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I parlamentari brontesi

Personaggi illustri di Bronte, insieme

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Giacomo Meli, GIUSEPPE CASTIGLIONE, Placido De Luca, Francesco Cimbali, Vincenzo Saitta, Luigi Castiglione, Antonino Isola, Biagio Pecorino, Vito Bonsignore, Pino Firrarello, Salvatore Leanza, Nunzio CalannaFranco Catania, Giuseppe Castiglione


Fece parte della Camera dei Pari del Regno di Sicilia

Giuseppe Castiglione

Sempre spinto dai sentimenti di libertà, di odio al re Borbone e di legame con la sua città natale

Uomo colto e d’ingegno, l'Abate Giuseppe Castiglione fu uno dei primi parlamentari brontesi di cui abbiamo notizia. Sedette, infatti, tra i Pari, una delle due camere legislative del Parlamento siciliano (palazzo dei Normanni, sede principale del parlamento siciliano nei secoli, foto a destra), adottate nel Regno di Sicilia dal 1812 al 1848 (l’altra Camera era quella dei Comuni dove era presente un altro brontese, Giacomo Meli).

Fu professore di Eloquenza nel Seminario di Palermo e fu eletto il 4 aprile 1848 a Palazzo dei Normanni per la paria spirituale dell’Abazia di Santa Maria d’Alto Fonte del Parco (l'odierno Altofonte) su una terna di tre nomi  a maggioranza assoluta di voti e confermato dalla Camera dei Comuni il il successivo 10 aprile.

Persona di profonda cultura, fu scrittore, poeta e strimpellò a volta anche la cetra e – ci ricorda B. Radice - «fu caro alla gioventù colta della città di Palermo e all’aristocrazia liberale; mostrossi al Parlamento uomo di iniziative e ardente di patriottismo».

Ebbe la stima degli studiosi ma di lui ci rimangono piccolissimi lavori e tre odi: una sul genio dei siciliani, un’altra su La presa di Algeri (1830) e l’Ode pel ritorno di Francesco I e Isabella.

L'abate Castiglione mori a 69 anni a Palermo. Più che per le opere letterarie noi brontesi di lui ci ricordiamo parti­colarmente per due episodi legati al suo impegno per Bronte ed ai Moti rivoluzionari del 1848.


Il nome del Real Collegio Capizzi

Il primo episodio che vogliamo ricordare di Giuseppe Castiglione, Pari del Regno, riguarda la denominazione dell'attuale Real Collegio Capizzi. Ultimata nel 1778 la costruzione, il fondatore, Ignazio Capizzi, lo aveva inizialmente chiamato con il titolo di Reggie Pubbliche Scuole di Bronte ma in pochi decenni la denominazione era stata modificata per ben nove volte per diventare nel 1835 Real Collegio Borbonico.

Dopo la delibera dell'Aprile 1848 quando il Parlamento Siciliano dichiarava decaduto il re borbonico Ferdinando II e la sua dinastia, l'Abate Castiglione spinto dai vivi sentimenti di libertà, di odio al re Borbone e di legame con la sua città natale, nella seduta del 9 agosto 1848 propose alla Camera dei Pari che fosse tolto al Collegio il nome di “borbonico”.
E il Parlamento nello stesso giorno deliberò ed emanò il decreto: «la casa di educazione in Bronte che prima del 12 gennaio chiamavasi Collegio borbonico, sarà chiamato Collegio Nazionale».

L’istituto realizzato da I. Capizzi da Real Collegio Borbonico cambiò quindi nome in Collegio Nazionale anche se un anno dopo, ritornati i Borboni a Palermo, ridiventò Collegio Borbonico, nel 1859 Real Collegio Borbonico di Bronte per ritornare semplicemente Collegio dopo i tragici fatti del 1860.


Il processo per i Moti del 1848

Il secondo episodio che ci piace ricordare della vita del nostro Pari del Regno riguarda sempre il 1848.
Durante i Moti di quell’anno, seguendo le rivolte di Palermo, Catania, Messina e Agrigento, anche il popolo brontese, nel mese di aprile, al suono delle campane, tumultuante si ribellò contro le autorità borboniche (identificati nei “ducali”) e le truppe inviate a Bronte. Bronte ed i brontesi erano stati donati dal Re Borbone a Nelson, caduto il Re si ritornava finalmente liberi e proprietari del territorio. Il popolo in rivolta si diresse a Maniace e invase la Ducea per ottenere la divisione di vigneti e terre fra i contadini.

Non vi furono vittime poiché la duchessa Charlotte Mary Nelson (1787 -1873) baronessa di Bridport, nipote dell'Ammiraglio non era a Maniace ed i Thovez e gli altri “ducali”, fiutato il vento, si erano eclissati; i danni si limitarono a furti e scassi di magazzini. Ma, tornata la calma, vive proteste furono inoltrate dal governatore Thovez al consolato inglese e da questo alle autorità politiche.
Seguì naturalmente un ricorso legale e l'azione penale iniziata dalla Duches­sa Carlotta contro coloro che avevano occupato le terre si trascinò per parecchio tempo.

Nella secolare lite giudiziaria che aveva caratterizzato i rapporti tra Bronte e l'Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, prima, ed i Nelson dopo, si presen­tava l'occasione per un processo qualificato di alta importanza, e – scrive il Radice - «Governo, Comitati generali e Centrali di giustizia e di guerra, ligi allo straniero, dietro le insistenze degli agenti diplomatici inglesi chiedenti misure di rigore eccezionale, s'affaticavano a voler trovare un delitto dove non era».

Insomma era la prova, l’anticipo di ciò che sarebbe successo 12 anni dopo, nell’Agosto del 1860 con l’arrivo di Bixio a Bronte, chiamato dagli inglesi, ed il processo sommario che ne seguì.
La vertenza avrebbe potuto gettare il paese in sofferenza ancor più di quan­to non lo fosse già ed i pericoli per la popolazione erano tanti.

Preoc­cupato per l'evolversi del processo, in rappre­sen­tanza nel Parla­mento Siciliano della popolazione brontese,  intervenne il sac. Giusep­pe Castiglione che «ani­mato da sentimenti di patria carità, tanto seppe e fece da togliere il proces­so criminale dal potere dei magistrati, facendone avocare al Parlamento la soluzione.»

Nella seduta del 26 agosto presentò alla Camera dei Pari la mozione di abolire l’azione penale contro i Brontesi. La stessa mozione venne fatta alla Camera dei Comuni. Era sempre assente, nota il Radice con delusione, l’altro rappresentante di Bronte alla Camera dei Comuni del Parlamento siciliano, padre Giacomo Meli.

Le due Camere deliberarono di rimettere la decisione ad un comitato misto, dal quale, per ragioni di opportunità, fu escluso l'Abate Castiglione.

Il 18 Settembre del 1848, «dopo varii pareri pro e contro, la maggioranza, dando al fatto colore politico, e per non alienarsi un popolo che in quelle contingenze di guerra, aveva armato e mandato numerosi suoi figli a Mes­sina e a Catania per la difesa della causa nazionale, troncato ogni indugio, deliberò accettare il messaggio della Camera dei Comuni.»

Con una specie di amnistia si decise che ogni procedimento ed azione penale per quanto acca­duto a Bronte tra il 23 aprile ed il 3 maggio fossero aboliti («E’ vietato ogni procedi­mento penale ed è abolita l’azione penale per i fatti avvenuti in Bronte dal dì 23 aprile al 3 maggio 1848 relativi ai disturbi di possesso già cessato»).

A Bronte si fece grande festa, suonandosi a gloria le campane. Ramma­rico grandissimo ne provò invece il console inglese che, non potendo mandar giù quel decreto, infamò i Brontesi come saccheggiatori e ladri, lasciando questo ricordo nel suo diario della rivoluzione siciliana: «6 maggio, dome­ni­ca, a Bronte il signor Thovez preposto alla guardia dei possedimenti di lord Nelson fu obbligato a fuggire colla sua famiglia, essendosi molti indi­vidui riuniti allo scopo di saccheggiare e di rubare».

«Lasciamo sulla coscienza del Thovez e del Dikinson il saccheggio, i furti, i magazzini scassinati e via», conclude il Radice. «Le molestie intanto conti­nua­vano da parte dell’ammi­nistratore Thovez, e nel 25 gennaio 1849 il Consiglio incaricava il Padre Meli e il Pari Casti­glione perché curassero presso le autorità e il Ministro gl’interessi del paese.»

Giuseppe Castiglione morì di colera a 62 armi, a Palermo, il 28 agosto 1854.

(aL)
Gennaio 2018

 

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Maggio 1848

Una ordinanza contro i cittadini brontesi del Comita­to Giustizia Culto e Sicurezza Pubblica emessa il 3 maggio 1848:

«Vista la suppli­ca del sig. Guglielmo Thovez ... dichiara il Co­mitato di Bronte, tut­te le auto­rità locali, tutta la forza così na­zionale, come muni­cipale, e tutti coloro che hanno avuto con­ni­venza in tali eccessi, respon­sa­bili di tutti i danni arrecati alla proprietà della Ducea, tanto per non aver saputo pre­venire simili attentati, quanto per non averli sapu­to riparare ...».


Agosto 1848

A destra, un altro manifesto fir­mato da Guglielmo Thovez l'11 Ago­sto 1848 (nel corso del processo) e rivolto ai bron­tesi per discol­parsi delle accu­se ricevute per averli infamati e calunniati.
Thovez li in­vi­ta an­che a mostrarsi "degni figli di Sicilia", a non da­re cor­so "alle voci sediziose dei po­chi". "Vi ammi­re­rà la patria  - con­clude - ed io sarò la tromba che farà echeggiare glorioso il vo­stro nome".
Un mese dopo il Parlamento siciliano deli­be­rò che cessasse qual­siasi procedimento ed azione pe­nale per i fatti accaduti a Bronte tra il 23 aprile ed il 3 maggio.

I due manifesti sono tratti dall'Ar­chivio storico dei Nelson (vol. 615-B, pp. 3 e 4).

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