I FATTI DEL 1860

I Fatti dal 2 al 10 Agosto 1860

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ANTEFATTI - DECRETI DI GARIBALDI - SITUAZIONE LOCALE - I FATTI DAL 2 AL 10 AGOSTO (3/3) - DIBATTITI E RICOSTRUZIONI

Cenni storici sulla Città di Bronte

I Fatti di Bronte dal 2 al 10 Agosto 1860

LA VENDETTA, L'ECCIDIO, LA REPRESSIONE, LA FUCILAZIONE

 

La fucilazione

Insieme a quei cinque malcapitati, moriva anche lo spirito battagliero dei brontesi, tradito da Garibaldi, colui nel quale erano state riposte tante speranze

«Data la sentenza, - scrive Benedetto Radice - l’arciprete Politi andò al collegio a comunicare al Lombardo la ferale notizia; altri corsero al carcere a darne la novella al Saitta e ai fratelli Minissale.
Ascoltò tranquillo il Lombardo e disse: I miei nemici hanno alfine trion­fato. Dieci anni prima o dopo è lo stesso. Era questo il mio destino

Fu tra i pianti e le strilla di una sua donna celebrato in articulo mortis il matrimonio ecclesiastico; e, avuti gli estremi conforti della religione, stoicamente si preparò al gran passo.

«Quella sera - scrive Vincenzo Pappalardo - l’avvocato si preparò con serenità alla fine, sposando in articulo mortis una servetta, forse tenuta per amante, certamente bisognosa di quella parte di eredità che le nozze le avrebbero assicurato.
Era l’atto di estrema magnanimità di un uomo non privo di ambiguità, eppure animato da una spinta morale e utopica enorme, un gigante rispetto a quegli omuncoli gretti e vigliac­chi, meschini e profittatori che sospirarono di sollievo nel mandarlo a morte e nel ricacciare i contadini alla servitù di sempre.» (Un destino feudale, in La Ducea di Bronte di A. Nelson Hood, Bronte, 2005).

I parenti del Lombardo si presentarono al Bixio per implorare da lui di poter dare l’ultimo abbraccio al condannato; ma egli fieramente li respinse; e il povero garzone, andato a portargli delle uova, fu riman­dato con dure parole: Non ha bisogno di uova, domani avrà due palle in fronte!»

 - Don Nicolò Lombardo del fu Don Francesco di anni 48 (avvocato, la vittima più innocente)

 - Nunzio Spitaleri Nunno (del fu Nunzio di anni 40, villico),

 - Nunzio Samperi Spiridione (di Spirione di anni 27, murifabbro),

 - Nunzio Longhitano Longi (fu Giuseppe di anni 40, villico) e

 - Nunzio Ciraldo Fraiunco del fu Illuminato, di anni 40, villico, il cinquantenne scemo del paese totalmente infermo di mente ("simbolo vivente dell'irrazionalità della moltitudine", così lo definì Alberto Moravia),

additati come i provocatori dei saccheggi e delle uccisioni dei "galan­tuomini", vittime di ragioni per loro incomprensibili, all’alba del 10 Agosto 1860 venivano fucilati in pre­senza di tutta la popolazione nella piazzetta antistante la Chiesa di San Vito «col secondo grado di pubblico esempio».

"Il domani venerdì, verso le 8, i condannati furono condotti al luogo del supplizio. Una folla immensa di popolo, nei cui occhi leggevasi lo spavento e la compassione, seguiva in ferale silenzio il corteo.

L’arciprete Politi e il sac. Radice li andavano confortando. Il Lom­bardo, aitante della per­sona, con lo sguardo mesto, con un cappello a cencio, procedeva a passi lenti, fumando un sigaro, lisciando la sua folta e nera barba, che gli scendeva sul petto, invitando i com­pagni a rispondere alle preci degli agonizzanti.

Giunti alla chiesa del Rosario si sentirono grida e pianti. Era una nipote del Lombardo. Alzò egli gli occhi al balcone, li riabbassò, dando un profondo sospiro, e voltosi agli astanti disse:

-- Sono innocente come Cristo --

Un fremito e un lungo mormorio accolse le parole del condannato, che, austero, muto continuò il suo cammino.

Arrivati sulla piazza di S. Vito i cinque condannati furono posti a sedere in fila. Protestò di nuovo il Lombardo la sua innocenza, chiese in grazia di essere il primo fucilato, e volto ai compagni disse:

-- Recitatemi il credo. --

Letta da un ufficiale la sentenza fu ordinato il fuoco. Caddero riversi un dopo l’altro tutti e cinque.

"Un condannato, risparmiato dalla scarica della fucileria, tenendo con la mano l'immagine della Vergine, come un talismano sul petto, gridava:

- Grazia! Grazia! -

Il colpo di grazia, nel film di F. VanciniEra il matto. Gli si avvicinò l'ufficiale e gli diede il colpo di grazia".
Stava Bixio con gli occhi fissi, vitrei, a cavallo, come l’angelo della vendetta.
[...] I corpi dei giustiziati immersi nel proprio sangue furono lasciati fino a sera esposti al pubblico, spettacolo miserando e ammonitore. Questa esecuzione assai la plebe sbigottì, solo agli offesi soddisfece, quella per timore di peggio, questi per vedersi vendicati del danno e delle ingiurie patite".
(Benedetto Radice)

Quel 10 Agosto 1860, insieme ai cinque malcapitati, moriva anche lo spirito battagliero dei brontesi, tradito da colui nel quale erano state riposte tante speranze: dal "liberatore" Garibaldi, dietro il quale anche da Bronte erano partiti dei volontari per "fare" la rivoluzione.

L’azione imposta da Bixio ai giudici della Commissione mista di guerra fu frutto di scelta freddamente calcolata. Sacrificava certamente la giustizia ma rispondeva pienamente alle necessità della politica e alle dure leggi della guerra.

Le fucilazioni dettero ampia soddisfazione alla nazione britannica i cui interessi secolari sulla Ducea erano stati seriamente minacciati dall’on­data rivoluzionaria.

A Bronte non dovevano assolutamente scalfirsi questi privilegi, che il popolo voleva abbattere e che avevano intristito ed avvilito nella miseria per molte generazioni tutta la comunità brontese.

Pochi giorni dopo Bixio annunciava che "gli assassini e i ladri di Bronte sono stati severamente puniti… la fucilazione seguì immediata i loro delitti". E - conclude il Radice - «tal fine ebbe Nicolò Lombardo. Egli andò a morte per i sobillamenti dei suoi nemici, e per soddisfazione della nazione britannica.»

«Il console inglese, affermò il Tenerelli Contessa davanti alla Corte d'assise di Catania, assalì a dispacci il Dittatore, chiedendo pronta ed efficace repressione. E siccome in quei supremi istanti l’uomo sparisce e la vita di lui non si calcola, purché si ottenga il fine, così dovettero offrirsi delle vittime ad un interesse politico momentaneo del rappre­sentante di una nazione straniera, fiera purtroppo del suo orgoglio e della sua dignità, e Nicolò Lombardo fu fucilato.»

E alla fine tutto tornava come prima: i "signori" al loro posto, i poveri contadini sempre più poveri. «In paese - conclude Verga la sua novella Libertà - erano tornati a fare quello che facevano prima; già i galantuomini non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i galantuomini. Così fu fatta la pace.»

E il Radice aggiunge che «così ebbe fine questa sanguinosa sommos­sa, che ira cumulata di generazioni per soprusi e ingiustizie, mal governo del Comune, pochezza di senno e di animo nelle autorità e nei cittadini, discordia e cupidigia di potere in tutti, fruttò al paese tanto esterminio e tanta morte!»

La tragedia di Bronte si era chiusa, e non era servita a niente.

Nino Bixio avrà per tutta la vita su

lla coscienza i morti di Bronte; così si esprimeva in una lettera alla moglie: "Missione maledetta, dove l'uomo della mia natura non dovrebbe mai essere destinato".

Ai brontesi non restavano che le condizioni miserevoli, la fame, il desiderio di "libertà" dalla schiavitù e dalla miseria e l’amara certezza delle promesse non mantenute.

Al primo sommario processo, fatto istruire da Bixio davanti alla Com­missione speciale e concluso rapidamente con cinque condanne a morte, ne seguì un altro contro altri 145 - scrive M. Sofia Messana Virga - «imputati per reati minori, per i quali la pena prevista non era la fucila­zione; vennero trattenuti in carcere in attesa di essere trasfe­riti a Messina per essere messi a disposizione delle autorità del luogo, le quali avrebbero stabilito il da farsi.»

Il Consiglio Civico brontese, che continuava ad essere espressione della volontà dei "cappelli", chiese ripetutamente che il processo fosse cele­brato a Bronte e dal Consiglio di Guerra. Ma il Governatore di Catania si oppose ed il processo fu celebrato davanti alla Corte d’Assise di Catania tra il 1862 e il 1863.

C'è da notare anche che quando Garibaldi, dopo la vittoria del Voltur­no, emanò, il 29 ottobre 1860 il decreto d'indulto, lo stesso Consiglio civico dette mandato ai suoi avvocati perché si interes­sassero a Catania per non fare estendere agli imputati del processo per i fatti dell'agosto i benefici dell'indulto.

«E così - scrive V. Pappalardo in L'identità e la macchia - i contadini servi del Duca e di una miseria senza riscatto, che al grido di Viva l'Italia! Viva Garibaldi! avevano pensato anche loro di essere chiamati a un Paese nuovo e più giusto, venivano esclusi dalla grazia che la nuova Italia concedeva a chi pur sbagliando l'aveva aiutata a nascere.»

Il 12 Giugno 1863 iniziò presso la Corte di Assise del Circolo di Catania il dibattimento contro 51 imputati (dei 145 iniziali) "accusati tutti di attentato avente per oggetto di portare la devastazione, la strage ed il saccheggio contro una classe di persone".

Sessanta giorni dopo ("compresi 4 giorni e 4 notti aspettando il verdetto"), il 12 agosto, la Corte emise la sentenza definitiva con 35 condanne: 23 ergastoli (lavori forzati a vita), 2 condanne ai lavori forzati a tempo per anni dieci e 3 per anni venti, 5 alla pena della reclusione per anni dieci e 2 imputati rimessi in libertà in quanto "compensata col carcere subito la pena dovuta". Gli altri dichiarati "non colpevoli nè come agenti principali nè come complici", assolti da tutte le accuse e scarcerati dopo due anni di ingiusta detenzione (Processo di Bronte, Vol. 13, foglio 526).



 

10 Agosto - Il matrimonio di Lombardo

L'atto di matrimonio
 dell'avv. Nicolò Lombar­do con Maria Schilirò cele­brato "in arti­culo mortis" dall'ar­ciprete Salva­tore Politi nelle prime ore del 10 Agosto 1860, poco pri­ma di essere fucilato:

«N. 55 D. Nico­laus Lom­bar­do, Die 10 augusti 1860.
Nullo habito canoni­co impe­dimento abque dispen­tatio nobis, quia pericu­lum erat mortis; ego sacerdos D. Sal­vatoris Politi arci­pre­tis et unicum parrocus I.S.M.E.­C.B. (In Sancta Mater Ec­clesieae Com­munis Brontis) intero­gavi D. Nicolaus Lom­bar­dus filium quon­dam D. Francisci et viven­tis D. Carmela Dina­ro anni 49 et Mariam Schilirò viduam relictam Antonini Calanna filiam quon­dam magistri  Vin­centii Schi­lirò et Domi­nica Cala­ciu­ra, anni 44; eorumque mutuo consenzu habito cum verba solen­niter pre­senti matrimonio coniunxit juxta riti Sancta Ro­mana Ecclesiae pre­sen­tibus testibus notis Sac. D. Bene­dictus Melis et Magistri Ignazius Pettinato.»

(«55. - D. Nicola Lombardo - Il giorno 10 agosto 1860
Non essendovi nessun altro impedimento canonico che ci di­spen­si, poichè c'era pericolo di morte, io, Salvatore Politi arci­prete e unico parroco I.S.M.C.B. (nella Chiesa Madre del Comu­ne di Bronte), ho interrogato don Nicola Lombardo fi­glio del de­funto Don Fran­cesco e della viven­te Donna Car­me­la Dinaro di anni 49 e Maria Schi­lirò vedova di Antonino Calanna e figlia di Mastro Vincenzo Schilirò e Dome­nica Cala­ciura, di anni 44; avuto solen­ne­mente il loro reci­proco consenso li ho uniti in ma­trimonio in presenza dei testimoni conosciuti Don Benedetto Meli, sacerdote e Mastro Ignazio Petti­nato secondo il rito della Santa Chiesa Romana.»)

(traduzione di N. Longhitano)


 

La fucilazione

Dal film di Florestano Vancini «Bronte, cronaca di un mas­sa­cro che i libri di storia non hanno raccontato» (1972) la fucila­zio­ne dei 5 condannati all'alba del 5 Agosto 1860 "col secon­do grado di pubblico esempio"

 

Sopra, un murales dipin­to nella parete di una casa di Bronte (nel­la via  Madon­na di Loreto, il co­siddetto "Catoio") ed il Convento di S. Vito (disegno trat­to dalla "Storia della Città di Bronte" di G. De Lu­ca del 1883). Il murales, oggi quasi illeggibile, rappresentava la fucila­zione dei cinque malca­pitati.

Sul piazzale anti­stante il Con­ven­to di S. Vito, vicino al porto­ne del­la selva (parte destra del disegno, così detto perché im­met­teva in una spa­zioso am­biente alberato del Con­vento), Bixio, seguendo le leggi penali bor­bo­niche, fece fucilare l'avv. Nicolò Lom­bar­do e gli altri quat­tro, ritenuti col­pe­voli di strage col "secondo grado di pubblico esempio".

«I corpi dei giustiziati - scrive B. Radice - immersi nel pro­prio san­gue furono lasciati fino a sera esposti al pubblico, spettacolo mise­rando e ammonitore.»

Bronte nel 1885


 

IL DIARIO DI NINO BIXIO

Quello che che scrisse nei giorni trascorsi a Bronte, una sorta di taccuino di appunti, dove elabora i testi dei decreti da emanare, degli avvisi da diffondere alla popolazione, degli ordini da conferire ai suoi subalterni e della corri­spondenza da spedire.

Gli ATTI PROCESSUALI (Agosto 1860)

Gli atti del processo istruito dalla Commis­sione Mista Ecce­zio­nale di Guerra per i Fatti di Bronte dell'Agosto 1860

 L’ARRINGA DI TENERELLI CONTESSA

L’appassionato intervento dell'avv. Michele Tenerelli-Con­tes­sa, ristam­pato dalla "C.u.e.c.m." (Catania, 1989) a cura del prof. Gino Longhitano.

GLI ATTI PROCESSUALI (1860 - 1867)

Tutti gli atti giudiziari e i documenti dei 15 faldoni che co­sti­tuiscono il fondo "Proces­so di Bronte" (7.609 pagine) sono stati recente­mente dema­te­ria­liz­za­ti, digi­ta­lizzati a cura del­l'Asso­cia­zio­ne Bronte Insieme. L'archivio digitale, conse­gnato nel Feb­braio 2024 all'Ar­chivio di Stato di Catania è ora a dispo­sizione di tutti.

L'arringa dell'avvocato Michele Tenerelli Contessa, un catanese che difese davanti alla Corte d'assise di Catania cinque imputati del secondo processo - "appassionata, lucidissima, d'un avvocato colto e intelligente" - è stata pubblicata recentemente dalla "C.u.e.c.m." (Catania, 1989) con una "Introduzionee" del brontese prof. Gino Longhitano.

Quindici anni dopo la sentenza, nel 1878, Re Umberto I, con Regio Decreto del 19 gennaio n. 4260, concesse piena amnistia per alcuni reati (fra i quali tutti i reati politici). La Corte di Appello di Catania con sentenza n. 1057 del 1° Ottobre successivo dichiarò non compresi nella Reale amnistia i crimini per i quali 25 brontesi furono condannati ai "lavori forzati perenni" in quanto ritenuti non reato politico. Decisione condivisa anche dalla Corte di Cassazione di Sicilia il 23 Giugno 1889.


Conclusione

«Occorre dire che noi, a distanza di 125 anni da quegli eventi, siamo in grado di vederli e giudicarli in rapporto a più ampi e completi accertamenti ed, anche e soprattutto, con una valutazione più serena di uomini e cose. Ma in quei giorni, nell’eccitazione del momento, quando la casa bruciava, l’unica soluzione che era proposta ai giudici era quella della condanna a morte; ma era una soluzione per difetto perché molti, troppi altri imputati, avrebbero dovuto essere dinanzi al plotone di esecuzione.

Ma, ci chiediamo, cosa sarebbe avvenuto se i 13 testimoni a difesa fossero stati con­vocati ed ascoltati? se si fossero ascoltate le deposizioni del sac. Rizzo, del sac. Gaetano Palermo attestanti che il Lombardo si era attivamente adoperato pel mantenimento dell’ordine pubblico, o le testimonianze dei sacerdoti Giuseppe Di Bella, Vincenzo Leanza e di altri nel senso che, come leggiamo nella comparsa proposta il 9 agosto dal difensore, “diede tutta l’opera sua a poter frenare il tumulto”.

Ma queste testimonianze sarebbero valse a togliere importanza e valore a quelle gravissime formulate, come abbiamo visto, dalle parti lese?

E come mai, ci si chiede ancora, un solo professionista e “civile”, il Lombardo fu por­ta­to a morire, assieme a 3 “villici”, quali erano Nunzio Ciraldo Fraiunco, Nunzio Lon­ghita­no Longi, Nunzio Spitaleri Nunno ed un murifabbro (Nunzio Samperi Spiridione) mentre per gli altri due “civili” imputati (il medico chirurgo Luigi Saitta e il “civile” Carmelo Mi­nissale) fu ordinato che sul loro conto dovesse prendersi una più ampia istruzione?

Occorre dire che soltanto il cadavere di Nicolò Lombardo era il cadavere eccellente che poteva essere proposto come esempio ai malintenzionati e riottosi, alle popolazioni contadine che la secolare fame di terre poneva in agitazione e poteva facilmente condurre alla rivolta. E i responsabili di questo erano Nicolò Lombardo e i suoi compagni di fede societaria, di cui in questa sede è stata poc’anzi esaltata l’immagine.

Di lì a pochi giorni la divisione Bixio, sbarcata a Melito, in Calabria, costituì la massa di manovra per l’avanzata fulminea verso Napoli.

Bixio adempiva agli ordini ricevuti, ma sarebbe stato inchiodato a Bronte e dintorni qualora non fosse stato dato un esempio terribile ed il cadavere del Lombardo (ben noto fin dal 1848 nella provincia e in Sicilia) non fosse stato d’esempio, così come nell’età medievale ed anche, in tempi a noi più vicini, le teste dei decapitati erano lasciate alla visione del pubblico perché fossero di esempio a tutti quelli che passassero.» Salvatore Candido (Atti del Processo a Bixio, a cura di S. Scalia, Bronte 1985)

L’avv. Lombardo - affermò durante il Processo a Bixio il brontese avv. Armando Radice - «è stato il capro espiatorio che Bixio consegnerà alle nuove classi dirigenti, che hanno trovato alleanze perché non sia turbato il vecchio ordine e perché nulla cambi nella grigia, dolorosa atmosfera della nostra disgraziata terra.
La sentenza della commissione di guerra non è altro che il paravento giuridico di una decisione politica che Bixio, non si sa quanto respon­sa­bilmente, ha già adottato. La lettura del suo diario, l’esame più attento del suo carteggio, ci danno la prova più indiscussa che Bixio aveva stabilito che i cosiddetti capi sarebbero stati fucilati.»

Le 16 vittime ed i 5 loro presunti carnefici, vittime a loro volta di una sommaria giu­stizia, furono ben presto dimenticati; nessun ricordo, cerimonia o commemo­razione ebbe mai luogo nei decenni successivi.

Anzi qualche solerte amministratore, volle ricor­dare il Generale Bixio, dedicandogli una stretta stradina di fronte al luogo della fucilazione.

Solo dopo 50 anni, nei primi decenni del 1900, lo storico brontese B. Radice si adoperò per riscri­vere questa storia, per portare alla luce lo "scheletro nell’armadio" (come lo definì L. Sciascia), di cui tutti conoscevano l’esistenza, ma di cui nessuno parlava. E ripristinare un pò di verità sui Fatti fu anche lo scopo, nel 1972, del film di Florestano Vancini, "un padano, nato a Ferrara, così lon­ta­no da Bronte".

Nel 1985 anche Bronte cercò di attirare l'attenzione sui Fatti rinviando a pro­ces­so Nino Bixio. Ma la stretta stradina di fronte a San Vito continuava a portare ancora il suo nome. Anzi, in perfetto equilibrismo, a pochi metri, in una villetta antistante fu eretto allora un piccolo monu­men­to ai cin­que malcapitati da lui fatti sommariamente fucilare.

Nessun pubblico ricordo, invece, per i sedici "cappelli" trucidati dai rivoltosi. Dovevano passare 150 anni dai Fatti per essere in qualche modo richiamati alla memoria. Nel 2010, nel 150° anniversario dei Fatti, il Comune di Bronte ha fatto murare su una parete del Convento una lapide con i 21 nomi (quelli delle 16 vittime e dei 5 loro presunti carnefici) «tutte vittime del cruento eccidio avvenuto a Bronte nel 1860. Il loro perenne ricordo nella storia e nei nostri cuori a custodia della pace».

Nel 2010, dopo qualche polemica, anche il nome di Nino Bixio è scomparso dalla toponomastica brontese: la stretta stradina di fronte al convento è stata chiamata Via Libertà ("Nino Bixio non merita una via", ha dichiarato il sindaco). In modo analogo si sono comportati anche altri Comuni tra i quali vogliamo citare Rometta Marea che, nel 2018, ha ridenominato via Bixio in via Vittime dell’eccidio di Bronte.

Nessun onore o ricordo invece Bronte ha voluto riconoscere a quel vecchio patriota di educazione liberale, conosciuto in tutta la Sicilia, sostenitore e capo del partito dei «comunisti» (fautori degli interessi del Comune, in contrapposizione con il par­tito dei «ducali», sostenitori degli interessi della Ducea) fatto fucilare da Bixio per dare un esempio e per soddisfazione della na­zio­ne britannica. Bronte si è sempre dimen­ticato di questo liberale che ha difeso sino alla morte gli interessi del Comune e dei brontesi.

Vedi in merito anche Chi dici Nicò, una canzone dedicata all'avv. Nicolò Lombardo da un cantautore siracusano.

  

12 Agosto - Gli assassini sono stati puniti

Col proclama del 12 Agosto Bixio annuncia agli abitanti della provincia di Catania che a Bronte giustizia è stata fatta!


ABITANTI DELLA PROVINCIA DI CATANIA

Gli assassini, ed i ladri di Bronte sono stati severa­mente puniti -- Voi lo sapete! la fucilazione seguì imme­diata i loro delitti -- Io lascio questa Provincia -- i Municipi, ed i Consigli civici nuova­mente nominati, le guar­die nazionali riorganiz­zate mi rispondano della pub­blica tran­quil­lità!...

Però i Capi stiino al loro po­sto, abbino energia e corag­gio, ab­bino fiducia nel Governo e nella for­za, di cui esso dispone.

Chi non sente di star bene al suo posto si dimetta, non mancano cittadini capa­ci e vigorosi che possano rimpiaz­zarli.

Le Autorità dicano ai loro Ammini­strati che il governo si occu­pa di apposite leg­gi e di opportuni legali giudizi pel reinte­gro dei demanî
Ma dicano altresì a chi tenta al­tre vie e crede farsi giustizia da se, guai agli istigatori e sov­ver­titori dell'ordine pubblico sotto qualunque prete­sto.
Se non io, altri in mia vece rinnoverà le fucilazioni di Bronte se la legge lo vuole.
Il comandante militare della Provincia percorre i Comuni di que­sto distretto.
Randazzo 12 Agosto 1860.
IL MAGGIORE GENERALE G. NINO BIXIO

12 Agosto - Parla il Generale Sig. Bixio

Governo della Provincia di Catania

Car. 4. Num. 2837
Oggetto: Provvedimenti del Generale Sig. Bixio in Bronte ed altri Comuni
Catania 12 Agosto 1860.

Signore,
Il Maggiore Generale Coman­dan­te la 1.ma Brigata, 15.ma Divisio­ne dello Esercito Nazio­nale Sig. Nino Bixio, nel darmi ragguaglio di quanto ha praticato in Bronte per ritornarvi l’ordine e la tran­quillità, che da una mano di agi­tatori e faziosi si erano com­pro­messi, disonorando infame­mente la santa causa della rige­ne­razio­ne, mi ha fatto conosce­re, come percorrendo egli più Comuni di questa provin­cia, ha dovuto accorgersi che in taluni paesi le Autorità costi­tuite ed i buoni cittadini, mancano di energia, di accorgimento e finanche di coraggio civile: dapoichè tutti gridano all’armi, egli dice, ma nessuno fa il debito suo, i Delegati, i Presidenti de’ Municipi e i Comandanti delle Guardie Nazionali hanno bisogno di una lezione: sicchè per principale misura di emenda ritiene quella di non più prestarsi a soccorrere i Comuni in disordine, se pri­ma i rispettivi funzionari non provino di stare fermi al loro posto, e segnatamente i Delegati informati di ciò che succe­de, e de’ soggetti che muovono gl’ignoranti.

Nel disarmo di Bronte, soggiunge il signor Bixio comparvero altri 300 fucili d’individui che in Sicilia si chiamano galantuo­mini, e che noi chiamiamo vigliacchi: perché non si difesero? Perché non lo tentarono?

Tutti disertano il loro posto griando ajuto, e i pochi ignoranti o tristi, guidati da uomini più tristi ancora, che per essere Presi­denti, Delegati o Comandanti delle Guardie azionali, inconsci forse di chi li muove al delitto, si fanno nell’ombra i daci di una guerra infame verso i loro nemici d’influenza, che occupano for­se i posti ai quali costoro agognano – Questa sete d’im­pieghi è in Sicilia una lue disonorevole – Ed io non so com­prendere co­me i buoni dell’Isola non si accorgano che di questo passo, dal­lo applauso universale si andrà alla compas­sione – e guai ai popoli che si compatiscono!
Da ultimo il Generale Bixio ha dichiarato che dato l’esempio di Bronte, egli non ad altri si rivolgerà con misure di rigore che a’ Capi dell’Amministrazione, ai Delegati, ed ai Coman­danti le Guardie Nazionali, che ne’ paesi in fermento non siano al loro posto. Dando poi uno sguardo al Clero, dichiara non rimanerne affatto contento.

Or io partecipo tutto ciò a Lei per la debita intelligenza e per tutti gli effetti di risulta mento.

Per Governatore, Il Segretario Generale
Carlo di Geronimo

Dopo i sanguinosi fatti di Bronte, eliminato anche som­ma­ria­mente uno dei pochi intralci che si erano creati allo svol­gi­mento dell'impresa dei "Mille", la "libe­ra­zione gari­bal­dina" continuava, ri­prendeva il suo cor­so. Ma malgra­do la "libera­zione" e l'unifica­zio­ne italiana del 1861, malgrado le promes­se ed i procla­mi, i Duchi erano rimasti nella Ducea e gli altri privilegiati ai loro posti.

«Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» diceva in quei giorni Tancredi al Principe di Salina, suo zio. E, a Bron­te, il ceto dominante o agiato si era subito ben adattato alla regola accogliendo la nuova situazione politica e sociale anzi simulando d’esserne promotore o fautore, per poter conservare il proprio potere e tutti i privilegi. E Bixio aveva facilitato il compito lasciando il terre­no sgombro anche del liberale Nicola Lombardo.

Fallita anche la sanguinosa rivolta brontese, chi avreb­be più potuto togliere ai Nelson-Bridport le terre della Ducea per divi­derle fra i con­tadini di Bron­te o di Maniace o di Maletto se non il nuovo Stato italiano?
Ma anche le speranze di un intervento in questo sen­so furo­no presto deluse. Da quella fallita sollevazione popolare, anzi, de­rivò al­tra repressione e la secolare lite fra il Comu­ne e i discen­denti di Nel­son continuò per altri cento anni. Il regime di feudalità vigente a Bronte non fu supera­to nean­che nel periodo fascista, nonostante l'accesa rivalità con la Gran Breta­gna.21 ottobre 1860, Plebiscito della Sicilia

Pochi mesi dopo la sanguinosa rivolta po­po­lare repressa con tan­ta violenza da Bixio, nelle elezioni del 21 Otto­bre/4 Novembre 1860, i bron­tesi vota­rono nella Chie­sa di San Giovanni all'unanimità la formazione della nazione italia­na unificata sotto Casa Savoia: «Bronte, votanti mille­no­ve­cen­tono­van­taquattro, tutti pel si».
Il prof. Placido De Luca fu eletto nel primo Parlamento italiano (primo nel Collegio di Re­gal­buto con 334 voti su 455); raggiunse Torino, dopo un lungo viaggio, nel Febbraio del 1861.

 

  Fatti 1860 - La sentenza emessa a Bronte il 9 agosto 1860;

  -  Gli atti del processo istruito dalla Commissione Mista Eccezionale di Guerra;

  -  Nino Bixio a Bronte, l'integrale monografia di B. Radice (tratta dal II° volume delle Memorie storiche di Bronte);

  -  L’arringa di Tenerelli Contessa, l’appassionato intervento dell'avv. Michele Tenerelli-Con­tes­sa nel processo contro i rivoltosi svoltosi nel 1863 a Catania davanti alla Corte di Assise (37 condanne tra cui 25 ergastoli).

Nel ns. sito web vedi anche:  Verga e la Libertà, I fatti di Bronte, di Leonardo Sciascia  |  La repressione, di B. Radice, 1636, Il tumulto contro gli ufficiali di Randazzo, 1911, si brucia il dazio, Gasparazzo, eroe dell'estrema sinistra

  

         I DIBATTITI E LE RICOSTRUZIONI SUI FATTI DI BRONTE

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