pubblici penitenti che, durante la processione, si battevano con delle catene le spalle fino al sangue. La penitenza era praticata per circa sette anni per essere liberati dai setti vizi capitali e quindi dalla dannazione eterna. Scrive B. Radice che "un tempo chiudevano la processione noti ladri, farabutti e simili che flagellavansi a sangue".
«Fino a pochi anni fa - continua - un giovinetto, nudo, con un brindello di porpora in dosso, corona di spine in testa, e la canna in mano, impiagato di cinabro, rappresentava l'Ecce Homo, oggetto di commozione al popolino, che piangente lo mostrava ai bambini.
Gli scolari esterni del Collegio Capizzi con lancie, spade, elmi, sciarpe antiche di tutti i colori rappresentavano l’esercito romano. Ora tutto è scomparso.» E, continua Giuseppe Zingali, «...il patrimonio antropologico ed etnologico che la tradizione brontese ha raccolto, in passato assumeva diverse espressioni di sacra rappresentazione, molte delle quali, però, soprattutto le più antiche sono andate perdute, mentre quelle rimaste sono state soggette per la maggior parte ad un rimaneggiamento ed ad una trasformazione per cui, tante volte, antiche ed arcane simbologie smarriscono l'elemento caratterizzante decadendo in puro folclore.»
(aL) |