I quotidiani La Sicilia del 28 luglio 2007 e del 23 gennaio 2005 ed Il Sole 24ore del 26 Aprile 2003 parlano di Bronte e del suo distretto tessile
Il «Distretto Tessile» di Bronte
È il settore tessile che mantiene viva l'economia, con affari da 10 mln di euro. Nelle aziende lavorano 600 dipendenti, nell'indotto altri 200 occupati Il business «è cucito» su misura
Per convincere i grandi marchi a investire ancora in Sicilia, le aziende hanno allargato l’offerta, offrendo la possibilità di completare tutto il ciclo produttivo Se si cerca la cittadina del versante nord dell'Etna che in prospettiva sembra guardare con maggiore efficacia allo sviluppo economico e sociale questa è proprio Bronte. Con quasi 20.000 abitanti la cittadina sembra riuscire a contrastare con efficacia, l’isolamento cui è relegata da una rete stradale ancora disegnata sui tracciati borbonici e da una linea di collegamento ferroviario lenta e anacronistica. E lo fa soprattutto grazie alla capacità dei suoi imprenditori, soprattutto nel settore tessile che, a causa della globalizzazione qualche anno fa ha vacillato, si è quasi piegato, ma ha avuto la forza di reagire, rimanere sul mercato e quasi rilanciare con forza grazie a politiche aziendali azzeccate ed all'istituzione del distretto tessile. Se è vero, intatti, che la mancanza di “commesse” da pane dei marchi più importanti che hanno preferito investire ad Est, ha costretto in passato diverse aziende a chiudere, oggi possiamo dire che ciò che è rimasto del comparto guarda al difficile futuro con la certezza dell'attuale stabilità. Le attuali aziende tessili, infatti, danno lavoro a quasi 600 dipendenti, mentre più o meno altri 200 lavoratori trovano da vivere nell'indotto, per un giro d’affari che si aggira attorno ai 10 milioni di euro. Su tutte, l'esempio più importante e la “Bronte jeans” che per convincere i marchi a continuare a cucire a Bronte i jeans, ha deciso d'investire completando la filiera e offrendo la possibilità di completare il ciclo produttivo. Una scelta premiata che a Bronte ha fatto scuola e che porta ad ampliare il numero degli investimenti grazie anche al distretto tessile. Le aziende che hanno aderito, infatti, potranno rivendicare vantaggi nell'ottenere i finanziamenti che il ministero delle Attività Produttive o la Regione siciliana metterà a disposizione in futuro attraverso appositi bandi, mentre i Comuni interessati potranno ottenere finanziamenti per opere pubbliche a servizio della filiera produttiva. Per questo si sta già pensando a strade ed energia rinnovabile, tutto per abbassare i costi di una zona artigianale che a Bronte diventa sempre più affollata. Qui, infatti, hanno deciso d’investire industrie del Nord nel settore del calzaturificio e degli indumenti della sicurezza e sono sempre di più i brontesi che decidono di fare impresa nei settori più variegati. Leggendo i dati, infatti, il 60% circa dei residenti è dedito a lavori agricoli, il 15% all'industria, il 10% al commercio, l'8% all'artigianato, ed il restante 7% alla libera professione o alla professione impiegatizia. L'economia locale, quindi, è un incrocio di piccoli artigiani dalle grandi capacità creative, di commercianti ed esportatori di prodotti agricoli, ma anche ovviamente di rimesse, di pensioni e di stipendi. Bronte comunque ha una meta da raggiungere per aumentare le proprie capacità economiche: la valorizzazione dell'ambiente ai fini turistici. Sfumato, a meno di inaspettati colpi di coda da parte della politica regionale, il progetto del terzo Polo turistico, il paese guarda con interesse la realizzazione del campo da golf in contrada Difesa ed all'apertura a bus navetta dei sentieri sull'Etna. Insomma nuova ninfa economica dovrebbe arrivare dal quel turismo in effetti mai sfruttato del tutto, nonostante le enormi potenzialità. [Gaetano Guidotto, La Sicilia, 25 Luglio 2007]
Renzo Rosso: «Grazie ai terzisti siciliani e pugliesi riusciamo ancora a rimanere in Italia».
Dalla Diesel un salvagente per Bronte
Renzo Rosso è cresciuto a jeans e pistacchi. Pistacchi di Bronte, Sicilia nera come i grumi di magma rappreso che l'Etna dispersa a piene mani in questa parte della Sicilia Orientale. L'inventore dei jeans Diesel, padovano di nascita ma bassanese di adozione (adesso è anche presidente del Bassano calcio che milita in C2), le prove generali del suo futuro da imprenditore le ha fatte proprio qui, tra Corso Umberto e Via Vittorio Emanuele, le strade centrali popolate da decine di negozietti che espongono ogni ben di Dio, dalla salsiccia ai dolci, a patto che tra gli ingredienti ci sia il pistacchio. Sul finire degli anni 70, uno di questi negozietti si chiamava New store. Con la salsiccia ai pistacchi non aveva nulla a che vedere: al New store si vendevano solo i jeans che Renzo Rosso disegnava e produceva qualche chilometro più in su, nel laboratorio di Nicola Petralia, amico fraterno e brontese purosangue, che a quell'epoca tentava la scalata da imprenditore. Bronte, oltre che per i pistacchi e i tragici «fatti del 1860 (i moti contadini repressi nel sangue dall'allora colonnello Nino Bixio) è conosciuta per un piccolo distretto dell'abbigliamento dalla storia tormentata. Dagli anni 70 le donne di Bronte hanno cucito jeans per tutti i principali marchi della storia del casual: Carrera, Americanino, Benetton, Diesel e Levi's. Renzo Rosso quei tempi li ricorda bene: «Allora un faconista di Bronte chiedeva 2.200 lire ogni paio di pantaloni. Lui, ovviamente, doveva solo cucire, il denim e i bottoni li forniva il committente». Storia tormentata perché in questo passaggio continuo dei jeans di casa in casa non c'era spazio per le tutele sindacali e la paga contrattuale. Intere famiglie cucivano dalla mattina alla sera, figli minorenni compresi. Una cultura, o una sottocultura, che le microaziende che aprivano e chiudevano con grande rapidità (l'amico di Renzo Rosso, Nicola Petralia, è uno di quelli che non ce l'ha fatta) si sono portate nel Dna fino a tre anni fa, quando la Regione Sicilia finanziò la nascita di una vera e proprio area artigianale dove si trasferirono almeno una ventina di aziendine dell'abbigliamento. Oggi, di quelle aziende ne sono rimaste meno di dieci, sette delle quali fanno riferimento a due imprenditori della zona. Il resto fu spazzato via dalla crisi del mercato e da un'inchiesta dei carabinieri di Randazzo che nel dicembre del '97 passarono al setaccio questo microdistretto che ha propaggini pure a Randazzo e Maletto. L'indagine portò alla luce una situazione quasi sudamericana: una dozzina di minorenni al lavoro e un centinaio di operai che percepivano sottobanco solo la metà dello stipendio dichiarato in busta paga. L'inchiesta costrinse tutti gli altri imprenditori a darsi una regolata. Chi è sopravvissuto, come l'azienda di Silio Barbagallo e la Bronte jeans, di proprietà di un consigliere regionale siciliano di Forza Italia, lo deve anche a quel ragazzo padovano dai capelli ricci che negli anni 70 passava parecchi mesi all'anno a Bronte, Renzo Rosso. Dice Barbagallo, 35 operai di cui 23 donne: «lo faccio questo lavoro dal '73. Qui ci sono stati momenti difficilissimi. A un certo punto stavo quasi per chiudere. Dal 2001 con l'arrivo della Diesel, è cambiato tutto. Ormai lavoro solo per Rosso».
Anche per la Bronte jeans, 400 dipendenti, Diesel è uno dei committenti principali. Persa la partnership con la Levi's, che ha spostato la produzione isolana in India, l'azienda del consigliere regionale Franco Catania («la discesa in politica di mio cugino ci ha procurato solo guai: qui tutti pensano che l'azienda sia stata facilitata, ma noi stiamo sul mercato come tutti gli altri», assicura Mario Catania, direttore dello stabilimento) ha rimpiazzato il committente americano con l'azienda di Molvena, cui ha sommato i clienti storici, tra cui Moschino e Benetton. Di nero o sommerso, almeno dopo il blitz del '97, si sono perse le tracce. Barbagallo e Catania sono concordi: «Siamo martellati dalle visite ispettive di Inps, Inail, ispettori del lavoro e Asl. Non ci perdonerebbero la più piccola infrazione». Pure Renzo Rosso è soddisfatto: «I terzisti di Bronte e quelli pugliesi hanno salvato il made in Italy. Grazie a loro noi riusciamo ancora a rimanere in Italia. Ma non so quanto durerà. Produrre all'estero significherebbe arrivare in negozio con un prezzo ridotto di 20 euro. Per fortuna siamo un'azienda di nicchia, e i nostri clienti scelgono i jeans della gamma più cara». Rosso, quando può, fa un salto a Bronte per ritrovare i suoi vecchi amici. «E gente meravigliosa, con cui mi sento sempre in debito. Io lo dico e lo ripeto a tutti i ministri che mi capita di incontrare: per aiutare il Sud va fatto l'impossibile». [Mariano Maugeri, Il Sole 24 Ore, 26 Aprile 2003]
Il quotidiano La Sicilia del 23 Gennaio 2005 dedica un’intera pagina alla crisi del distretto tessile di Bronte per la «liberalizzazione» degli scambi in vigore dal primo gennaio che favorisce ulteriormente importazioni dalla Cina
La crisi del Settore tessile «Qualità contro la concorrenza così rimarremo sul mercato» |