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Artigiani a Bronte

Storia, Cultura, Arte

di Laura Castiglione

LAURA CASTIGLIONEQuesta relazione sull’arti­gia­nato brontese è stata presen­tata dall'Autrice al Convegno "Artigiani a Bron­te - Storia, Cultura, Arte" orga­niz­zato dall'As­socia­zione Bronte Insieme Onlus nell'Audi­torium del Real Collegio Capizzi il 21 maggio 2016

La ricerca nasce dall’in­te­resse per una categoria di lavoratori, per alcuni aspetti penalizzata da un retaggio culturale, alla quale è necessario attribuire quella dignità sociale e profes­sionale che le è dovuta.

Non è stata facile: purtroppo la documentazione è scarna, come la memoria di tanti; chi ha contri­buito con quel poco che custodisce perché ama ricordare le proprie origini, l’ha condiviso per fare i primi pas­si di un percorso che meriterebbe un arricchimento.

Le origini dei nostri artigiani risalgono alla mitolo­gia secondo cui erano fabbri e nel disegno accanto, del 1874 (foto 1), Agostino Attinà, nostro illustre pit­tore, ce le ricorda: Bronte da cui il nostro paese prende il nome, Sterope, Piracmon, Polifemo.

Allontaniamoci dalla sfera mitica e vediamo ragazzini di origini contadine e con un’istruzione elementare che, per imparare un mestiere erano affidati “o mastru”, maestro di lavoro e di vita che spingeva i migliori a uscire da Bronte e gli svogliati con scap­pellotti a tornarsene a casa.

Erano addetti alla pulizia, al riordino della bottega, alle commissioni, non avevano orario o salario ma se avevano buona volontà rubavano il mestiere al maestro, diventavano autonomi e si mettevano in proprio.


1. Murifrabbri

I primi murifabbri citati nei documenti del 1770 per la costruzione del Real Collegio Capizzi sono:
Paolo e Sebastiano Conti, Giuseppe Luca, Ignazio Aidala e i mastri legnaioli Mario e Giuseppe Lupo che realizzarono in legno l’archetipo del Collegio, oggi in restauro (foto 2).

Quegli artigiani e i loro operai hanno avuto il pri­vilegio di un maestro di vita eccezionale, il Capizzi, che per la costruzione del Collegio coinvolse tutte le maestranze e insegnò loro che per ottenere un buon lavoro sono necessarie umiltà e collabo­ra­zione; hanno cambiato il loro modo di agire e l’hanno trasmesso alle generazioni successive.

Mezzo secolo dopo, nel 1836, furono chiamati per lavori di ampliamento del Collegio i muri fabbri Barbaria e Lupo.

Fu stilato un contratto (foto 3), tra i Lupo e il rettore don Luigi Luca, in cui sono descritti la tipologia dei lavori, i tempi di consegna, i costi e la scadenza dei pagamenti.

La notizia della magnifica costruzione del Collegio si sparse subito per tutta l’Isola insieme alla bravura degli operai, richiesti sia dai civili brontesi per co­struire le loro case e arredarle con mobili, oggetti e utensili, sia da quelli di altri paesi.

Per le diverse tipologie ed esigenze dei commit­tenti le loro competenze si perfezionarono, il loro tenore di vita cambiò, presero coscienza di avere conqui­stato la fila centrale della gerarchia sociale: erano un gradino sotto i civili e uno sopra i villici, gli agricoltori, e agivano come una casta.

Emerge dalle loro genealogie che i matrimoni erano combinati fra le stesse famiglie di artigiani: i Camu­to sposano i Mavica, i Barbaria i Di Bella e i Camuto, i Lupo i Politi, gli Attinà i Benvegna.

Non si considerano più operai perché hanno acqui­sito quelle caratteristiche che ne fanno una classe cultu­ral­mente evoluta.

Il concetto sarebbe azzardato se non rimuoves­simo il giudizio che i civili dell’epoca davano di loro, “villani cu cappellu” o “mastrigghiuni”: semplice manovalanza.


2. Il Casino de' Civili ed il Fascio dei lavoratori

Nel 1892 gli artigiani costituiscono il “Fascio dei lavoratori Nicola Spedalieri” (foto 4) prendendo il nome dal filosofo promotore dei diritti umani.

Nell’art. 2 del loro statuto, si legge lo scopo: “l’amore fraterno, il miglioramento morale sia individuale che collettivo, grazie all’istruzione intesa come completamento della civilizzazione della classe operaia”.

“Civilizzazione” non perché si ritenessero incivili ma perché era loro desiderio acquisire un livello più elevato sul piano dei rapporti umani.

E ancora fra gli scopi si legge del “mutuo soccorso per sollevare nelle afflizioni e nei bisogni i soci… e per il perfezionamento delle arti ed industrie il Circolo manterrà un giovine operaio, figlio di un socio, in una città del Regno per perfezionarsi nell’arte sua”. Quindi solidarietà e istruzione per tutti: un com­piuto binomio fra principi cristiani e socialisti.

Non ci sono documenti sulla solidarietà verso i soci in difficoltà e l’interesse degli artigiani per l’istru­zione è testimoniato anche dagli archivi scolastici del Collegio Capizzi, dove Pietro Meli, Giuseppe Liuzzo, Giuseppe Lupo e Biagio Zerbo, figli di arti­giani, erano interni e, nel 1919 quando il collegio apre agli esterni, anche le figlie furono avviate agli studi classici.

Si sono riscontrate delle differenze fra lo statuto del Fascio dei lavoratori e quello del “Casino dei civili”, poi “Circolo di Cultura E. Cimbali”, fondato un secolo prima di cui non abbiamo lo Statuto origi­nario ma quello del 1947, dove si legge che sono stati ripresi gli stessi articoli che riportano aspetti burocratici, economici, di successione, di comportamenti (foto 5).

Nell’articolo 4 è definito lo scopo del sodalizio: “lo svago degli associati, il loro affinamento culturale ed artistico, attraverso attività e manifestazioni di vario genere...”. Nell’articolo 12 i requisiti richiesti per l’ammissione al circolo sono: eccelse qualità artistiche, filan­tropiche, culturali e patriottiche”.

Per i soci del Casino dei Civili l’istruzione era appan­naggio di tutti i figli maschi che risultano interni ed esterni negli archivi scolastici del Real Collegio Ca­piz­zi; nel 1919 non sono presenti le figlie, perché convittrici nei collegi di Catania.

Se confrontiamo una foto del Circolo operaio con un’altra del Circolo di Cultura (foto 6) notiamo che la postura e il vestiario sono pressoché identici e, mentre un socio operaio ha un giornale in mano, due soci del Circolo dei Civili tengono la paglietta.

E se poi osserviamo le foto di alcune famiglie di arti­giani nel privato, con i familiari, notiamo un’accurata eleganza. Nella foto 7 vi presen­tiamo alcuni capostipiti e nelle foto 8, 9, 10 e 11 le fami­glie Politi, Barbaria, Lupo e Meli. I Lupo si fanno ritrarre con gli attrezzi e uno di loro ha in mano una matita e un foglio come fosse un proget­tista, perché i murifabbri, per la loro esperienza, sostituivano gli ingegneri

 
Foto 1 - I primi artigiani brontesi: i fuggiara Bronte, Sterope, Piracmon e Polifemo, provetti lavoratori dei metalli, avevano la loro "bottega" all'interno dell'Etna e fornivano a Zeus il tuono e il lampo. Vuole la leggenda che Bronte sia stata fondata dall'omonimo Ciclope.
Foto 2 - Archetipo in legno del Real Collegio Capizzi realizzato nel 1773 dal mastro legnaiolo Giuseppe Lupo su disegno dell'architetto palermitano sac. Salvatore Marvuglia. Attualmente è in fase di restauro; la foto ne mostra la sezione del piano terra.
Foto 3 - Contratto tra il Real Col­legio Capizzi ed i Barbaria e Lupo per «la mano d'opera di murifabro e falegname da eseguirsi nel Colle­gio Borbonico di Bronte» (1836).
Foto 4 - La copertina dello Statuto del Fascio de' Lavoratori Nicola Spedalieri (1892). Da notare, al centro, le due mani che si stringono segno di mutuo soccorso e di solidarietà.
Foto 5 - Statuto del Circolo di Cultura E. Cimbali (1947), l'antico Casino di conversazione de' Civili
Foto 6 - A sinistra, artigiani davanti alla loro sede in Corso Umberto. A destra, in una foto del 1928 i "Civili" posano all'interno del loro Circolo, il Casino di Conversazione de' Civili fondato nel 1652, uno dei più antichi sodalizi della Sicilia.
Foto 7 - Alcuni capostipiti di note famiglie artigiane. - Foto 8 - La famiglia di mastro Giosuè Po­li­ti (1876 - 1943) con la moglie Antonina Salvì e figli. I Politi furono in massima parte «fug­gia­ri», artigiani che ave­vano raggiunto un alto livello nell’arte della lavorazione del ferro, tra­man­data da padre in figlio e proprio per il rispetto raggiunto nella loro professione, contras­sero matrimoni con altre famiglie di artigiani e di proprietari terrieri, meritandosi spesso nei Registri della Matrice il titolo di “Don”.  
Foto 9 - Mastro Emanuele Barbaria (1833, co­struttore) e i quattro figli maschi Giovanni Paolo, Fran­cesco, Signorino  e Ba­silio. Emanuele sposò nel 1860 Maria Nunzia Lupo, imparentando i Bar­ba­ria con un'altra famiglia di ar­tigiani, i Lupo. Altre parentele acquisite dai Barbaria con matrimoni furono i Camuto e gli Aidala.
Foto 10 - Mastro Tommaso Lupo (1827-1893, al cen­tro, murifabbro) e gli artigiani della sua fami­glia: alla sua destra il nipote Antonino; alla sua sinistra il fra­tello Nicola. In piedi da sinistra: il nipote Gio­vanni, i figli Vito e Nunzio ed il nipo­te Agostino. Come si nota hanno tutti in mano un arnese di lavoro che indica il loro mestiere.
  
Foto 11 - La famiglia di don Felice Meli-Capubanda (30/08/1869, primo a sinistra) con le figlie Anto­nietta, Te­resa, Scolastica, la sorella Giuseppina e il ma­rito France­sco Margaglio.    

Foto 12 - La casa dei Radice. Foto 13, 14, 15 - La casa dei De Luca: nella famiglia spiccano i nomi del Cardinale Antonino Save­rio e del fratello, l'economista Placido, deputato al primo parla­mento del Regno d'Italia.

Lo testimoniano le lettere fra il Capizzi e l’Architetto palermitano Marvuglia che ha fatto il progetto dopo essere venuto a Bronte solo per vedere i luoghi dove doveva sorgere, e poi ha diretto i lavori per corrispondenza.

Pochissimi sono i documenti e illeggibili su chi ha costruito le chiese. Mentre per due case del corso Umberto, che qualcuno ricorda siano state costruite dai Camuto, si notano le differenze di stile perché destinate a committenti di diversa estrazione culturale: la casa dei Radice (foto 12), possidenti, nell’imponenza delle colonne e del suo portone d’ingresso; la casa dei De Luca (foto 13, 14, 15), di cui alcuni membri della famiglia facevano parte del mondo accademico ed ecclesiastico, nella garbata elegante semplicità anche del portone d’ingresso con lo stemma di famiglia.
 

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