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Benedetto Radice

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Benedetto Radice, "Memorie storiche di Bronte"

Florilegio di Nicola Lupo

Florilegio delle Memorie storiche di Bronte - Indice


7. La Gran lite

«La storia di Bronte non è che la storia della sua lite, durata più di trecento anni, dal 1554 al 1861. Tesserne le vicende sarebbe ufficio più di avvocato che di storico: ma all’intelligenza della secolare lotta per la sua libertà, per i suoi usi civici nei feudi delle due abazie, dirò brevemente come questi vennero usurpati dal Grande e Nuovo Ospedale di Palermo pria, e poscia dal Nelson.»

Così introduce l’argomento il Radice proseguendo,quindi, con l’indicare le tre questioni dalle quali ebbe origine la grande lite e che sono:

1) Bronte esisteva prima dell’abazia di S. Maria di Maniace?

2) L’abazia di S. Maria di Maniace fu dotata, come riccamente furono dotati dai re normanni altre chiese e conventi?

3) Godeva l’abazia solamente le decime ecclesiastiche donate dall’arcivescovo Nicolò I di Messina e il prodotto dei possedimenti delle chiese donate?

Al primo quesito il Radice risponde affermativamente in base ai reperti archeologici e al privilegio normanno del 1094, che è anteriore alla nascita dell’abazia che è del 1174, nel quale compare il nome di Bronte “nella forma composta Brontimene"(4), designato come confine.

La risposta al secondo quesito è dubbia in quanto mancano i documenti originari, ma diplomi posteriori affermano che l’abazia di Maniace era stata dotata dei loro predecessori, «ma in che consistesse questa donazione è rimasta sempre un’incognita» soggiunge il Radice, che risponde al terzo quesito affermando che l’unione dell’abazia di S. Filippo di Fragalà con l’abazia di Maniace “conferma l’ idea che l’abazia di Maniace non era stata riccamente dotata, ma viveva delle sole decime ecclesiastiche, che non erano poche, delle offerte spontanee dei fedeli, come le primi­tive chiese del Cristianesimo” e rimanda alla sua memoria Demanialità di Maniace e di Bronte”.

E conclude dicendo che «La prima volta che Bronte appare come cosa dell’abazia è nell’atto del 14 marzo 1471, del viceré Lopez Ximenes De Urrea” e che le due visite regie successive “non sono che descrizioni, inventari dei beni posseduti dalle due abazie: Beati possidentes. Ma noi, non si fa questione giuridica, ora di nessuna importanza, ma storica.

Nessuna notizia di lamenti è pervenuta sino a noi. Docili e pii quei popoli vivevano tranquilli sotto il governo abaziale. Un primo accenno a lamenti e turbative di possesso, fu fatto da Pietro Bugiado, procuratore del Cardinale Rodorico(5) Lenzuoli Borgia, commendatario del monastero di S. Maria di Maniace, il quale Bugiado […] fece ordinare che “i borgesi, i vassalli e convicini” non avessero più fatto pascolare nelle difese del mona­stero né tagliare alberi fruttiferi. Le difese erano terreni, ove dal 15 marzo al 15 maggio era proibito pascolare e costituivano la terza parte dei feudi dell’abazia. […] Il provvedimento viceregio non fu mai mandato ad esecuzione perché era evidente il dritto dei comunisti.»

Il cardinale Borgia, abate commendatario del monastero di Maniace, rinunziò alla S. Sede tutti i suoi diritti e le usurpazioni sui vastissimi feudi di Maniace, di S. Filippo di Fragalà e di Bronte e il Papa Innocenzo VIII, con bolla dell’8 luglio 1491, li donò all’Ospedale Nuovo e Grande di Palermo, edificato di recente. Ferdinando il Cattolico, con diploma del ’92, rendeva esecutiva la donazione.

“Così fu spogliato Bronte, conclude il Radice. “Rinunzia fatale e nulla, poiché i commendatari non erano che meri usufruttuari: ma allora chi poneva mano alle leggi? Lo scopo filantropico, a cui era destinata la donazione, sanzionava la violazione delle leggi e la spoliazione.”

I rettori dell’Ospedale, “col prestigio e pretesto dell’opera umanitaria, […] cominciarono a far sentire la gravezza del loro soave giogo (6), usurpando giurisdizione, annullando capitoli, imponendo nuove gabelle.”Contro le quali “levarono la voce alcuni nobili cittadini brontesi […] i quali […] reclamarono contro i pii (7) rettori, […] e così le vessazioni, le usurpazioni dei signori governatori dell’Ospedale diedero cominciamento alla Gran lite.”

Si tenne un comizio nella Chiesa Madre, presieduto da Giovanni Niccolò da Procida, incaricato a ciò dal viceré, residente allora in Messina, e a questo punto lo storico riporta il “Bando che mise in agitazione tutto il paese.”

Nel comizio Giovanni da Procida espose al popolo le ragioni del reclamo e “biasimò acerbamente i soprusi degli ospedalieri e invitò l’assemblea ad eleggere i Sindaci e i Giurati. […] La concordia, madre di ogni successo, era nell’animo della maggioranza, perché si lottava pro aris et focis, e si elessero Sindaci e Giurati” di cui il Nostro fa l’elenco.

I rettori dell’Ospedale si oppongono al reclamo dei Brontesi che accusano di «usurpazioni nelle contrade Musa e Roccaro e di devastazioni nei boschi e […] ottennero che fosse inviato a Bronte persona autorevole colla potestà di capitano d’armi per reintegrare l’Ospedale nei terreni che si dicono usurpati. Il capitano venne, e fu certo Antonio Speciale, che nella tortura trovò il più efficace, il più pronto rimedio alla persecuzione; e, novello Minosse, giudicò, sentenziò, spogliò dei loro poderi più di 500 comunisti a beneficio di altri, che si sottoponevano a pagare una prestazione annua all’Ospedale.

«Far tacere i diritti del Comune usurpandogli il patrimonio, eccitare l’ingordigia dei privati cedendo a loro i beni usurpati era la politica dei pii rettori; i quali traevano vantaggio dalla discordia, dall’ignoranza dei tempi, dalle farraginose leggi feudali, dalla debolezza e infedeltà degli amministratori e più dal prestigio dell’opera. Che cosa non ottenevano i pii rettori?» (8)

Nel 1558 ci fu un giudizio presso la Gran Corte civile di Messina, ma la sentenza fu sfavorevole per cui, per transazione del 1563, i comunisti di Bronte si obbligarono a pagare all’Ospedale i canoni sulla contrada Musa.
Ma alcuni cittadini che «non si erano lasciati adescare dalle promesse, né intimorire dalle minacce, preferendo al bene proprio il bene dell’Università, reclamarono al viceré Duca di Feria che, con lettera viceregia del luglio 1600, […] intimava” al Governatore dell’Ospedale “di comparire innanzi il Tribunale del Real Patrimonio, colla minaccia di procedere come si conviene […] ma i pii rettori trovarono mille pretesti per eludere gli ordini viceregi, e con arte e inganni, continuarono nelle loro soperchierie.

Poco dopo, certo De Pasquale, rettore dell’Ospedale, il quale […] si era fatto […] gabelloto dello stato di Bronte, seppe talmente intrigare, che dal governo viceregio e dal Tribunale del Santo Ufficio si fece eleggere capitano d’armi. Questa nomina tolse ai Brontesi ogni speranza di giustizia. Il De Pasquale, infatti, colla triplice funzione di rettore dell’Ospedale, di gabelloto e di capitano d’armi nel 15 luglio 1604 pubblicò bando proibitivo di tagliare alberi nei boschi di Maniace, minacciando ai trasgressori” pene severissime.

Ma i giurati non si stancarono di reclamare e “ottennero la conferma delle lettere viceregie del 1600”, ma […] “non altra salvezza trovava il Comune che darsi al re, e nel 31 maggio 1606, riunitosi il popolo in comizio, furono eletti sindaci e procuratori che insieme all’avvocato fiscale chiesero di essere reintegrati nel demanio regio, cioè essere dichiarati liberi, non vassalli, e che lo stato di Bronte non all’Ospedale, ma apparteneva a S. Maestà Filippo d’Austria e re di Sicilia” […] noverando tutti i loro diritti.»

«I rettori dell’Ospedale, temendo l’esito di quel giudizio, denunziarono i sindaci di sedizione, i quali dal governo furono obbligati di recarsi alla capitale (9). Quivi con lusinghieri modi dal governo furono indotti a concordia colla promessa di rispettare il Comune nel suo pacifico possesso del dritto di pascere, di rispettare le sue locali consuetudini, i privilegi e le prerogative.

Si obbligarono i rettori di recedere dalla lite iniziata, di rinunziare all’accusa di sedizione contro i Sindaci e altri cittadini. Il consiglio civico accettava le promesse e nel 31 gennaio 1610 faceva una transazione che, dopo due anni, nel 20 aprile 1611, i governatori, col pretesto che il rettore dell’Ospedale non aveva facoltà di transigere, la violarono […].

Contra questa violazione reclamarono i Brontesi […] e ne ottennero la revoca […] e fu ordinato che si conservassero i comuni in tutto il territorio di Bronte.

“In mezzo a questo orrore di liti, di concedere e revocare provvedimenti, di dire e contraddire, che tenevano il popolo sospeso e in grande fermento ed agitazione, seguì il famoso tumulto del 6 aprile 1636, per cui Bronte fu dichiarato reo di lesa maestà per aver gridato - Viva il re di Francia! Vadano via i cattivi governatori! -

“Il consiglio civico, intanto, per liberare la Terra dalle angherie degli ufficiali di Randazzo, aveva deliberato di comperare il mero e misto impero. I rettori dell’Ospedale macchinarono tanto perché il Comune non avesse credito per trovar denaro, e comprarono essi a nome dell’Ospedale questo sovrano dritto (10). Il Comune vi contribuì con 9.000 scudi per avere il dritto alla nomina degli ufficiali e il triste spettacolo della forca, che fu innalzata all’entrata del paese, allo Scialando. La forca era l’infame simbolo del dritto del mero e misto impero. […]

“I rettori, ottenuto il mero e misto impero da tanti anni agognato, divennero più potenti; perché, nonostante i famosi capitoli per la nomina dei giurati, del capitano d’armi e del giudice, la scelta era sempre nel loro arbitrio. […] Questo li fece padroni della vita e degli averi dei cittadini.

Don Lorenzo Castiglione Paci«I vari processi fatti ad istanza dei pii rettori sono ignorati da noi. Essi si conservano presso il Duca Nelson. Se ci fosse stato permesso di leggerli, ci avrebbero narrato le novelle estorsioni, le sevizie e le torture, per carpire confessioni e false testimonianze. Furono processati giudici, giurati, capitani e, fra gli altri, il grande benefattore dei poveri, il barone Don Lorenzo Castiglione.»

Alla sommossa del 1636, con le sue disastrose conseguenze, si aggiunsero i danni della terribile eruzione del 1651 e «i pii rettori dell’Ospedale, per il debito di onze 400, interessi maturati al 9%, non potendoli il Comune soddisfare, gli sequestrarono il suo patrimonio […].

«Alcuni signori Brontesi, nei quali taceva ogni sentimento di patria, rappresentavano l’Ospedale in quella spoliazione […] e i cittadini […] essendo esausta la cassa del Comune, si quotarono fra loro per continuare la lite […] e nel dì 8 febbraio 1661 fu fatta transazione coll’Ospedale, che si obbligò restituire i beni sequestrati […].

«Nel 1735 i Brontesi chiesero di nuovo che il mero e misto impero si reintegrasse al regio demanio, e che gli interessi del mutuo, dal 9% si riducessero al 5%. Si domandò pure l’annullamento delle due transazioni del 1611 e 1716. Il Tribunale del Real Patrimonio, con sentenza del […] 1763, confermata dalla Giunta dei Presidenti e Consultori […] del 1765, dichiarò estinto il debito e ordinò la restituzione dei beni sequestrati e dei frutti percetti. Durante questo sviluppo di liti sorse il giudizio sul dritto di legnare e di pascere.»

I rettori dell’Ospedale «non curando la sentenza e il giudizio sul mero e misto impero, continuavano a far bandi proibitivi, a minacciare pene ai trasgressori […] ma il Comune non cessava di esercitare, come prima, i suoi diritti” e così fino al 1788; ma il dritto non era mai certo e sicuro, essendo diverso e mutevole il giudizio degli uomini. Il più potente ha spesso il sopravvento sul debole. E’ la storia delle umane vicende.» (11)

«In questa lotta gigantesca con l’Ospedale, nel secolo XVIII, anima e mente fu l’umile giureconsulto, come egli si chiamava, Antonino Cairone. Cinquanta anni di lavoro indefesso e di spese in servizio del Comune stremarono il suo ricco patrimonio, non fiaccarono però la sua fibra di lottatore invitto, come lo chiamò l’avvocato fiscale del Real Patrimonio. Eletto procuratore irrevocabile nel 1734, ogni classe di cittadini: nobili, plebei, borghesi, preti contribuirono a fornigli i mezzi necessari per vivere e lottare. I pii rettori compresero che per vincere bisognava torre di mezzo il Cairone […].»

Riuscirono,quindi, a farlo destituire dall’ufficio di notaio e bandirlo dal paese. Patì carcere ed esilio dal 1751 al 1754. Da Messina, luogo del suo esilio chiedeva spesso il ritorno in patria per difenderla dalle aggressioni dei rettori. I quali riuscirono anche a rubare i documenti della lite, lasciati in custodia a un suo cognato, Padre Tommaso Schiros, superiore dei Padri Minoriti in Acireale.
«Vecchio, a 79 anni, fu per la dodicesima volta in Napoli, ai piedi del Trono, implorando giustizia a favore del suo diletto paese. - Fu il Cairone un eroe- scrisse in una memoria del 1817 l’avvocato Giuseppe Sanfilippo, che ardeva imitarne l’esempio, - Per l’opera del Cairone Bronte ebbe sentenze favorevoli e vantaggiose transazioni. Quanto Bronte possiede lo deve a questo eroe.-[…]

“Vari gli umori dei Brontesi in questa immane lotta. L’antico spirito di discordia si era ridesto. La maggioranza fu per la lite e sovvenne del proprio il Cairone; altri timidi, anime di schiavi, non volevano sacrifici e accusavano al governo la pertinacia del Cairone […] il quale non viveva che per la lite […] (12)

Di tutte queste fatiche ebbe per compenso le calunnie dei contemporanei e l’ ingrato oblìo dei posteri. E’ la solita moneta con cui si pagano i benefattori. Morì povero, ostinato nel peccato di amor di patria, il 26 novembre 1758 […](13) Morto lui fu eletto procuratore il barone Silvestro Politi per la demanializzazione del paese e la restituzione al re delle due abazie.»

Dopo gli avvenimenti del 1799, re Ferdinando III donò la Terra di Bronte all’Ammiraglio Orazio Nelson in premio di aver soffocato la Repubblica Partenopea, e di averlo rimesso sul trono.

«Così il sogno per la sua libertà finì, e Bronte, come il Sisifo della favola, ricadde nel vassallaggio dal quale sperava prossima l’ uscita. La lite si riaccese col novello padrone. Ebbe varie fasi: più sconfitte che vittorie; ma nel 1861, dopo la rivoluzione unitaria, fu troncata dall’energia e dal patriottismo del Dottor Antonino Cimbali, che a quel tempo, nella qualità di Delegato di Pubblica Sicurezza, godeva grandissima popolarità e stima.»(14)


8. Notizie varie sullo stato amministrativo, finanziario, economico, sociale del Casale Bronte dal Secolo XIV al secolo XIX

In questa monografia il Radice, premesso che “il Feudalesimo gravava come una cappa di piombo sulla vita pubblica e privata delle terre feudali e nessun atto era consentito al casale, alla massa, al villano, senza l’espressa licenza del feudatario […]” afferma che “Bronte trovavasi in con­dizioni speciali” perché “la terra apparteneva al Monastero di Maniace per ius dominii e il diritto feudale era frazionato e s’ ignorano i capitoli, le consuetudini che regolavano i rapporti tra il Monastero signore e i vassalli. […]

Solo è certo che eran dovute al monastero le decime annuali d’ogni prodotto della terra e di animali e niente altro. Ma l’abate aveva il diritto alla nomina degli ufficiali, come appare dall’atto del 14 marzo 1472. In quest’atto, per la prima volta, Bronte appare soggetto al monastero di Maniace. […] L’abate sedeva in Parlamento tra i pari del braccio ecclesiastico come rappresentante dell’abazia e nel braccio militare come rappresentante della terra di Bronte, della quale era barone. […]

“Quando la massa, o marca, aggregazione di uomini, non era ancora Universitas, né persona giuridica, un magister burgentium coi buoni uomini deliberava e provvedeva ai bisogni comuni. Sotto Federico III la massa divenne organismo amministrativo, Universitas, e Bronte allora, verso il 1300, dovette avere , come gli altri casali, i suoi ufficiali. I quali riscuotevano la rendita […], stabilivano il prezzo della manodopera e il salario dei contadini; avevano insomma le funzioni degli assessori .[…] (15)

“Il nostro casale non aveva casa comunale propria, come non ne ebbe fino al 1866. […] Misera la condizione del casale tanto da non poter pagare onze sette d’ oro impostegli per sovvenzione regia da Federico III. […] (16)

“Mancano notizie per conoscere la posizione economica del casale, ente giuridico, nei secoli XII, XIII, XIV, XV. Certo la non doveva essere molto florida. […] (17)
“Bronte, minuscolo casale non ebbe propri capitoli, né leggi civili che regolassero gli affari e gli atti della vita, se non vogliamo chiamare capitoli i privilegi che godeva l’abate […]”


Secolo XVI

“Avvenuta la riunione delle varie masse, il paese crebbe, e crebbero naturalmente i bisogni e le imposte. Il Comune, forte del numero, si agita per la sua libertà e muove lite a Randazzo e all’ Ospedale Grande e Nuovo di Palermo. C’è un fermento d’ aspirazioni e di rivendicazioni. Le adunanze popolari o comizi , che, secondo il costume spagnolo, si facevano ad sonum campanae nella chiesa di S. Maria, o nella piazza del Pozzo (18) e che costituivano il consiglio grande, riuscivano spesso tumultuose; onde il viceré ordinò che il popolo eleggesse coi suoi liberi suffraggi, trenta deputati per discutere insieme coi giurati gli affari del comune; il che è indizio del principio democratico che invade libertà politiche e civili e sotto i governi liberi e sotto la tirannide.

“Prima della riunione, dal 1521 al 1530, Bronte era considerato come esportatore di grano […] e vi erano due grandi magazzini nei quali si depositavano i ceriali prima dell’esportazione […] il fondaco Stancanelli, sotto la chiesa dell’Annunziata, e l’altro sotto lo Scialando, nell’orto di Radice. Cresciuta di popolo l’Università, la produzione annuale del grano non bastava più e i giurati domandavano licenza al viceré per comprarne secondo il bisogno […]

“Carlo V temendo che, a causa delle carestie precedenti, il grano rincarasse, fissò il prezzo […]; però, non ostante il calmiere […] il prezzo del grano salì ancora […]. Perché il popolo non fosse affamato dagli incettatori […] i giurati proibirono ai borghesi di esportare il loro grano […]. (19)

“Maggiore la penuria sentivasi in Bronte, lontano dai centri, per mancanza di strade. Da Messina distava tre giornate, quattro da Palermo, da cui giungeva la posta una volta la settimana; e il Comune pagava onze otto all’anno per il corriere. La via per Catania era impedita dalla sciara. La strada provinciale fu fatta verso il 1832. (20)

“Alle carestie frequenti che stremavano il popolo si aggiungeva la penuria dell’acqua.I pozzi non bastavano a dissetare uomini ed animali. Vane riuscivano le deliberazioni del consiglio per condurre l’acqua in Bronte. Sin dal 27 marzo 1551 deliberavasi di prendere denaro a mutuo per riunire in Bronte le acque dei dintorni.”

“Nella seconda metà del secolo XVI cominciò lo Stato ad avere un migliore assetto e i lavori demografici una maggiore certezza. Bronte appare in cinque censimenti regolari,” dal 1548 al 1595 in cui i fuochi, e quindi gli abitanti risultano senza incremento e qualche volta con diminuzione che “non può attribuirsi che alle febbri d’infezione […] cagionate dalle carestie […] e all’esodo di molte famiglie per le vessazioni degli ufficiali di Randazzo e dei pii rettori dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo. […]”

L’unico bilancio che il Radice è riuscito a trovare è quello del 1593/94 che presenta un attivo di onze 513,12 e un passivo di onze 440, ma la differenza non bastava a pagare mutui e stipendi; anche perché “era lotta aperta tra lo Stato e la Chiesa per i suoi pretesi diritti sulla Sicilia. Così il povero casale (di Bronte) alla fine del sec. XVI chiudeva il suo bilancio. Nonostante però la miseria, le carestie, i dazi, la fede traeva dalle tasche dei fedeli altro denaro a beneficio della santa crociata in auxilium et subsidium regiae classis contra turcos et infideles." (21)


Secolo XVII

“Il secolo XVII vide in Sicilia tumulti, guerre, carestie, fame, peste e diluviare d’ imposte come non mai, che intisichivano e immiserivano la vita degli individui e dei comuni. In Bronte, già cresciuto il popolo, si moltiplicavano ogni dì i bisogni, e in particolare quello dell’acqua, onde il consiglio nel 1623 chiedeva licenza di prendere a mutuo onze 100 per condurre in paese l’acqua della Colla, trovatasi in quell’anno, e “consare" (22) l’acqua del Rovetto sotto Borgonuovo, che per mezzo di condotti, arrivava al convento dei P. Cappuccini.

Il viceré Filiberto di Savoia non ne comprese la necessità e ridusse il mutuo […] a onze 10.

Altri provvedimenti e stabilimenti in bilancio si fecero nel 1625 per l’acqua della Fontanella e di Caramelle; altri nel 1631. Ma l’acqua da quattro secoli, è rimasta un pio desiderio. Ai nostri giorni si sono spese migliaia di lire per vari progetti, andando a cercare l’acqua dove non si trova. Non si è mai curato di far saggi a Santa Venera e alla Nave ove trovasi la sorgente del biviere di Maniace; né ha curato di far ricercare da un rabdomante la sorgente di Malpertuso; come nessun sindaco ha mai pensato restituire al pubblico l’acqua della fontana della Madonna delle Grazie, che dissetava migliaia di persone, e che da alquanti anni è stata deviata da privati per uso proprio. (23)

“Se la penuria dell’acqua assetava, le carestie affamavano. Il Comune, corto a denari, per provvedere il grano necessario, ricorreva, al solito, ai mutui” sempre più cari, “ma spesso mancavano le offerte del denaro e del grano,” il cui prezzo aumentava sempre più.

A rendere più penoso il vivere contribuiva spesso la città di Randazzo che, vantando privilegi e consuetudini, per fornirsi, ogni anno, di grano, lo prelevava dai feudi di Maniace, Bolo, Cattaino, Spanò. […]

“Il governo intanto, bisognoso di denaro per la difesa contro l’armata turca, vendeva il resto dei beni del Real Patrimonio: Titoli nobiliari, tonnare, gabelle. Qualunque villan rifatto poteva divenire barone, conte, marchese. […]
“Il Mandalari narra che Bronte e Randazzo presero parte alla sommossa di Catania contro i nobili verso la fine del maggio 1647, della quale fu capo il calzolaio Girolamo Giuffrida detto Cotugno.
Al fondaco Stancanelli, ove vendevasi il pane a zagato,
seguirono tumulti fra donne, uomini e ufficiali preposti alla vendita. Quel tumulto è vivo ancora nella tradizione popolare, ed è chiamato la rotta di Pichiollo; forse dal capo del tumulto che aveva questo nome. […]

Era il paese in preda alla più grande desolazione, deciso ad abbandonare l’antico nido, quando i pii rettori dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, larvati di carità, per un credito […] per la grazia del tumulto del 1636 e per la libertà che non ebbe, sequestrarono le cinque gabelle e il dritto di pascere e legnare, condannando il Comune a nuovi enormi sacrifici, inauditi debiti e novelle liti.

“Bilanci che ci facciano conoscere la posizione finanziaria del Comune nel sec. XVII non esistono: essi sono andati smarriti nelle vicende della rivoluzione del 1860. Quello all’inizio del secolo, nel 1607 si differisce poco dal bilancio del 1593/94 […]

“Malgrado tante avversità e carestie e mortalità la popolazione si moltiplicava. Nel censimento del 1639 Bronte ha 9138 anime; […] ma nel breve periodo di 16 anni si nota una diminuzione di circa tremila Brontesi, impauriti più dalle frequenti eruzioni che dai bandi proibitivi e dalle minacce. Il terremoto del 1693 che rovinò il monastero di Maniace e l’abside della bella chiesa siculo- normanna, scosse e buttò giù molte case in Bronte.

“[…] Come il secolo XVI, così finiva il secolo XVII: tasse, tasse, tasse: nessuna opera pubblica: né strade, né acqua e il popolo pagava. Gli Spagnoli non sapevano fare altro che mungere e tosare di prima e di seconda mano. […]”


Secolo XVIII

Il secolo XVIII è notevole per il progresso in tutta la Sicilia, portatovi dal vento della rivoluzione francese […] Un migliore e più ordinato assetto hanno i comuni nella loro amministrazione. All’arbitrio delle prammatiche e dei capitoli va sostituendosi la legge che impera su tutto e su tutti […] Crescono le popolazioni, le ricchezze, i donativi e le gabelle.

“Bronte, oscuro ignorato casale, vassallo di Randazzo, per l’opera dell’ umile e grande suo figlio, sac. Ignazio Capizzi, diviene centro di cultura e s’ incammina a diventare città. […]

“Militarmente però, fin dal sec. XVII, Bronte dipendeva dalla sargenzia (distretto) di Taormina […]

“Tre censimenti ufficiali in questa prima metà del secolo segnano un progressivo aumento del popolo e della sua ricchezza. Il primo fu fatto nel 1714 sotto il regno di Vittorio Amedeo II […]; il secondo sotto Carlo III nel 1748 […] e l’ultimo è del 1798 sotto Ferdinando I, III, e IV. (24)
Qui il Radice, esponendo e analizzando tutti i dati dei suddetti censimenti, sottolinea il fatto che, malgrado l’incremento demografico costante e della ricchezza, i bilanci del Comune sono tutti deficitari per cui non si parla mai di opere pubbliche.

Segue un paragrafo sul “Valore della terra e dei prodotti” in cui il nostro storico esordisce dicendo “Quale valore avesse la terra nei secoli” trattati “non è dato argomentarlo da nessuna notizia. Ma afferma che “la terra, sola generatrice della ricchezza, non valeva quasi nulla; poco o nessun valore aveva il lavoro umano. Pochi quattrini bastavano al campamento giornaliero.[…]

Alle pagine 214 e 215 segue un “Quadro demografico di Bronte” con osservazioni, che va dal 830? al 1920; quindi, da pagina 217 a pagina 226 vengono riportati quattro documenti.



Note:

(4) Non è affatto una forma composta, ma il femminile del presente participio medio (vedi grammatica greca del Rocci, Editrice Dante Alighieri, Milano 1932, pag. 79) del verbo “b r o n t a w  = tuonare, quindi “b r o n t e m e n h = tuonante.

(5) Non so se è uno dei soliti refusi tipografici, ma il nome esatto è Rodrigo.

(6) Nota l’ironia amara del nostro storico!

(7) Continua l’amara ironia del Nostro!

(8) Radice B. Memorie… cit. pag. 177 - La sottolineatura è mia.

(9) Si riferisce a Palermo

(10) Sta per diritto

(11) E’ vero anche adesso, pur essendo mutata la legislazione.

(12) Ibidem cit. pag. 183. Il paragrafo dedicato al Cairone è poco chiaro o per l’esposizione del Nostro, che spesso torna indietro, o per probabili refusi tipografici nella citazione delle date.

(13) Ibidem cit. pag. 184 - Anche qui confusione sulla data di morte: infatti la nota (15) recita “Per le notizie sulle vicende del Cairone leggansi le sue due memorie scritte nel 1756, l’anno stesso della sua morte. []” quella giusta è questa perché, nel disordinato elenco dei dispacci, figura alla data 1757 l’elezione di Politi Silvestro a “procuratore generale del Tribunale del Real Patrimonio per la demanalizzazione di Bronte, essendo morto l’invitto difensore della patria Dott. Antonino Cairone per la continuazione della lite” […] Altra incongruenza: prima parla di “cinquanta anni di lavoro indefesso ecc.” del Cairone, ma dalla data di elezione a procuratore irrevocabile, 1734, alla data di morte 1756, ne passano solo 22. Don Benedetto quando ha scritto questa pagina elogiativa del Cairone doveva essere molto stanco, ma più stanco doveva essere chi avrebbe dovuto curare il testo prima della stampa. Questa monografia non è stata pubblicata prima: forse perciò risulta meno curata.

(14) Ibidem cit. pag. 185 in cui seguono documenti fino alla pag. 190.

(15) Ibidem cit. pag. 195 - A questo punto, nella nota (9) il Radice esprime un giudizio positivo sulla legislazione sociale del Fascismo, con queste parole: “Nihil sub sole novi. Coi sindacati il governo fascista ha rimesso in vigore l’antica usanza, dando a questa sanzione legale, togliendo l’attrito tra capitale e lavoro, sciogliendo in modo equo la questione sociale. A questo mira la Carta del Lavoro.“

(16) Ibidem cit. pag. 196. E nella nota (13) fra l’altro spiega che “L’onza d’oro al tempo dei Normanni aveva il valore intrinseco di L. 60.”

(17) Ibidem cit. pag. 197 - Frase toscaneggiante, caratterizzata dal pronome la.

(18) La chiesa di S. Maria era l’attuale chiesa Madre, o Matrice, e la piazza del Pozzo era quella a fianco della chiesa di S. Sebastiano, quasi davanti alla precedente, ora denominata Leone XIII, dove ricordo un grande pozzo pubblico. Rilevo che la suddetta chiesa di S. Sebastiano non è stata indicata nello stradario di Bronte edizione 1996: come mai? Anche in questa chiesuola “si tenevano le adunanze popolari e dei giurati, non avendo il povero comune di che comprare una casa.” Vedi Radice Benedetto, Memorie … cit. pag. 271.

(19) Ho evitato di citare date e prezzi perché ho notato discrepanze che non sono riuscito a controllare.

(20) La sciara di cui si parla doveva essere proprio quella dell’eruzione del 1832, anno in cui sarà stata riaperta la strada, divenuta provinciale (Vedi pag. 21 e nota 53) e che sarà stata interrotta di nuovo dalla colata del 1843. (Vedi pag. 22 e nota 54 ) - Ma perché il Radice dice “verso” e non dopo?

(21) Ibidem cit. pag. 202 - Si tratta della guerra contro i Turchi i quali nel 1571 subirono la famosa sconfitta di Lepanto.

(22) Ibidem cit. pag. 203 - “consare” sta per integrare e rendere migliore.

(23) Ibidem cit. pag. 203 dove il Radice inserisce la nota (41) che recita: “Lo scrittore di queste memorie da moltissimi anni ha parlato e scritto di servirsi dell’opera di un rabdomante per la ricerca probabile dell’acqua, ma le autorità e le teste quadre hanno riso. Beati loro!”. L’argomento è stato trattato anche prima come può vedersi a pag. 17 e nota 37. Solo nel 1943 fu captata l’ acqua della Musa e Bronte ne ebbe in abbondanza.

(24) Ibidem cit. pag. 210 - Ferdinando di Borbone fu IV di Napoli, III di Sicilia e I delle Due Sicilie (1751-1825)

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